18 Ottobre 2022

Imbrattare Van Gogh con la zuppa? Un’autentica opera d’arte…

Quand’ho visto una delle due infilarsi la mano nel collo della maglietta e tirare fuori un astuccio, custodito fin lì tra i seni a prova di perquisizione, e spargersene il contenuto sul palmo della mano, mi sono detto: Adesso questa s’ammazza. Ha imbrattato il quadro e adesso s’avvelena come colpo di teatro che tira un colpo a tutti. Era la colla per attaccarsi alla parete, per fortuna, l’altra l’astuccio ce l’aveva nella tasca dei pantaloni, e mentre qualcuno alle mie spalle gridava Sicurezza! proprio l’altra, con i capelli rosa, ha recitato il messaggio scandendo per bene parola per parola come lo leggesse dal volantino, in un inglese per cui bisogna essere somari con determinazione per non afferrarle a una a una.

Ha sollevato la latta di zuppa, una warholata, come fosse una testa mozzata, lei il Davide di Caravaggio, noialtri dei Golia a cui assicurare il briciolino d’indignazione perché Golia c’ha pestato l’aiuola buona. Che belli i capolavori pittorici ci mancherebbe!, ma a Van Gogh non glien’è mai venuto dietro niente, e questi quadri nei musei: anche i quadri si dovrebbero poter toccare, vedere per bene alla luce naturale, non dietro quei vetri come dietro delle sbarre, con le luci al chiuso a sparare riflessi. Si va al Museo a guardare i Van Gogh non per guardare proprio quel quadro di Van Gogh lì ma per dire che s’è visto il quadro di Van Gogh per una volta non su Instagram o in serigrafia. Per pochi minuti come durante i funerali da mondovisione: l’esperienza non è tanto guardare la tela ma fare il viaggio fino alla tela, scontare l’attesa, vivere il sollievo dell’obiettivo raggiunto all’interno del rito collettivo, da colletta.

Le due militanti coraggiose e goffe hanno reso più movimentato il tour al museo delle cere dove le cere siamo noi appena ci mettiamo piede dentro. Massì, rimproveriamole, non senza esagerare: sono sbagli di cui poter andare poi fieri quando gioventù la sarà finita, non mettiamoci a fare la polizia morale, assicuriamoci che tornino a casa non troppo spettinate. Io che sono nella fase storica alla-loro-età trovo assai simpatico l’attivismo: se non si preoccupano loro del mondo che gli tocca, chi? Che sia per non invidiare il tempo che loro hanno e noi non più che gli lasciamo un mondo sempre meno desiderabile, invidiabile? Noi della-mia-età andiamo incontro alla fine né con uno schianto né con un lamento ma con uno sbadiglio e un laconico “D’accordo, e poi dopo che si fa?”.

Non sta bene entrare in un museo e lanciare lattine di zuppa sulle opere sottovuoto, non insegnatelo ai vostri figli, però ammettiamolo, hanno reso l’esperienza più vivace. Dovrebbero pensarci i direttori di museo, prendere accordi, prevedere un sovrapprezzo sul biglietto: mostra + vandalizzazione che va via con un colpo di spugna. Siamo i professionisti del colpo di spugna. Confesso di essermi sentito del tutto superfluo, trascurabile, ininfluente. L’azione non era diretta tanto a me e a quelli che come me erano per caso nella sala quando è stato allestito il fatto, è stata eseguita a favore di ripresa del militante fuori scena con lo smartphone puntato, il terzo che cammina accanto: tutto è successo perché potesse risuccedere tutte le volte che si rivedrà il video da un’altra parte, perché accadesse nell’altrove, nel nessuna-parte che è dove guardiamo fino allo sfinimento. La ripetizione virtuale è più importante del singolo atto reale. Alla continua ricerca del simbolo… La cosa in sé è la cosa fuori dal dov’è a opera di aspiranti fuori-di-sé. È sempre la stessa banana di Cattelan, anche quando non è la stessa banana, anche quando non è la banana di Cattelan. L’ultima volta prima di questa in cui ho sentito fosse successo qualcosa davanti a un quadro è stata nel romanzo di Parente Il più grande artista del mondo dopo Adolf Hitler, il protagonista è un suicida che si masturba davanti a L’origine del mondo di Courbet, un gesto che sarebbe potuto piacere a Courbet. Van Gogh aveva un caratteraccio, o non ce l’aveva, dipende dalle biografie, non credo gl’avrebbe fatto piacere svuotassero una zuppa su una sua tela ma non ce lo vedo neanche entusiasta delle tele inchiodate a fila ai muri, schiacciate dietro i vetri. Il limite tra protezione e contenimento coatto è più sottile dello strato di pittura che Van Gogh spargeva sulle tele. Bisognerebbe poterli toccare i Van Gogh, sentire quello spreco di colore da parte di chi non si poteva permettere nessuno spreco, che scriveva a suo fratello perché non aveva di che comprare altri colori e li elemosinava tra umiltà e orgoglio.

Van Gogh sarebbe di quelli che non ne hanno per pagare il gas da riscaldarsi la zuppa, ecco l’ironia? Il gesto suvvia artistico, secondo i canoni scoppiati, mettete girasoli nei vostri canoni!, artistico e maldestro delle militanti imbrattatrici di bacheche con dentro un Van Gogh è vangoghiano, pure Van Gogh soffriva di un evangelismo facilone, bonaccione, di un violento candore. Deliziosa la riprovazione di chi rancorosamente svenevole piccato proclama “Van Gogh non si tocca, non si sporca!” come gliene fosse mai fregato una scatoletta di Van Gogh, di chi è terrorizzato dal mondo per come è stato fatto diventare.

Ripulire il vetro sarà un lavarcene di nuovo le mani, resettando la coscienza inzuppata di buona-educazione, di si-sta-composti-a-tavola anche quando la tavola è vuota e non ci sono abbastanza briciole per cui accapigliarsi subito sotto. Van Gogh brucerà le tele per assicurarsi un piccolo fuoco, non avrà di che colorarsi i capelli di rosa e neppure un amico che lo riprenda mentre andrà a mangiare la banana di Cattelan. Sono rimasto a guardare mentre davano di zuppa al quadro imbarattolato, mentre si attaccavano al muro con le mani collose come quella di Max Fontana a estesi indotta portata a compimento, mentre le portavano via nello sconcerto dei presenti che si accertavano di non essere stati schizzati. Poteva andare peggio. Poteva essere un barattolo esplosivo. Ci siamo presi un bello spavento.         

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