15 Aprile 2019

La carne contro lo spirito: lettura critica dell’ultimo testo di Benedetto XVI (che scrive come Dostoevskij ma si è trasformato in Andreotti)

Peter Seewald nel libro del 2016 Ultime conversazioni domanda: “Scriverà ancora qualcosa?” e l’ormai papa emerito Benedetto XVI risponde “No! No, no. Dopo Natale sapevo che era giunta l’ora del nunc dimittis: ormai avevo compiuto la mia opera”. E per un frequentatore esperto delle sacre scritture ‘compiere l’opera’ non è locuzione da poco: è qualcosa a un passo dall’affidare l’ultimo respiro. C’è qualcosa di andreottiano in quest’uomo dalla salute fragile e dalla vita lunga (Domanda: “La sua salute le ha dunque sempre dato problema.” Risposta: “(Il papa ride.) Così però ho fatto sempre attenzione e sono invecchiato”), ovvero: di chi, tramite la sua reticenza, fa intendere di sapere mooolte più cose di quelle che si consente di dire. D’altronde gli incarichi temporali ricoperti l’hanno messo a diretto confronto con l’esperienza del potere e della corruzione: “Che nella Chiesa ci sia della sporcizia è cosa nota ma quello che deve digerire il capo della Congregazione per la dottrina della fede va molto oltre e pertanto volevo semplicemente pregare il Signore che ci aiutasse”.

Il Benedetto XVI di Joseph Ratzinger, rispondendo a Peter Seewald, motiva il suo aver deciso di smettere di scrivere parlando di ‘carenza di forza psichica’ come anche di ‘debolezza fisica che non mi permette di restare sempre in quelle che potremmo definire le regioni alte dello spirito’: scrivere, come lo intende, assomiglia all’affrontare una prova, un combattimento per dirlo con Antonio Moresco. Joseph Aloisius Ratzinger, 92 anni al 16 di aprile, non ha saputo rinunciare a una ulteriore piccola scazzottata dialettica. Quando Ratzinger, che riconosce sé stesso nelle sue opere forse anche più che nel suo papato, scrive qualcosa di nuovo, io lo leggo: quando un uomo di parole viene meno a una parola data per dire altre parole, a quelle parole deve star accordando un valore particolare.

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Il testo del Benedetto XVI di Joseph Ratzinger sulla Chiesa e sullo scandalo degli abusi sessuali lo leggo perciò come un documento letterario, alleggerendolo momentaneamente dall’uso immediatamente strategico che se ne sta facendo, all’interno della guerra per l’egemonia culturale squisitamente politica che si consuma tutt’attorno a noi a colpi di convegni, think tank, fondazioni e università fondate ad hoc e di ingegnosissime campagne manipolatorie via social, mentre si prova a far credere a tutto spiano che il pensiero sia per carità roba da svaccati radicali très chic.

Il linguaggio del testo di Benedetto XVI pubblicato dal Corriere è ben altro da quello del Benedetto XVI del Rinuncio di Brullo, che nel 2014 già romanzava il venir meno del papa emerito alla consegna del silenzio: tanto il Benedetto XVI di Brullo è miniato dalla prepotenza metaforica del poeta-profeta quanto il Benedetto XVI di Ratzinger è serrato nella serietà logica di chi intende la teologia come una scienza rigorosa. Quando però Brullo fa scrivere a Benedetto XVI in una lettera impossibile a Agostino “Il mondo è magnifico, perfino immaginandolo da una finestra, a cui non oso avvicinarmi, mi sembra la guancia fresca di una ragazza” mi sembra di star leggendo in controluce queste altre parole del Benedetto XVI di Joseph Ratzinger: “Ricordo ancora come un giorno, andando per Ratisbona, vidi che attendeva di fronte a un grande cinema una massa di persone come sino ad allora si era vista solo in tempo di guerra quando si sperava in qualche distribuzione straordinaria. Mi è rimasto anche impresso nella memoria quando il Venerdì Santo del 1970 arrivai in città e vidi tutte le colonnine della pubblicità tappezzate di manifesti pubblicitari che presentavano in grande formato due persone completamente nude abbracciate strettamente”. Il Ratzinger 43enne nel 1970, rievocato dal sé stesso 91enne, è uomo fatto, un passo dietro lui c’è la Germania nazifascista e il suo essersi abbattuta sul mondo prima e durante la seconda guerra mondiale, eppure la mente di Ratzinger è ancora abbastanza impressionabile per poter restare colpita dai manifesti pubblicitari di due persone completamente nude. Come a dire: è arduo sopportare lo scatenamento sistematico della distruzione dell’uomo, ma lo scatenamento del sesso mette altrettanto a dura prova, come quel sesso fosse un’ulteriore aggressione della morte, di nuovo più che corporale. Ratzinger non osa avvicinarsi a quel mondo, attraente quanto la guancia fresca di una ragazza. I campi di sterminio, per la sua sensibilità, sono una offesa alla ragione e alla dignità umana quanto i set della pornografia. È coerente, con la biografia di chi a proposito della sua infanzia ricorda che ‘giocare al parroco era comunque un gioco molto bello’. È il candore del Benedetto XVI di Ratzinger a renderlo quasi detestabile. Imperdonabile quel suo aver potuto vivere al riparo delle forze rivelatrici e spudoranti del sesso.

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Che io trovi infondata oltre che per nulla condivisibile l’analisi delle cause per così dire storiche che Benedetto XVI segnala per spiegare la diffusione del reato di pedofilia anche all’interno dei ranghi della chiesa cattolica non importa; la sua analisi è comunque fondamentale per provare a delineare il carattere del personaggio che dice io in questo testo, secondo il quale “anche gli eccessi nel vestire provocavano aggressività”, e che legando tra di loro alcuni fenomeni crea conseguenze logiche che non esplora del tutto, lasciandole disponibili alla speculazione: scrivere ‘l’enorme numero di dismissioni dallo stato clericale furono una conseguenza di tutti questi processi’ vale a dire che se viene meno la repressione sessuale, il pudore punitivo, la sessualità praticata come rischio di perdere la propria anima, allora il sacerdozio non rappresenta più una scelta di vita credibile? Se il sesso è cosa buona è la vita consacrata cioè tenuta alla castità a diventare un vizio istituzionalizzato? Forse sono solo io che nel sottofondo del testo sento quella domanda posta a sé stesso da un uomo che, giunto all’ultima soglia, si sta chiedendo: ma se non è vero quello che ho sempre creduto fosse vero, vuol forse dire che la mia è stata una vita fasulla? Proprio ora avreste il cuore di chiedermi di renderne conto? Sempre all’interno delle Ultime conversazioni c’è la frase: “Io non appartengo più al vecchio mondo, ma quello nuovo in realtà non è ancora incominciato”. Che frase di grande impatto, di magnifica civetteria.

Il Benedetto XVI di Joseph Ratzinger che fa stare assieme la pedofilia, la rivoluzione dei costumi sessuali del 1968 (nel testo è scritto in maiuscolo: la Rivoluzione; come quelle russe e francesi e americane e inglesi; una Rivoluzione italiana, al momento, non è pervenuta), i club omosessuali, dirige la sua recriminatoria in un’unica direzione: la carne contro lo spirito; se la carne concede le grazie e i piaceri leciti prima promessi soltanto dallo spirito, in cambio del modico sacrificio del rinunciare alla carne appunto, per lo spirito non c’è più partita.

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Mi manca qualsiasi competenza per valutare i giudizi che il Benedetto XVI di Joseph Ratzinger dà sull’evoluzione della teologia morale post-conciliare e sulla fallibilità del diritto canonico, d’altronde la morale e il diritto non è che al di là delle loro espressioni confessionali se la passino benissimo, ma anche qui ci sono un paio di spie testuali che dicono qualcosa di rivelatore sul personaggio. È il caso di Franz Böckle, che a quanto pare “avrebbe alzato la sua voce con tutta la forza che aveva” contro le “possibili decisioni di Veritatis splendor” se in sostanza al suo interno si fosse stabilito “che ci sono azioni che sempre e in ogni circostanza vanno considerate malvagie”. Commento a chiosa della questione: “Il buon Dio gli risparmiò la realizzazione del suo proposito; Böckle morì l’8 luglio 1991”. L’interpretazione qui è libera, ma a me pare di ravvisarci proprio l’ironia curiale e cattivella di un Andreotti. Suona un po’ come la freddura: il buon Dio lo fece fuori per impedirgli di comportarsi male. Niente di luciferino, ma una vera e propria stoccata da professore vendicativo al consiglio di classe. Come quando, più avanti, scriverà: “Forse vale la pena accennare al fatto che, in non pochi seminari, studenti sorpresi a leggere i miei libri venivano considerati non idonei al sacerdozio. I miei libri venivano nascosti come letteratura dannosa e venivano per così dire letti sottobanco”.  Anche qui si sente forte la civetteria dell’autore di successo: cosa marca di più il proprio ego da scrittori del ritrovarsi censurati perché intellettualmente troppo sovversivi rispetto al sistema al potere? Uno studente di teologia perseguitato perché lettore delle opere reputate oscene di Ratzinger è un soggetto romanzesco soltanto da sbozzare.

Il “Un mondo senza Dio non può essere altro che un mondo senza senso” del  Benedetto XVI di Joseph Ratzinger riecheggia il “se Dio non esiste, tutto è permesso” dell’Ivan Karamazov di Fëdor Dostoevskij. Ovvero: avete ucciso Dio (“In questa decisione si rispecchia la situazione dell’Occidente, nel quale Dio è divenuto fatto privato di una minoranza”) e adesso ne pagate le conseguenze.

Cosa porta un uomo a non avere così nessuna fiducia nella natura umana da reputarla spacciata se non fondata su una natura divina che viene fatta coincidere con il principio del bene assoluto? Questo brano del documento di Ratzinger vale quanto un brano tratto da I demoni di Dostoevskij: “Nei colloqui con le vittime della pedofilia sono divenuto consapevole con sempre maggiore forza di questa necessità. Una giovane ragazza che serviva all’altare come chierichetta mi ha raccontato che il vicario parrocchiale, che era suo superiore visto che lei era chierichetta, introduceva l’abuso sessuale che compiva su di lei con queste parole:  «Questo è il mio corpo che è dato per te». È evidente che quella ragazza non può più ascoltare le parole della consacrazione senza provare terribilmente su di sé tutta la sofferenza dell’abuso subìto. Sì, dobbiamo urgentemente implorare il perdono del Signore e soprattutto supplicarlo e pregarlo di insegnare a noi tutti a comprendere nuovamente la grandezza della sua passione, del suo sacrificio. E dobbiamo fare di tutto per proteggere dall’abuso il dono della Santa Eucaristia”.

Quando ascolti storie del genere, gli abissi a cui può attingere l’uomo, e non una sola volta ma migliaia di volte, quando entri in contatto con tutte le variazioni della sporcizia umana, non puoi che confidare in un dio. È l’evidenza del male umano a guidarti verso l’esigenza di un bene a questo punto divino, perché il male accertato è stato compiuto dalla mano dall’uomo, mentre non si sa di un dio che si sia affacciato al confessionale dicendo “Ho fatto questo e quest’altro di brutto”. In Dio è riposta la speranza esista una persona capace di non aver compiuto il male mai.

Eppure è sempre all’interno del documento che il Benedetto XVI di Ratzinger indica il rimedio all’errore del giudicare la parte per il tutto, alla base delle campagne xenofobe di sempre, sfruttate per raccattare il consenso ovvero finalmente uno stipendio statala che fa gola: “il diavolo vuole dimostrare che non ci sono uomini giusti”. Esistono e sono sempre esistiti nella rete i pesci buoni e i pesci cattivi, il buon grano e la zizzania: i malvagi esistono, ma gli uomini di buona volontà esistono altrettanto: “È pigrizia del cuore non volere accorgersi di loro”. Per il Benedetto XVI di Ratzinger però il discorso è ristretto agli uomini e alle donne che compongono la chiesa aperta e ferita a cui sente di appartenere e al di fuori della quale non vede salvezza possibile, per quanto, rispondendo a Seewald, abbia dichiarato “la pressione dell’assenza della fede fin dentro la Chiesa”.

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Dividendo il mondo in due mondi, un mondo nella fede e un mondo fuori dalla fede, il Benedetto XVI di Ratzinger replica lo stesso errore che imputa a chi vorrebbe restringere il male della pedofilia a una questione ecclesiale, come se il mondo fuori dalla fede non fosse altrettanto appestato e rivoltante. “Ricordo ancora bene quando, allorché dopo la guerra all’improvviso nessuno voleva ammettere di essere stato nazista, il nostro parroco disse: Alla fine si arriverà a dire che gli unici nazisti erano i parroci”. Il Benedetto XVI di Ratzinger in definitiva è colui che dice: salviamo la nostra casa dalle fiamme, perché al di fuori di questa casa restano solo le fiamme. E l’estremo atto verbale di chi, amando, non può immaginare ci possa essere qualcosa di altrettanto amabile al di fuori dell’oggetto del proprio amore. Ogni amore è la sua ossessione.

Antonio Coda

Gruppo MAGOG