Nell’introduzione a Gli ultimi eroi (il Saggiatore, 2024), formidabile breviario morselliano, compendio – in seicento-e-passa pagine – di “Tutti i racconti” di Morselli, ma anche di “Soggetti e sceneggiature” e di ‘pezzi’ “Sui giornali”, Giorgio Galletto, in sede di introduttiva prece, auspica che Morselli, “un outsider perché insieme classico e ipercontemporaneo”, esca dal paddock della “dorata nicchia per palati fini”, per trovare un posto tutto suo al centro del canone della letteratura italiana. Non credo sia possibile. Morselli – complice del lettore, in ostilità alla facile lettura; un ribelle del verbo –, infatti, fa del brigantaggio letterario il proprio gergo, obbliga alle catacombe, alla rivelazione ctonia, all’andare per sotterranei e sottrazioni, con lame e candele (fino a confondere il fuoco con il sangue). Impossibile, cioè, scorporare l’opera di Morselli dalla sua vita: stigmatizzato dal rifiuto, egli è lo scrittore che agisce con l’ascia.
“Non un caso ma un destino”, disse di lui Rodolfo Quadrelli, altro autore vilmente ‘fatto fuori’ dall’editoria nostrana, marginalizzato, pervicacemente ‘contro’, la cui sorte è eguale e contraria a quella di Morselli (pubblicava in vita, da morto lo evitano tutti). Il saggio di Quadrelli – pubblicato nell’aprile del 1975 su “L’Europa letteraria e artistica” – parte da Contro-passato prossimo, per comporre una diagnosi d’impeccabile ferocia:
“Il caso di Guido Morselli è un ‘destino’, e nessuno si meraviglia che ciò non sia stato detto. Gli elogi post mortem che coprono la bara di questo grande rifiutato dell’industria culturale danno spesso, per la verità, suono ipocrita e sinistro. Essi provengono infatti, quasi sempre, da uomini che in passato hanno avallato scrittore e opere deteriori, e che evidentemente ignorano la legge di Gersham, secondo la quale la moneta cattiva scaccia la buona. Non c’è posto per tutti. Non c’era dunque posto per Guido Morselli, e non ci sarebbe stato nemmeno se per avventura fosse stato pubblicato. Il posto c’è ora, dacché, morto suicida, egli rappresenta un ‘caso’. […]
La vita e l’opera di questo scrittore fino a ieri sconosciuto gettano un fascio di luce su un mondo ignorato dalla cultura, che evidentemente esiste: che, evidentemente, è la parte resistente e umiliata del nostro paese che non ha ceduto alla corruzione intellettuale e morale”.
Geniale Quadrelli: usa Morselli come un lanciafiamme, a incenerire i “mafiosi” – parole sue – dell’editoria nostrana, intimando, però, di non farne un santino, comodamente esposto (deposto) sul davanzale, sotto teca, infine innocuo.
L’incendiario verbo di Morselli – a far carneficina dei libri esangui, delle solite, sceniche piroette – è ovunque in Gli ultimi eroi, enciclopedia di testi brevi, ritrovati. Alcuni, hanno un estro straordinario, il telescopio distopico, la mania da astrologo della Storia. Così, per intenderci, il “soggetto teatrale o cinematografico” Cose d’Italia. moralità in tre Atti e un Preambolo, mette in scena un Mussolini in “conversione” democratica (“Che cos’altro rimane da fare, se non mettere l’antifascismo in liquidazione e se ranger disciplinatamente nella massa dei seguaci di Mussolini?”), tra amanti, voltagabbana, massoni e lacchè, con decori satireggianti; La voce, invece, ipotizza un “incontro postumo” fra Pino Pinelli e il commissario Calabresi. Il dialogo tra i due, di abbagliante potenza – vi lascio alla lettura – si svolge nell’aldilà; l’incipit è luce:
“Non sembra che un bosco. A cui la vastità assicuri una quiete insolita. Alberi alti in un cielo primaverile, tiepido, grigio, e fra gli alberi ondeggiano erbe selvatiche, si inarcano rovi. Dietro ai due uomini, un piccolo ponte di pietra varca, ma è invalicabile, un ruscello che scorre senza rumore”.
In sostanza: la felicità narrativa, la facondia immaginativa, la voracità linguistica, dilagano; a tratti, per l’entusiasmo creativo – in Cesare e i pirati lo scrittore riscrive la vicenda del rapimento del grande condottiero narrata da Plutarco – Morselli pare un Borges. In Fantasia con moralità, per dire, raro racconto pubblicato ad autore vivente – uscì su “Il Contemporaneo” nel 1953 – il genio si vede dal principio (“Visione lucida e precisa da vincere la realtà. Imboccavo il viale in discesa che conduce alla cittadina; un silenzio inerte nelle cose e nell’aria, sino alle montagne che si stagliavano prossime, blandite dal gran sole invernale”); eppure, sappiamo com’è andata a finire. Anche negli sketch, Amsterdamer per Natale, per dire, è fatale la rapacità nel narrato, da scrittore che doma le vette, tiene l’Everest in ghiacciaia:
“Le sue doti esteriori sono tutte dei «non». Non è calvo, non usa occhiali, non ha pancia, a quarant’anni e dopo cinque di matrimonio. Non si addormenta alla tv (fra l’altro perché la detesta e io sono costretta a tenermi in camera o in cucina un apparecchio portatile)… Per lui Roma non è come per noi romani, rRóma: la sua non è zenzibilità, è sensibilità. Io cominciai col dirmi, piace alle donne perché non le corteggia”.
Mi fermo qui. A guidarci nella lettura, Linda Terziroli, co-curatrice del tomo insieme a Galletto e a Fabio Pierangeli.
Intanto. In cosa sono simili in cosa dissimili i racconti di Morselli rispetto ai romanzi, noti. Ergo: quale Morselli balza agli occhi da questo stuolo di racconti?
In una parola: il suo eclettismo. Guido Morselli si cimenta, attraverso forme diverse, con i suoi temi di sempre, la storia, la politica, l’amore, ovviamente nelle forme della distopia, dell’ucronia. Prendiamo ad esempio il testo teatrale L’amante di Ilaria, una sorta di “sequel” del romanzo breve Incontro col comunista,e il racconto Diphteria, in entrambi emerge il tema del personalismo e del collettivismo nella prassi politica, all’interno dell’ideologia comunista, una materia su cui spesso l’autore spesso torna per interrogarsi e interrogare attraverso la sua opera letteraria. E ancora in anticipo sui tempi Morselli lo era nell’utilizzo di tutte le forme di rappresentazione del mondo: dal reportage al testo teatrale, dal racconto al linguaggio documentaristico dei suoi filmati in 8mm.
Cosa sono questi racconti, all’osso? Laboratorio narrativo; sfogo; eserciziario distopico? Intendo: in che contesto li scrive Morselli, in quale ‘clima’ emotivo? E che esito hanno, ai tempi suoi?
Gli ultimi eroi ha il pregio di raccogliere un’opera che è stata scritta nell’arco di una vita, dagli anni ’40 ai primissimi anni ’70. Il laboratorio narrativo di una vita. Sono finalmente pubblicati i soggetti e le sceneggiature, vedono la luce tutti i racconti di Gavirate, che erano stati in parte pubblicati con il titolo Una missione fortunata e altri racconti dalla Nuova Editrice Magenta nel 1999, stavolta nell’ordine scelto dall’autore. Il clima emotivo non è mai lo stesso, come non lo è il clima di un’Italia che sta cambiando profondamente, un’Italia con tutte le “sue cose”, Cose d’Italia appunto.
Parliamo di Cose d’Italia dunque…
Siamo immersi nell’esperimento “controstorico”, nell’ucronia morselliana. Moralità in tre Atti e un Preambolo, Morselli qui ritrae un Mussolini (chi poteva immaginare allora il grande successo che avrebbe avuto poi un romanzo con al centro il duce come M. il figlio del secolo di Scurati?) schiavo del fascino femminile che si democratizza e finisce per crollare insieme al regime. Tuttavia, come dice giustamente Giorgio Galetto, il bersaglio polemico non è soltanto il duce, ma, sul banco degli imputati, ci sono anche i liberatori, incapaci di gestire l’opposizione prima e la vittoria poi e, soprattutto, il popolino italiano che, supino davanti alla dittatura, si ribella soltanto di fronte al crollo delle proprie certezze e dei veri interessi che lo muovono: le case chiuse e il calcioscommesse. Questa commedia fu spedita, senza esito, a Luchino Visconti. Mussolini, mi ricorda Fabio Pierangeli, in questa moderna moralità, dai toni da commedia brillante e satirica, all’italiana, “resta a latere degli intrighi, fantoccio priapesco schiavo dell’eros”. Le donne, in questa commedia, come in molte altre opere morselliane, hanno un peso rilevante, sono necessarie.
Dimmi: il racconto che sorprenderà di più (e perché).
Ti direi forse proprio Cose d’Italia. Dopo Roma senza papa, il romanzo che ha aperto il “caso Morselli” pubblicato postumo da Adelphi nel 1974, scritto negli anni Sessanta, tra il 1966 e il ’67, qui Roma fa appunto i conti controstorici col duce. L’attrazione che le “altissime personalità” esercitano sullo scrittore è innegabile e qui pubblicate si trovano anche la rappresentazione Cesare e i pirati e l’azione scenica Marx: rottura verso l’Uomo. Dell’uomo politico come del pontefice Morselli ritrae il linguaggio, il volto, il portamento. Dietro lo sguardo si muove sempre l’uomo. Forse è questo l’aspetto che più conquista di Guido Morselli, il suo essere e conoscersi “un riepilogo degli uomini”. Nel Diario difatti scriveva:
“Sono orgoglioso (è forse il mio unico orgoglio) di sentirmi, in male e in bene, un riepilogo degli uomini”.
Il racconto più bello (e perché).
Cesare e i pirati perché parla d’amore e realpolitik, come il già citato Cose d’Italia. Qui Cesare viene rapito dai pirati (l’episodio è già nelle fonti di Plutarco e Svetonio), desidera “platonizzare” sull’isola dove vive, in una gabbia dorata, addolcito e rammollito dalla bella indigena per cui ha perso la testa. Nella rappresentazione, vicina per certi versi al re di Divertimento 1889, Morselli reinventa un singolo episodio nella vita di Cesare senza alterare il corso degli eventi della Storia. Squaderna, insomma, il ventaglio dei possibili, ne verifica il potenziale, interroga la fallacia dei fatti, necessariamente inaffidabili.
Il racconto più folle (e perché).
Gli ultimi eroi. All’uscita sul “Mondo” di Pannunzio (sì, questo racconto rappresenta un’anomalia, pubblicato come altri, in vita), era il 4 marzo 1950 e Guido Morselli era un giovane di appena trentotto anni, sulle spalle già il peso di una guerra vissuta faticosamente sulle alture della Calabria. Ma il titolo allora era un altro: Irrenanstalt, che significa appunto “manicomio” in tedesco. Diverso anche l’attualissimo incipit: “La guerra è una pazzia e noi siamo da considerare tutti dei pazzi?”. L’avventura della riflessione intorno alla pazzia è destinata ad aver lungo corso nell’opera morselliana. Cambiando titolo a questo racconto, Morselli ne aveva anche modificato l’attacco, anche questo di grande attualità: “Farsa e tragedia spesso confluiscono, sullo sfondo degli eventi storici”, per arrivare a concludere con “la guerra è tutta e in tutti pazzia”.
Il racconto che ti ha conquistato (e perché).
La voce. Il terzo dei “raccontini” di Gavirate mette in scena un incontro postumo fra Pino Pinelli e il commissario Calabresi, assassinato quel tragico 17 maggio 1972. Scritto probabilmente l’anno precedente la morte di Morselli, riprende una pagina di scottante attualità che si presenta sin da subito controversa. La voce del titolo è quella che porta i due personaggi, come tutti gli uomini, al cupio dissolvi. Il suicidio, per Morselli, non è mai una scelta libera, “volontaria”. Scrive, infatti: “Nessuno si è mai tolto volontariamente la vita. Il suicidio è una condanna a morte della cui esecuzione il giudice incarica il condannato”. E in questo caso, secondo la versione che ne dà Morselli, è stato il commissario “a cercare che l’ammazzassero”.
Morselli, il Grande Scrittore Postumo, icona dell’editoria italiana cieca, sporca, cattiva: che cosa resta da scoprire?
Se parliamo di scrittura, mi viene naturale pensare al manoscritto de Il redentore, una commedia di cui rimane appunto il manoscritto autografo. Al centro lo slavo Nipic, figura cristica ed eretica insieme, dedita ai poveri, salvatore di ebrei. Boemo, in territorio tedesco, finisce sospettato di attività antinazista, in un manicomio appunto, sorvegliato speciale della Gestapo. Al Redentore vanno le simpatie di un ennesimo medico caro al Morselli. Forse la storia, vien da pensare, avrebbe bisogno di più medici. E questo Nipic, un personaggio morselliano rimasto più degli altri in ombra, all’ombra della sua grafia ostica, bellissima, piegata sul lato (nell’edizione de Il Saggiatore c’è un magnifico inserto di foto di suoi manoscritti) muore nel corso di una lite, mettendo il proprio corpo nel mezzo.
Nel momento in cui chiacchieriamo, c’è un regista pavese, Filippo Ticozzi, che sta realizzando un docufilm dedicato proprio a Guido Morselli e sono certa che porterà alla luce nuove ombre morselliane, proprio a partire da quegli 8mm che lui stesso confezionava.