25 Agosto 2020

“La presenza delle cose incomprensibili mi turbava”. H. P. Lovecraft, una creazione di Borges

Nel 1920 H.P. Lovecraft deve difendersi da orde di lettori famelici. La rivista amatoriale “The Vagrant” ha pubblicato, nel novembre del 1919, Dagon, racconto scritto due anni prima da HPL. È un testo centrale nella mitologia di Lovecraft, nello smangiato mondo di Cthulhu. Soprattutto, in quel racconto il mitologo di Providence mette a sistema i suoi escamotage formali, i cliché narrativi. “Scrivo in uno stato di tensione insostenibile. Fra poco sarà l’alba e, allora, io non esisterò più”, questo è l’incipit, condito da un esergo tratto da Shakespeare. Il racconto – che medita, in parte, il “Gordon Pym” di Poe – è la storia di uno, prossimo alla follia, che narra un isterico viaggio nel Pacifico, l’approdo in un’isola cruda, adornata da “un monolite biancastro”, fitto di geroglifici, di sublime fattura, e bassorilievi “che avrebbero suscitato l’invidia di Gustave Doré”. Soprattutto, il tizio, frastornato dall’orrore, vede la creatura, “titanica e repellente”, icona del “cataclisma cosmico”. Nella mitografia di HPL, Dagon è “il Dio-Pesce”, nella tradizione ebraica è la divinità dei Filistei, narrata nel Libro dei Giudici (“I principi dei Filistei si radunarono per offrire un gran sacrificio a Dagon, loro dio”) e nel Primo libro di Samuele.

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Cento anni fa, i lettori di Dagon sono sconcertati: non capiscono il senso formale – il verbo sincopato di una mente in tormenta – né quello sostanziale del testo. Come si sa, a partire da lì Lovecraft scrive In Defence of Dagon, un saggio “nel quale rivendica la superiore dignità letteraria della narrativa fantastica sulle vicende banali della stampa popolare” (cito da: Lovecraft, I miti di Cthulhu, a cura di Gianni Pilo e Sebastiano Fusco, 1995). Il testo, come In difesa di Dagon, accorpato ad “altri saggi sul fantastico”, fu tradotto per Sugarco nel 1994, con intro di Gianfranco De Turris.

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Nell’anno dell’anniversario di HPL, qualcuno ha tentato di defenestrare lo zar dell’horror dal canone americano. “Ha scritto le storie dell’orrore più influenti in lingua inglese. Le sue opinioni bigotte sono forse più orrende?”, titola il “Telegraph”. Eppure, il mondo di HPL è sfuggito al suo creatore, ha inseminato altri mondi e altri immaginari, consequenziali, nel cinema, nel fumetto, nella letteratura, nel regno dei games. Le traduzioni in italiano di HPL non si contano, grandi (Mondadori) e piccoli editori (Teoria dell’orrore, “gli scritti critici” editi da Bietti nel 2019) continuano a stamparlo, per fortuna.

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Lovecraft ha esasperato il fenomeno – letterariamente irresistibile – del libro segreto, su cui convergono tutti gli altri. Il “Necronomicon” di Abdul Alhazred è al cuore dell’opera intera, difforme, di HPL. Ne è la chiave e il pretesto che rende i libri di HPL infiniti, un eterno inseguimento. In altro ambito, egualmente succulento, con altra scrittura, Mario Pomilio si è inventato Il quinto evangelio, che soggiace ai quattro, e li compie. Ogni scritto, infatti, è parziale e incompleto in assenza del libro segreto, esoterico, mai scritto.

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Conseguente al libro segreto, la lingua impossibile, che di tanto in tanto – un esempio tra i vari: L’ombra su Innsmouth – appare nel pagliaio dell’opera di HPL. Il compito di uno scrittore è tendere a quella lingua, la sola, capace di svelare i reconditi, i segreti: parola che risveglia i mostri, che incanta, che evoca incubi. Anche in questo caso, la tradizione, da Dante a William Blake e Antonin Artaud, pur ambigua, è solida. Esistono parole d’ordine, comandi d’argento tra i cunicoli letterari.

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“Il destino che, come è fama, è imperscrutabile, non mi ha lasciato in pace finché non ho perpetrato un racconto postumo di Lovecraft…”. Nel 1975 Jorge Luis Borges – già devoto di Poe – svela la sua dedizione a Lovecraft. Il libro di sabbia moltiplica il concetto di libro segreto, apocalittico, indicibile che arde nel “Necronomicon”. “Di notte, durante i brevi intervalli che mi concedeva l’insonnia, sognavo il libro. Verso la fine dell’estate capii che il libro era mostruoso… era un oggetto da incubo, una cosa oscena che infamava e corrompeva la realtà”: credo che sia il racconto che dà il titolo a quella raccolta, tarda ma memorabile, il vero tributo di Borges a HPL. “Alla memoria di Howard P. Lovecraft”, invece, è dedicato quell’altro testo: There are more things (ovviamente, Shakespeare a far capo, come in Dagon). Quando Borges denuncia chiaramente una cosa, però, è per depistarci. In ogni caso, il racconto gioca su alcuni temi tipici di HPL. La casa dello zio del narratore, presso Lomas, viene venduta a un tizio misterioso, che la rinnova fino a renderla inaccessibile e mostruosa. Dopo una serie di vaghe indagini, il narratore, in un giorno di pioggia estiva, irrompe nella casa, cerca di descriverla, “ma la presenza delle cose incomprensibili mi turbava”. Infine, s’avvede del mostro, cerca una definizione nella memoria bibliografica (“Da qualche pagina di Lucano, letta anni fa e dimenticata, venne alle mie labbra la parola anfisbena, che suggeriva, ma certo non esauriva, ciò che i miei occhi avrebbero visto dopo”), si limita a dirlo con tre tonanti aggettivi, “opprimente e lento e plurale”, per poi troncare il racconto sulla soglia dell’incontro fatale (“La curiosità fu più forte della paura e non chiusi gli occhi”).

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Il tema del testo – un edificio con il mostro – ricorda un altro racconto di Borges, La casa di Asterione, pubblicato dentro L’Aleph. In effetti, anche in questo testo compare il Minotauro. “Verso l’alba sognai un’incisione alla maniera di Piranesi, che non avevo mai visto o che avevo visto e dimenticato, e che rappresentava il labirinto… Con una lente di ingrandimento cercavo di vedere il Minotauro. Finalmente lo scorsi. Era il mostro di un mostro; era meno toro che bisonte e, con il suo corpo umano disteso sulla terra, sembrava dormire o sognare. Sognare che o chi?”. Uno scrittore ebreo che ha un nome grave di misteri, Shay K. Azoulay, qualche anno fa ha scritto un racconto dal sapore saggistico che s’intitola The Invention of H.P. Lovecraft, in cui ipotizza (con frotte di dati) che HPL sia una creazione di Borges. Anche Azoulay, a questo punto, potrebbe essere nato dalla punteggiatura di un racconto di Borges, dal logos di una virgola. Ogni racconto di HPL e di Borges, in effetti, riproduce il ritmo del creato, per corroderlo. È una evocazione, un’invocazione. (d.b.)

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