07 Maggio 2024

“Un po’ di felicità insieme, fino alla fine di tutto”. Le lettere d’amore di Dylan Thomas a Pearl

Bruciano sotto le braci – le parole. Imperituri testimoni di una passione. Lacerti di cuore.

Del rovello amoroso di Dylan Thomas per Pearl Kazin residuano sei lettere, un libro di poesie di W.B. Yeats con dedica di Dylan a Pearl e un paio di istantanee insieme, a ritrarre una felicità di fuliggine, nella Londra di metà secolo.

Parole nel bozzolo dell’incompiuto, le corrispondenze a senso unico aprono varchi di nebbie. Animati dal sentimento per l’altro, non si scrive che per la propria anima. Ogni risposta è superfluo orpello all’appello.

Nel ventre della primavera 1950, a Manhattan, le sorti dei due s’incrociano, girevoli, fra le porte patinate di “Harper’s Bazaar”. A caccia di denaro, Dylan è lì per proporre il suo Conversation about Christmas, già trasmesso anni prima alla BBC; Pearl, critica letteraria, l’acquista per la rivista alla cifra di trecento dollari, pagamento immediato. Evirata l’incombenza finanziaria, la conversazione vira sui poeti – Theodore Roethke, E. Cummings e Marianne Moore, e lo scrittore William Faulkner, che il gallese avrebbe incontrato di lì a poco. Pearl – lignaggio giudaico e milieu da salotto newyorkese – è invece prossima a Truman Capote, Saul Bellow e Ralph Ellison. Sventagliano quindi un’amicizia comune: la poetessa virago Elizabeth Bishop – “Pearl e Dylan sono sulla bocca di tutti”, scriverà in una lettera, falena avvezza al pettegolezzo.

Sincronia della parola, gli scritti di Dylan e Pearl, nel 1952, finiscono per albergare, entrambi, nel numero IX di “Botteghe Oscure”, la rivista di Marguerite Caetani – lui con Llareggub, prima versione di Under Milk Wood; lei con The Jester, suo racconto d’esordio, scritto a Taormina nella residenza di Capote.

Per archiviare la detonante relazione con Thomas, la Kazin farà ricorso a un duplice matrimonio – il primo, breve e infelice, con il fotografo Victor Kraft; il secondo, definitivo, col sociologo americano Daniel Bell, nel 1960. Dell’ultima liaison è figlio David Bell, cui si deve la pubblicazione delle lettere che seguono, e la ricostruzione dei rapporti in rincorsa fra la madre e il poeta di Swansea – nel volume A Pearl of great price. The love letters of Dylan Thomas to Pearl Kazin (Parthian, 2014). Titolo che s’imperla della parabola di Matteo (13:45-46) – “Il regno dei cieli è simile a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra”.

Dylan Thomas, pare averla presa alla lettera. (Fabrizia Sabbatini)

***

The Savage Club
1 Carlton House Terrace
Londra

22 giugno 1950

Pearl adorata, il mio […] amore più sincero. Mi manchi […] O non hai voglia di scrivermi o devi avermi mandato al diavolo. Avrei voluto che ci fossi solo tu a salutarmi su quella prua cerata e galleggiante, e invece c’era la signora Williams a produrre ectoplasmi in fila come un cameriere che distribuisce spaghetti; e la moglie dello psicanalista, coi suoi compiti incompiuti, e molti altri. La nave era un vero inferno. Il mio compagno di cabina si chiamava, per quanto abbia capito, Urine. Ai pasti sedevo con due sudici uomini d’affari in partenza per Paree, accanto a un’arpia ben tenuta che aveva – ma per fortuna ad altri tavoli – diciassette ragazze ridacchianti a suo carico alle quali avrebbe mostrato l’Europa in tre settimane, insieme allo stesso Urine a fare da collante e a una gallina avvizzita che aveva chiocciato per l’Unesco.  

Stazionavo al bar tutto il giorno, ascoltando storie su scozzesi, irlandesi ed ebrei, notti nuziali, contraccettivi, adulteri, ubriachezza e torcimenti di budella. La tua piacevole amica, quella con i due bambini, non l’ho vista quasi per niente. Per giorni non ho posato gli occhi sul mare. Ti ho pensata moltissimo, desideravo stare con te, come desidero stare con te adesso. Non ho avuto incontri a Londra, il che non è sorprendente poiché nessuno sapeva che sarei stato lì, né se n’è preoccupato, e la città era umida e afosa e nessuno, nei miei pub preferiti, si è premurato di chiedere da dove arrivassi. Oh, la solitudine, per te, e la pietà, per me, trasudano dalle strade perdute. Stavo quasi per tornare indietro, nell’immediato, per ululare a Brooklyn per te. Dopo una settimana a Londra, sono sceso qui, in campagna, ma domani torno a Londra, al mio reazionario club.

Ti prego di scrivermi lì, se ne hai voglia. È vero che, a settembre, potresti venire prima in Inghilterra? Avevi detto che è una possibilità. Ti verrei incontro, con una gardenia all’occhiello, un cappello d’oro, ballando e ammiccando – a Southampton o a Londra. Quandunque verrai, ti incontrerò. Che sia presto però.  

Cos’altro dirti? Sai già tutto.

Sto scrivendo una poesia che ti invierò, anche se non per il grande Bazaar.

E siederò al Savage, bevendo punch e leggendo sherry, finché non approderà la tua lettera. Il mondo è vuoto da questa sponda del maledetto mare.

Ieri sera ho aperto la portiera di un’auto dal lato sbagliato e sono caduto in un lago. Non mi è accaduto nient’altro.

Sto scrivendo da una finestra ventosa che veleggia sugli aironi.

Ti amo.

Dylan

*

The Savage Club
1 Carlton House Terrace
Londra, S. W. 3.

7 agosto 1950

Pearl.

Ci ho messo tanto a scrivere il tuo nome. Pearl, adorata Pearl.

Ogni istante di ogni giorno non penso che a te. Ti sento, ti desidero, ti parlo in silenzio, da solo. Mia amata Pearl, amore mio.

Ogni secondo prima e dopo la tua ultima lettera (oh, grazie, Pearl cara), ho cercato di scriverti, ho provato a dirti chi e cosa sei per me, ma non trovavo le parole. Tu sei la ragione di tutto ciò che esiste, a parte la Corea, Formosa, McArthur, tutti i governi e tutte le persone malvagie.

Molte, moltissime volte, in questo club bollito, nel triste paese, sui treni, nelle fosse dello sconforto, sono felice come non mai solo al pensiero che esisti – ho provato a scrivere, ma mi sono scoperto improvvisamente timido. Anche quando ho riletto, innumerevoli volte, le tue lettere più affettuose, attraverso le quali mi scrutavi, mi sono rivelato ancora timido come un tasso quando si trattava di scrivere, sigillare in una busta, spedire oltremare un “Ti amo”. Ma ora l’ho scritto, e posso ripeterlo ancora e ancora (ti amo, Pearl) e mi chiedo come sotto il sole non abbia potuto proferire cento volte una verità così semplice, più vasta e profonda dell’Atlantico.  

A volte mi sento talmente vicino a te che la terra si arresta, i mari si asciugano e attraverso il fondale di sabbia posso arrivare a baciarti.

E anche tutti gli elementi della mia vita, ora, ti coinvolgono dalla testa ai piedi. Vorrei che il tuo viso dimorasse tra le mie braccia, mentre siedo qui a fantasticare, e sarei felice se il tuo corpo, che venero, fosse unito ad esso. Sorridi segretamente per me, come anch’io, salato di solitudine, sto sorridendo per te mentre scrivo […]. Ridi per me, Pearl, mia adorata, ovunque tu legga queste righe. Quando è giunta la tua ultima lettera, l’ho eclissata, di nascosto, sotto il cappotto, per ore, gongolando, prima di osare aprirla; no, non solo gongolando, perché ero anche terrorizzato: forse eri morta (anche se l’avrei saputo), o incurante, o censoria, perché io ho sempre, amore mio, un po’ paura di te, come è giusto che sia, non ho mai osato sognare che tu potessi essere legata a me come io sono legato – buon Dio, “legato” in quel modo che squassa il mio corpo e il mio mondo – a te, cara la mia amata.

Il cameriere, ultracentenario, mi sta portando una birra calda e sgasata: in pratica, la agita sul tappeto e mi serve il bicchiere vuoto. Alla tua salute, mia cara, alla tua bellezza, al tuo corpo e al nostro amore per sempre.

Arriverai quindi in Inghilterra il 4 settembre, o la guerra o qualche altra follia ti fermeranno? Se oscure leghe finiranno per ostacolarti, dichiarerò guerra all’America.

Devo prendere il treno-battello a Londra?

E dove alloggeremo? Dobbiamo stare insieme tutto il tempo possibile.

Provvedo a prenotare una stanza d’albergo?

Questo club è per soli uomini: se si possono chiamare uomini queste rape iniettate di sangue che parlano a vanvera con accenti da macellaio e biascicano storie sui personaggi famosi che li hanno snobbati.

Dobbiamo stare insieme, ogni volta che possiamo.

Dimmi cosa fare, cosa vuoi fare.

Scrivimi presto, cara Pearl adorata.  

Ti bacio il cuore.

Dylan

Ti scriverò ancora, la prossima settimana. Immagino sempre di avere qualche meravigliosa notizia da darti, ma la notizia è sempre la stessa e per te non è affatto nuova. Ti amo.

Dylan Thomas con la moglie, Caitlin Macnamara

*

Ho appena ritrovato la prima lettera. Non in un libro ma avvolta in un fazzoletto sul fondo di una valigia. Te la invio insieme a questa, un po’ accartocciata.

13 agosto 1950

Pearl mia carissima, mia adorata Pearl, proprio un’ora fa ho aperto le tue lettere (le due scritte a macchina), e nel silenzio della mia stanza solitaria, sopra il rumore del traffico, le ho lette fino alla loro dolce corteccia. Ti amo Pearl.

Ho scritto una lettera la scorsa settimana, ma ne ho ritardato l’invio perché non riuscivo a capire se abitassi al nove o al novantuno, e non riuscivo a ricordarlo; anche se tutto il resto della tua casa lo ricordo coi miei occhi, e il mio corpo, e il tuo corpo, e il mio cuore e – grazie a Dio – il tuo. Non riuscivo a trovare l’indirizzo, così ho infilato la lettera in un libro. E poi non riuscivo a ricordare quale libro; ho cercato in un Blake, in un Milton, in un Wordsworth, in un W. W. Jacobs, persino in un sottile e stridente Roethke, ma il mio amore per te non risiedeva in nessuno di essi. Forse avevo giocato un doppio bluff riponendolo in un Oscar Tupper. Aspettai che succedesse qualcosa – mi trovavo fra gole di campagna – ma non accadde nulla, giunsi quindi a Londra e trovai due lettere, scritte a macchina, con su scritto novantuno chiaro come la luna. Ti amo, Pearl.

[…] Il pomeriggio del 3 (stavo per scrivere agosto, essendo così impaziente) settembre! Oh, mia cara. Anche se devi, devi, scrivermi prima, mandami un telegramma dalla nave, o telefonami qui al club da Southampton o da qualsiasi altro posto in cui approderai, per dirmi a che ora arriverà a Londra il tuo treno-battello. E io sarò lì ad accoglierlo, piccolo, rosso e carico d’amore.

Nell’altra mia lettera ti chiedevo, e lo stesso faccio con questa: dove alloggerai a Londra? Dove posso passare del tempo con te?

Sai che ho bisogno di stare con te ogni istante possibile, vero? Devo prendere una camera d’albergo? Ti recherai subito, con tutti i bagagli, dai tuoi amici londinesi? Devo stare con te e, dentro di te, sai bene perché.

La scorsa notte, nel mio club per farabutti, ti ho sognata, bella come sei, ma vestita da bambina con i fiocchi nei capelli e sulle scarpe, e abbiamo riso entrambi così tanto che ho pianto sul tuo seno.

Ultimamente sono in preda a un terribile sconforto. Ho vissuto come un miserabile, insonne, quasi suicida, senza soldi. E ho scoperto che non riesco a lavorare. La mia casa è un piccolo caos, la campagna, al diavolo i suoi uccelli, ha smesso di affascinarmi, vorrei scrivere poesie lunghe e tristi, ma invece devo registrare piccole letture radiofoniche per pagare l’affitto e non riuscire a saldare il droghiere, il lattaio, il carbonaio, il maestro e, soprattutto, il farmacista del villaggio che smercia anche da bere. Credo che dovrò trovare un lavoro a Londra per tutto il tempo che resterai qui. Ma non c’è alcun futuro per noi; stringimi ora, nel lungo, immortale presente, e lascia che ti tenga annodata a me.

Oh, Londra è una bestia. Viscosa o grigia, o entrambe le cose. Dopo le undici di sera, è un dodo estinto. Vado sconsolato alla deriva per le strade morte, rimandando di continuo la mia remota stanza, linda e logora. Vorrei che Dio ti consentisse di restare qui con me; allora la stanza sarebbe un enorme campo, ombreggiato, ricco di fiori e ruscelli e fondali e bottiglie, dove, fino al primo fissionario bagliore, potremmo stare vicini, felici e semi svenuti.  

Ma anche se odio tanto Londra, con te, mio caro tesoro, mia adorata, sarà diverso, lo so. La scoveremo in luoghi inesplorati, o li vedremo attraverso un nuovo amore fino a farli tremare e oscillare e fischiare come fantasmi.

Ci inoltreremo in profondità e in silenzio, o sfioreremo il rumore.

Andremo anche a Brighton, dove vanno tutti i peggiori. Ti amo, Pearl.

Scivolami dentro. Amami sottovoce. Sfregami come una perla. I sassi latrano. Piegami, amore. (Un frammento da Ted).  

I miei giorni sono un vespaio di rinvii e rinunce. Non aspetto che te. Ho scritto un servizio radiofonico e mezza poesia. Ho tenuto conferenze a una mezza dozzina di società artistiche provinciali indignate per la castità. Ho letto Donne e Poe in diretta. Ho rivisto il mio ironico romanzo mezzo inevaso e ho gridato.

Ho pensato a te.

Prego Iddio che questa lettera ti raggiunga prima di salpare. Se non lo farà, ti telefonerò.

Per sempre,

Dylan

*

Boat House
Laugharne
Galles

19 settembre 1950

Mia cara Pearl,

solo un piccolo biglietto per dirti che ti amo.

Sono tornato e ho trovato Caitlin[1] illesa, non si trova affatto in ospedale. Quell’informazione era del tutto fallace. Ma era angosciata. Verrò a Londra con Caitlin il 24 di questo mese. Ti chiamerò. Ci incontreremo, se sei ancora a Londra, in modo che nessuno ci veda o ci senta. Nessuno. Avrei voluto scriverti appena tornato in Galles, ma il mio stomaco (non voglio urlare questa parola) era così galoppante che mi sono ritirato in un Corran e l’ho lasciato trottare. Inoltre, ho dovuto dire così tante bugie che mi sono doppiamente ammalato. Perdonami, cara, per tutto il dolore che ti ho procurato con quel grigio demone[2] che mi perseguita e mi opprime. Ti amo, adorata, e spero che ciò ti giunga e presto ti raggiunga anch’io.

Dylan

Oh, che biglietto strappalacrime per te, mia cara, quando potrei scrivere due Guerra e Pace. Credimi. Sono un farabutto, ma ti adoro. Non ti farei mai del male. Niente è impossibile per noi: non può esserlo. E da tutto questo ricaveremo, in qualche modo, un po’ di felicità insieme, ancora e ancora e ancora fino alla fine di tutto. Tuttavia, non posso perdonarmi di non averti scritto così a lungo prima d’ora. Non è per non aver pensato a te, mia Pearl. Lo faccio ogni istante, ogni ora.

*

c/o John Davenport

4 Rossetti House
Flood Street
Londra S.W.3.

20 dicembre 1950

Pearl, mia adorata, mia amata perduta – e so bene chi ti ha perduta ma ora ti ho ritrovata, Pearl, oh Pearl perdonami adesso, ti amo. Come posso provarti che ti amo in modo che tu mi creda? Se fossi accanto a me, potrei dirtelo e tu dovresti credermi […] perché la verità traboccherebbe urlante da me e ti incendierebbe i seni ed i capelli. Oh Dio, mia adorata Pearl. Se solo, se solo. Per tutti gli attimi in cui siamo stati insieme, metà del mio cuore, la metà che ha il capo coperto, diceva: Presto tutto finirà, tu sei felice ma, io sono felice ma, tu ami Pearl ma, baciala di nuovo ma, ma, ma. E la metà nuda diceva: Vi amerete per sempre, non vi dimenticherete mai, vi stringerete forte vicino e lontano. Com’è successo? Come ci siamo potuti incrociare alla cieca sul cammino? Come ha fatto un’ombra a finire negli abissi del mare e l’altra a risalire sperduta e ricoperta di alghe? Ci siamo mossi nello stesso momento in due diverse Londra, buie, gementi sonnambuli. Ti amo, Pearl. La neve cade sul mare oltre la finestra di questa capanna sulla scogliera dove, nella semioscurità, ti sento, ti sento davvero, corpo e spirito meravigliosamente intorno e dentro di me, e vorrei che potessimo rotolare e gridare. Amarci nella neve fino all’arrivo di un guardone marino. Ti amo.

Sono venuto a Londra quando tu eri in Francia e mi sono subito ammalato. Non mi è stata inoltrata alcuna lettera dal Savage Club. Cioè, nessuna lettera da parte tua. Il che non mi ha sorpreso, perché, come ho scoperto questa settimana, la grigia signora,[3] quando ero malato, aveva chiamato ogni mattina per “ritirare per me le mie lettere”. È stato molto gentile da parte sua, hanno detto i portinai. Così ogni tua lettera è andata distrutta, o nascosta tra le sue serpi, o calata nelle sue fogne, o risucchiata e aspirata dai suoi vermi, o prima ancora dalla sua stessa massa. Qualunque cosa ne abbia fatto, non esistono più. E io non ho mai visto una sola dolce riga. E poi la mia pleurite si è trasformata in polmonite – una notte ho dormito fuori sotto la pioggia – e non ne ho saputo nulla. Piangevi nel delirio della febbre come se fossi morto. E poi mi hanno riportato qui, al mare, per riprendermi, quindi sono arrivate due lettere siciliane. Oh, cara Pearl. Nella tua perduta solitudine, il mio silenzio deve essere stato un quotidiano tradimento come mai accaduto prima. Io so che ti amerò sempre, che non ti ho mai abbandonata e che staremo insieme. Ho dimorato anch’io in una perduta solitudine; non sapevo dove fossi; non rinvenivo alcun senso nella terra che roteava, nei fiocchi di neve, nei risvegli e negli annegamenti, nel fumo delle parole, per cosa mi trovavo qui, cosa stavo facendo, qualcosa era andato storto nella luce originale, e lo spirito era spirituale quanto un paio di baffi. Non avevo idea di cosa fare. Se stendermi schiumando o gettare la testa ai corvi o ancora sussurrare il tuo nome nelle segrete cloache della notte o scrivere un sonetto ad un ratto o unirmi all’Esercito Terra delle Donne o decapitarmi con un secchio o sedermi in giardino e coltivare erbe? Un terribile medico venuto a visitarmi aveva compreso la mia causa. Guardai nello specchio e vidi due capezzoli con grosse sopracciglia come quelle di Frank Harris. Sbirciai nelle stanze del cimitero come uno zombie voyeur. Scrissi Guerra e Pace, rapidamente, e tradussi un concerto in gallese. […] Oh, Pearl, Pearl che amo e desidero. Ero ammalato nelle corsie del mondo, ma ora ogni neve è sole. E sto bene perché so dove sei, anche se ti sei spostata da dov’eri, e perché so, mia adorata, che il nostro amore è vivo. Sto bene, posso lavorare e presto ci incontreremo, in qualche modo, anche solo per il prodigio di un giorno e una notte. “Ora posso lavorare”. Oh Cristo, lo so, so bene cosa significa. La prossima settimana, per guadagnare del denaro, mi recherò in Persia per scrivere un soggetto cinematografico per la Anglo-Iranian Oil Company. Ti amerò a Shiraz, a Isfahan, a Persepoli e ad Abadan. Ti amerò dal Golfo petrolifero al Mar Caspio. Non importa ora, non adesso, che non ci incontreremo per un breve o lungo tempo, perché il nostro amore è vivo e possiamo attendere. Tornerò a Londra a metà febbraio. Ti scriverò dalla Persia. Ti prego, mia dolcezza, scrivimi all’indirizzo di Davenport: Non ho un indirizzo persiano fisso, e del Savage non mi fiderò mai più. Ti bacio il cuore. Dimmi dove sarai a metà febbraio. Ti bacio ovunque.

Dylan

*La traduzione e la cura del servizio sono di Fabrizia Sabbatini

**In copertina: Dylan Thomas con Pearl Kazin


[1] Caitlin MacNamara, moglie di Thomas. (n.d.t.)

[2] Si riferisce a Margaret Taylor, eccentrica e svagata moglie dello storico A.J.P. Taylor. Ricca mecenate, fornì quasi tutte le case in cui visse la famiglia Thomas. Ma era anche infatuata di Dylan e non solo intercettava la sua posta ma, spinta dalla sua gelosia per Pearl, si precipitava a Laugharne per condividere in modo spietato tutto ciò che sapeva di Dylan e Pearl con sua moglie Caitlin. (n.d.t.)

[3] Trattasi ancora di Margaret Taylor. (n.d.t.)

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