27 Agosto 2018

“Mai comprato un libro perché lo devo leggere… comunque, oggi è quasi tutta fuffa”: dialogo con Luigi Mascheroni, l’uomo da 20mila libri

Ogni tanto mi manda le fotografie delle sue ultime ‘prede’. Pochi giorni fa mi invia la copertina de Il solstizio di giugno di Henry de Montherlant. Sa che mi morderò gli alluci per l’invidia. Quando mi dice che lo ha pagato due euro, mi disintegro le falangi con il ‘Meridiano’ del Doctor Faustus di Thomas Mann. Io e Luigi Mascheroni, micidiale firma de il Giornale, siamo agli antipodi: lui ama il contenitore io il contenuto, lui la forma io il senso, lui la copertina del libro io cosa c’è scritto dentro. Posso passare ore alle fatidiche bancarelle dei libri tormentato dall’amletica domanda, lo leggerò? non lo leggerò?, senza comprare nulla; Mascheroni invece, Diabolik della bibliomania, afferra e va via. Ha ragione ‘Gigi’, ovviamente, l’estetica è tutto, io sono un bilioso reazionario che ancora pensa alla scrittura… Così, quando mi dice che “sono arrivato a 20mila libri!”, gli dico, fermi tutti. Faccio qualche rapido calcolo a mente. 20mila libri diviso 30 anni (suppergiù) di devota ‘caccia’ libraria fa un numero magnetico, diabolico, anzi: 666,6 libri all’anno, cioè una media di due libri comprati – o rubati – al giorno. Esulto – il numero diabolico mi stimola l’estro – facciamo una intervista! Quella di ‘Gigi’, in effetti, mi pare una ossessione che sfocia nel romanzesco. Mascheroni, uomo tutto d’un pezzo, alto, elegantissimo fino allo snobistico cinismo, raffinato fino allo sfottò, intelligente come una faina, editore per sfizio e per vanto, devoto al libro – che è lì, chiuso, una seduzione di innumerevoli possibilità – più che all’uomo – che è sempre lo stesso: banale, corrotto, mentitore – pare una creatura libresca che si libra per il mondo sorniona, l’incarnazione di un fulminante epigramma di Carlo Dossi. Se non fosse che sono certo che già ce l’ha, nei precordi della sua biblioteca infinita, regalerei a Mascheroni un Sellerio del 2006, Delle tesorerie dei re, firmato John Ruskin: il grande inglese, che non aveva molta fiducia nella facoltà intellettuale umana (“le menti della maggior parte degli uomini sono invero poco più che lande desolate di sterpaglie… la prima cosa da fare, per il bene loro e per voi stessi, è di appiccarvi subito il fuoco, bruciare tutta la giungla, sì da renderla un fecondo mucchio di ceneri”), sapeva che “il libro, nella sua essenza, non è una cosa che parla, ma una cosa scritta; e scritta non con la finalità della mera comunicazione, ma della permanenza”. Con 20mila libri, in fondo, Mascheroni si garantisce un viaggio di 20mila leghe sotto l’ottusità dominante, si prenota l’immortalità: la sua casa ne contiene altre 20mila, la sua vita si riverbera in migliaia – un libro chiuso, emblema dell’unica perfezione possibile nel mondo corrotto, è l’avvio di una avventura, il precipizio nell’avvenire, l’unico tempo degno di essere perduto; il mondo corre e tu sei lì, avvinghiato in una festa ferale di frasi, simili a pitoni, a desiderare il prossimo libro, una leccornia. (d.b.)

Ventimila volumi: dove li tieni? Cosa pensano di te i tuoi eredi? Come può sopportarti tua moglie?

Li tengo in casa, perlopiù: un’unica libreria rigorosamente in legno di ciliegio cileno. Calcoliamo 150 libri a scaffale, in doppia fila, per sette pareti su due piani di appartamento, sotto la sala e sopra lo studio, in tutto fanno 140 scaffali, aggiungendo tre grandi armadi strapieni in redazione e la parte di libri sul cinema nella vecchia casa di famiglia, siamo a ventimila libri. Millennio in più, Meridiano in meno… Cosa dicono i miei figli? Quando torno a casa, ogni giorno, con uno, due, tre libri nuovi, davanti ai loro sguardi di rassegnata disapprovazione cerco di giustificarmi dicendo “Lo faccio per voi! Vi lascerò un patrimonio economico (più che culturale…) straordinario! Vi renderò ricchi!”. Ma non ci credono, naturalmente. Meno di tutti mia moglie. Ma con lei è più facile: se mi rinfaccia la mania dei libri io faccio lo stesso con la sua. Le scarpe.

Mascheroni
Immagini in esclusiva della fatidica libreria privata di Luigi Mascheroni. Al momento, è impedito l’accesso al pubblico.

Ventimila volumi: ti ricordi il tuo primo libro? E il libro numero 100? E il millesimo? E il decimillesimo? E l’ultimo che hai comprato?

Avendoli tutti accumulati personalmente, senza aver ereditato alcunché – soltanto rubato qualcosa a mio fratello maggiore, essendo il furto da sempre la fonte di approvvigionamento principale della mia biblioteca… – certo che mi ricordo il primo libro, o comunque uno tra i primissimi, sul quale ho fondato la mia collezione. Era alla fine del liceo: il “Manfred” di George Gordon Byron nell’edizione dei Quaderni della Fenice della Guanda. Gliel’aveva fatto leggere il suo professore di inglese al Liceo, che da lì a poco sarebbe stato anche il mio. Franco Buffoni, insegnante straordinario peraltro. Un bell’inizio, no? Tra l’altro la veste grafica di quei Quaderni è meravigliosa, se ne trovo qualcuno in giro lo compro. Il numero 100, mille, diecimila, no… quelli non me li ricordo. Anche perché non li ho mai contati, solo fatto calcoli approssimativi. L’ultimo invece è di stamattina: Il solstizio di giugno di Henry de Montherlant, edizioni Akropolis del 1983. Ho una certa predilezione per la letteratura della collaborazione… i Brasillach, i Céline, i Drieu, i Rebatet… Comunque l’ho pagato due euro a un bouquiniste di piazza Cordusio, qui a Milano.

Dove li compri i libri? Ti guida il masochismo bibliografico, il sadismo, il feticismo, cosa? Ma poi: t’importa ciò che c’è scritto dentro?

Li compro sulle bancarelle, appunto. Poi nelle librerie dell’usato o antiquarie, qualcosa su Maremagnum o eBay – dove si possono trovare ancora cose belle a pochi euro, la gente spesso non sa cosa vende – poi alle fiere e ai mercatini, il posto più divertente: è dove i libri trovano te, non tu i libri. Poi molto, e parlo delle novità, mi arriva dalle case editrici per il mio lavoro di giornalista, ma tengo davvero poco. La maggior parte di quello che esce oggi, diciamo nove libri su dieci, è fuffa… Cosa mi guida nella scelta? Nella stragrande maggioranza dei casi l’eleganza o la particolarità della veste editoriale. Possiedo decine e decine di libri della Rizzoli e della Mondadori degli anni Settanta e Ottanta che mai mi verrebbe in mente di leggere, ma che colleziono perché hanno le copertine disegnate da John Alcorn o Ferenc Pinter… Oppure, cito a caso, i libri delle vecchie edizioni Fògola di Torino, quei libri con la sovraccopertina muta in carta velina… Gli autori erano Vintilă Horia, Astolphe de Custine, Guido Ceronetti… L’importante è che siano copie perfette: senza strappi, segni, tagli. Altrimenti non li considero. Anche per questo motivo il contenuto è secondario. Mai comprato un libro perché lo devo leggere. Lo compro prima di tutto perché mi piace come oggetto, poi posso anche sfogliarlo… Sì, credo sia puro feticismo.

MascheroniUn gioco. Il libro che ti è costato di più e quello che hai pagato due centesimi.

La mia è una collezione di quantità, prima che di qualità. È un accumulo malato, irrazionale, disorganico e disordinato. Non ho mai speso tantissimo per un solo libro, è più facile che lo stesso giorno spenda moltissimo per diversi libri. Sì, certo. Ho pagato un po’ per una copia immacolata della prima edizione Corbaccio del 1938 di Bagattelle per un massacro. Che peraltro non ho mai letto. E anche per una copia con dedica del Poema a fumetti di Buzzati. Che ho soltanto sfogliato. È molto più divertente pagare pochissimo i libri rari o introvabili. Mi succede spesso. Qualche settimana fa – per dire – ho trovato in una libreria famosa di Milano, specializzata in modernariato, una copia del libro di Oreste Del Buono La nostra età, in edizione comunissima, la collana Nuovi Coralli di Einaudi, anno 1974. Niente di che. Però io tutto quello che trovo di Del Buono lo compro – non chiedermi perché – e istintivamente l’ho preso in mano, anche se ce l’ho già. E nel foglio di guardia c’era un elaboratissimo disegno a penna Bic di Del Buono, una caricatura molto curata e molto bella, siglata OdB. Il libro era prezzato cinque euro, perché il libraio non se ne era accorto. Io correttamente – e non è da me – gliel’ho fatto notare. Ma lui correttamente me l’ha fatto pagare come l’aveva valutato. Ma devo dire che sono un suo cliente fedele. Un’altra volta un amico mi ha chiesto di valutargli la biblioteca del nonno, che voleva vendere. Io l’ho messo in contatto con un antiquario, che poi gli ha rilevato tutto in blocco. Però prima mi sono fatto regalare una cinquantina di pezzi. I più pregiati, ovviamente. Lì sono stato molto meno corretto…

Il libro che ami di più. E quello che non sopporti, ma di cui non puoi fare a meno.

Il libro che amo di più – dal punto di vista editoriale – è il “Libro illeggibile” di Bruno Munari stampato nell’officina grafica di Giorgio Lucini. Lucini peraltro è appena morto, qualche giorno fa… Quando andavo a trovarlo nel suo studio-laboratorio finivo che stavo male. Avrei voluto possedere tutto. Come quando andavo nello studio di Franco Sciardelli, altro maestro stampatore… Poi alla fine cercavo di evitare, mi veniva mal di testa, cattivo umore, depressione… Vedere cosa c’era in quegli scaffali, senza poterlo avere, era come essere in una pasticceria senza soldi. O alla finale di un concorso di bellezza senza non potere toccare le miss… Meglio stare a casa. Ah, il libro che non sopporto… La conosci la storia della prima edizione italiana de Il codice da Vinci di Dan Brown? Esce nel novembre 2003 per Mondadori. Nel retro della sovraccopertina c’è una foto di Dan Brown seduto con alle spalle un quadro raffigurante una maschera elaborata. Poi anni dopo si sparge la voce che questa prima tiratura del libro sia diversa dalle successive in cui la foto dell’autore è cambiata: Dan Brown è in piedi, con dietro un orologio. Non è che sia rarissima quella copia, però in futuro potrebbe diventarlo. La tengo, con pochissima convinzione. E comunque non ho mai letto il romanzo. Sono il tipico intellettuale snob. Detesto per principio tutto ciò che vende, ha successo o è di moda.

MascheroniL’autore defunto di cui ti vanti di possedere l’opera omnia. Meglio. L’autore defunto a cui sei devoto. E il vivente che ti piace di più leggere.

Il defunto più vivo di tutti è Sua Magnificentia Carlo Emilio Gadda. Ho tutto ovviamente, anche se non tutto in prima edizione… Dovessi leggere e rileggere solo un autore nella vita, è lui. Poi compro anche ogni edizione che trovo delle opere di Kafka: tra brossura e tascabili i Racconti ad esempio li avrò in venti edizioni diverse, anche di più. Perché? Non lo so. Ma continuo a comprarle… Tra i viventi? Parlo degli italiani. Arbasino, Ceronetti e il primo Busi, diciamo fino a Sodomie in corpo 11. Al massimo Altri abusi… Dopo basta. Per il resto, non credo di avere finito di leggere con soddisfazione un solo premio Strega dopo Sillabario di Parise, anno 1982. Sì, dài: La chimera di Vassalli, 1990…

Senti, ma… ti dessero da dirigere Tempo di Libri, la prima cosa che faresti è…?

“Tempo di Libri” temo purtroppo che non si rifarà… Esperienza finita. Siamo praticamente a settembre e ancora nessuno ha detto niente della prossima edizione… strano, no? Secondo me vogliono chiuderlo. Peccato, io ci avevo creduto tantissimo. Milano quando si muove è micidiale: un paio d’anni per rodare e poi sarebbe diventato un evento che avrebbe reso obsoleto il polveroso, stanco e sempre uguale a se stesso Salone del Libro di Torino. E invece le vecchie logiche del culturame italico, le abitudini rassicuranti, le paure degli editori e soprattutto l’ideologia progressista – in realtà il massimo del conservatorismo – che avvolge fino all’asfissia il mondo intellettuale italiano, hanno fatto passare l’idea distorta che Milano fosse il simbolo negativo di un libro succube del Mercato e dei manager mentre il salone di Torino il simbolo esemplare del libro come vera Cultura degli scrittori e dei lettori. Con risultato che, affossato Tempo di libri, si perde l’occasione di una vera grande fiera per tutti, moderna efficiente e internazionale: non ideologica, pesante e provinciale come Torino, che può portare al Lingotto anche venti premi Nobel eppure resta sempre una manifestazione con una mentalità casalinga che non riesce a uscire dal tinello Einaudi-Radio3-pagine culturali di Repubblica-talk show de La7… Ma tant’è. Mentre il Paese sta andando da tutt’altra parte, il salottino del libro rimane fermo alla prima Repubblica. Intesa non solo come forma di governo…

L’editore del passato che ti piace di più. E quello di oggi. 

Gli editori di ieri sono tanti: la Longanesi quando era di Longanesi, ovviamente. E la collana i “Centolibri”. L’Einaudi che si inventava la collana “Centopagine” con la grafica di Bruno Munari. Il vecchio Saggiatore (e un po’ anche il nuovo) delle Silerchie, ad esempio. La Rusconi di Cattabiani. La vecchia Vallecchi. La vecchia Bietti che ora è rinata e fa ancora cose molte belle. E tra gli editori di oggi, dal punto di vista dell’attenzione alla qualità materiale oltre che dei testi, il più bravo è Vincenzo Campo con la sua Henry Beyle, anche se volutamente resta una casa editrice per bibliofili e lettori fortissimi. Poi ci sono sigle molto ben strutturate dal punto di vista imprenditoriale che portano avanti progetti editoriali interessanti, come Sur per la letteratura latino-americana. E poi ci sono piccoli editori molto agguerriti, e coraggiosi. Mi vengono in mente Historica o Gog, che ritirano fuori cose molto belle per la saggistica, la politica e certa letteratura dimenticata del ’900, Raffaelli per ciò che riguarda la poesia, e poi Italo Svevo, Giometti & Antonello…

MascheroniIl libro che vorresti fosse studiato nelle scuole. E quello scolasticamente sopravvalutato. 

Vado controcorrente: e cito quello che moltissimi reputano scolasticamente sopravvalutato e che io invece vorrei fosse continuamente studiato nelle scuole. E sono I promessi sposi. Come mi disse una volta in un’intervista Cesare De Michelis, gli scrittori italiani ormai scrivono un romanzo ogni due anni. Manzoni scrisse un romanzo solo perché sapeva che lì dentro c’era tutto.

Ho un vago presentimento. I libri che non riesci a trovare li fai stampare: o dai raffinati tipi De Piante – casa editrice che hai fondato con due amici – o da Aragno, per cui curi una anomala collana. Ergo: cosa fai stampare prossimamente?

Sia la De Piante editore sia Aragno ragionano in modo inverso rispetto al mercato editoriale. Tutti dicono: faccio libri che vendono, cercando di farli anche belli. Noi invece facciamo libri belli, poi se vendono meglio. Nino Aragno mi dice sempre, e non è solo una battuta: “Mascheroni, mi raccomando! Se i libri che decidiamo di fare poi vendono anche, abbiamo sbagliato tutto… Se piacciono a troppi, non sono buoni libri!”. A lui non interessa fare business, a lui interessa restare nella storia dell’editoria. E infatti lo è già… Mentre il pay off della De Piante editore è: “Pochi libri per pochi”. E ho detto tutto. Comunque, per Aragno, dopo aver ripubblicato gli elzeviri di Emilio Cecchi, Firenze, e l’Ideario di Giuseppe Prezzolini, usciremo a breve – tra l’autunno e l’inverno – con i reportage di viaggio di Piero Chiara per la prima volta raccolti in volume, e una straordinaria raccolta di tutte le interviste italiane di Ezra Pound… Mentre con De Piante pubblichiamo a breve alcune lettere inedite di Leonardo Sciascia, con in copertina una foto del grande Ferdinando Scianna, e poi un elogio del vino di Gianni Brera, ritrovato dal figlio Paolo… Ti piace l’idea?

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