Il mio amico caro fa il medico a Torino. Telefono. Come stai? Figli. Famiglia. Cazzi vari. Poi. I medici parlano solo di sesso. Sono ossessionati dal sesso. Mi dice. Forse perché hanno una visione beota, meccanicista del corpo. Il corpo è una pulsantiera. A una azione – pigi un tasto – corrisponde reazione. Naturale. O indotta. Per riuscire a “trombare come ventenni” – dice così – i medici s’inventano intrugli strani. No. Il Viagra è per la massa. Qui si tratta di alchimia pura. Shakerano peso, altezza, età, entità del vigore richiesto alla pratica. E ti fanno l’intruglio su persona. Così. Rimarca l’amico. “Trombi come un ventenne”. Io cerco di dirgli. Che trombare va bene a vent’anni, forse. Ma a quaranta io preferisco ‘fare all’amore’, come si dice facendo della lingua una sfera, contro la falcata superiore dei denti. Ho bisogno del coinvolgimento mentale. Dell’eccitazione ignota. E poi. Gli dico. Se allo zenit, al momento meridiano, al cospetto della nudità – che è sempre sacra, che va onorata, perché il godere è la via del sapere – non mi tira. Beh. Faremo altrimenti. Con pazienza. Con il desiderio di scoprire il segreto dell’altro. Se l’affare non mi si rizza al momento giusto, gli dico, c’è come un insorgere della tenerezza, l’emozione che trabocca, il cuore appeso alle costole come una poiana. Perché spaventarsi delle proprie debolezze? Penso che una donna riesca ad amarle, quelle debolezza, riesca a smarcarle. Gli dico, all’amico medico. Che amare non è come andare in palestra. Che la subitanea erezione è tanto – ma non è tutto. E comunque, il ‘tutto&subito’ è roba da supermarket dell’usato, vacci tu. L’amico ride. Pensa che lo pigli per le palle. “Ricordi, caro mio, quando a vent’anni ce l’avevamo sempre duro, eh!”.
Qualche ora dopo. Incontro una energica venticinquenne. Bella, radiosa, dall’intelligenza violenta e volitiva. Così, come una zampata, mi torna in mente quanto mi ha detto, ore fa, il mio amico. E faccio la solita battuta da vecchio laido. “Ah, beh, beati voi a vent’anni…”. Lei capisce subito. Prima mi dà del porco. Poi mi dà del cretino. E mi racconta un fatto. “Ero triste, ero sola, di solito non vado a ballare con le mie amiche, ma quel giorno”. Stringo. Incontra un ventenne. Gli piace. Di brutto. Lo avvinghia. Si mettono insieme. Lei si trasferisce a casa sua. E lui. Non se la tromba. “All’inizio pensavo fosse un mio problema, non mi davo pace. A lui… proprio… non gli andava, ecco. Era bravissimo, cortese, simpaticissimo. Ma non gli piaceva fare l’amore. Non lo faceva proprio. Allora comincio a domandare in giro, parlo con le mie amiche, sposate o single. Quasi tutte hanno lo stesso problema. I loro ragazzi non vogliono fare l’amore, glissano. O lo fanno di rado. Troppo di rado”. Notizia del giorno: i ventenni non trombano più come conigli. Anzi, non trombano proprio. Per carità, generalizzare fa vomitare. Ma il problema, lo dicono le ragazze, c’è: un tempo i ragazzi pensavano solo a quello, all’origine del mondo, ora hanno altro per la testa e tra le gambe. D’impulso, mi viene voglia di telefonare al mio amico medico. Ehi, fai un carico di medici arrapati con una mitragliera di medicine eccitanti, qui c’è da fottere di brutto.
Non sono un sociologo, non sono un analista né uno che guarda nell’ano dei ‘costumi’ e della morale corrente. Non m’importa il ‘maschio selvaggio’ né la donna ‘amazzone’. Il corpo è troppo importante – non abbiamo altro – per disintegrarlo nelle fauci di un dibattito, avvilente. La società è asessuata, non si fanno figli perché i maschietti sono viziati, strafatti di digitale, coltivano il nulla e si tracannano il niente. E le fanciulle diventano sempre più cattive, crudeli, cruente: le ragioni ‘della specie’ premono e loro urlano, assatanate. Questo è ciò che si sa: banale osservazione dei convenevoli. Il problema, appunto, sempre, è il corpo. Cosa tocchi quando tocchi un altro corpo – cosa tocchi di te toccando un altro? Ridurre la sapienza del corpo alla dieta, alla palestra e al salutismo è da idioti: è come uno che si imponga le tabelline quotidiane sperando così di capire la materia oscura. Il problema, appunto, è sempre quello. Quanto rischi abbracciando un corpo altrui; che parti di te decidi di sacrificare per sempre; che parti dell’altro decidi di inglobare per sempre; a quale dolore ti disponi; a quale incendio della gioia; all’origine di quale frastuono? Insieme, due corpi costruiscono un ideogramma, sigillano un enigma. Chi ha voglia di risolverlo, ora? Meglio ridurre il sesso a un avvenimento sportivo, dove vince chi l’ha più duro e dura più a lungo. Oppure abolire il sesso, preferendo un’amica a un’amata. Dio mio, mio dio. Non c’è più nessuno che si arrende e precipita nella carne, facendo acquazzone e Amazzonia dei propri sguardi, morendo, finalmente, in un altro? Cosa è diventato l’uomo, se non è più questo sacro spreco di sé? (d.b.)