“Perdona il mio delitto”. Le lettere di Boris Pasternak a Evgenija
Letterature
Marilena Garis
Le sacre rappresentazioni avvengono sui palchi e nei libri. Quando sciaguratamente frequentavo l’università e una scuola stile Hogwarts (cioè che parlava di cose che non esistono) ho avuto l’onere di veder sfilare un politico siciliano, ex magistrato. La mia scuola era un palco tutto politically correct e americanismo a spruzzo. Mi ricordo che venne anche la soldatessa Boldrini, poveretta. Questo politico siciliano era ritenuto un imbecille da Falcone. Borsellino invece, da vecchio capo del FUAN palermitano, vedeva nell’ex magistrato un comunista. Nel corso di quella sacra rappresentazione sentii una delle solite filosofie della storia. Quando invece la storia è azione e, quindi, si spiega da sola.
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Parentesi siciliana. Sellerio ha pubblicato a settembre un libretto di Franco Cardini su Lawrence d’Arabia. Nientemeno: la trascrizione di un discorso radiofonico invecchiato onorevolmente di una decade. Per carità: il marchio è il marchio. Che bello sarebbe invece se avessimo professori in grado di scrivere libri fuori dai centenari (i patti in Arabia nel 1919…) che andassero a fondo delle cose.
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Su Lawrence avete letto un pezzo qui. Qui aggiungo due fatterelli. Il primo. Lawrence, a detta di Cardini, parte dallo studio universitario dell’arte araba per avvicinarsi a quella cultura. Utopia dolce, che l’accademia sappia temprare lo spirito. L’arte araba porta altrove: alla Religione invisibile. Un’esperienza che si può provare pregando inginocchiati davanti alla tomba di Federico a Palermo, che è un sacello di stile sciita con interessanti segni e testi in arabo.
Secondo fatterello. Cino Boccazzi, che presentò al lettore italiano i Dispacci segreti di Lawrence per Studio Tesi, non era certo un accademico in salsa editoriale. Boccazzi era il vecchio agente britannico nella resistenza italiana in Friuli e poi dirigente ENI. Sua figlia Maria Boccazzi (alias Kuki Gallmann) invece è stata splendida attrice controtendenza, in anni in cui andavano tutti matti per le bellezze nordiche dei fiordi. Questi Dispacci segreti sono il sentiero sterrato per arrivare a La rivolta nel deserto, dalla quale si imbocca la superstrada dei Sette pilastri della saggezza. Anche se cronologicamente vengono prima i Pilastri e poi la versione scorciata della Rivolta. Dettagli. Al fondo dell’articolo leggete qualche dispaccio, di un inglese più crudo della sintassi latina. Ma prima, uno sguardo a Lawrence…
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Lawrence uccise un arabo per evitare la inevitabile faida tra tribù. E fece benissimo, una volta tanto, evitando l’irenismo anglosassone. Poi, con candore, nei suoi Sette Pilastri della Saggezza, ci narra che uccidere gli faceva molto piacere, e per questo espiò. Espiò anche la sua nascita da una unione “illegittima”, di un nobile con la sua governante, o insegnante privata, non è chiaro. Nascere bastardi era una colpa gravissima nell’Inghilterra dell’epoca, per non parlare della sua omosessualità. C’è chi si porta la sua famiglia e le inevitabili turbe generate da essa nella tomba, chi, invece, sembra nato da sé, anche se è stato generato da una regolarissima, famiglia tradizionale. Ma le tigri e gli uomini hanno fame di carne umana.
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L’assassinio, arte suprema per de Quincey (che Lawrence certamente aveva letto), genera un piacere immenso, un senso di onnipotenza immane. Lui, Lawrence, educato all’annientamento borghese di sé nella educazione da college, forse scoprì qui le vertigini del superuomo. Non si capisce bene però, nonostante gli antiretorici Dispacci segreti, la sua politica filo-araba successiva agli accordi Sykes-Picot (1916), ai quali, peraltro, aveva partecipato come interprete. E qui un aneddoto: Lawrence parlava l’arabo popolare, quello dei ragazzini ai quali attentava la scarsa virtù. I francesi invece, volendo la Siria, ovvero la Grande Siria con il Libano, mandarono Louis Massignon, arabista insigne, terziario francescano con la passione per gli sciiti e soprattutto gli alawiti. Con un geniale calcolo strategico, Massignon scoprì negli alawiti la futura élite dirigente di Damasco. Però, quando i capi tribù dovettero scegliere tra Massignon e Lawrence, vinse l’inglese. Il fatto è che Massignon parlava l’arabo classico e basta.
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Pure, non si capisce perché Lawrence abbia giocato il ruolo di salvatore degli arabi dopo che la Gran Bretagna (che ha il coitus interruptus strategico, come gli americani) aveva reso impossibile la grande nazione araba. La nazione araba, detto per inciso, è il sogno di tutti, da quel momento, da Michel Aflak, fondatore del Baath, a Nasser, fino agli alawiti Assad siriani, che vogliono l’egemonia sciita nel Grande Medio Oriente.
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Ad ogni modo, i capi arabi sapevano le condizioni di Sykes-Picot. Lawrence non poteva pensare che non le sapessero, si trattava di statisti del deserto, spesso molto più esperti dei loro colleghi delle metropoli. Cosa entra in gioco, in questa fase? La volontà di autodistruzione di Lawrence, che ormai tiene male il suo doppio ruolo di shayk arabo e di agente, non certo dei più importanti, del Servizio britannico in Medio Oriente. Subentra poi la stramaledetta psicologia soggettiva di un uomo che cerca la rivalsa ma la trova, stranamente, nel futuro nemico di Londra, la casa regnante de La Mecca. La quale giocherà con l’Asse la seconda guerra mondiale, già facilmente prevedibile dopo i disastri diplomatici e geopolitici della prima.
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Dulcis in fundo. Il padre di “Kim” Philby, la spia che andò verso il freddo, faceva lo stesso mestiere di suo figlio ma era più bravo e, da consigliere della Casa dei Saud, fece vincere il contratto petrolifero iniziale non ai suoi datori di lavoro inglesi, ma agli americani.
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Tre ipotesi sul comportamento di Lawrence successivo al Sykes-Picot.
Era convinto di poter giocare da solo il ruolo di “campione degli arabi” a Londra? Improbabile, malgrado che Churchill gli volesse bene.
Forse pensava a mettersi in collegamento con una rete occulta britannica, legata al Re, magari tramite il suo amico George Bernard Shaw, per evitare la guerra con i nazisti, fare una pace separata con Berlino e prendersi, in cambio, tutto il Medio Oriente? Anche questo è improbabile, in una testa che pensava strategicamente (al modo dei classici greci e latini).
Forse, ancora, sperava in un accordo finale tra Londra e Stalin, che voleva solo un pezzettino di Medio Oriente per volgersi poi contro i nazisti e i capitalisti, che per lui Lawrence erano quasi la stessa cosa. Mistero.
Andrea Bianchi
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T.E. Lawrence, Dispacci segreti
26 ottobre 1916
Siamo ripartiti alle due di notte e abbiamo raggiunto Yenbo alle 5.30, attraverso una distesa monotona piatta ma non faticosa di dura ghiaia e sabbia umida. Yenbo è situata su un basso affioramento pietroso, alcuni piedi sopra la pianura. Mi sono recato alla casa di Abd el-Kadir el-Abdo, l’agente di Feysal per gli affari militari, un ufficiale molto ben informato, efficiente e ben disposto. Mi ha alloggiato per 4 giorni, durante i quali ho vagato nel Wadi Yenbo per rivedere i palmeti.
Il 1° novembre sono salito a bordo della “Suva”.
Yebo, 29 ottobre
T.E.L.
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Giovedì 29 marzo 1917
In piedi alle 5.20. Tempo freddissimo, con un vento de est che soffia senza tregua da el-Jurf e canta tra i grossi alberi intorno al nostro campo. Abbiamo trascorso quasi tutto il giorno ad ammirare Abu el-Naam dalla cima delle colline. La guarnigione ha sfilato in parata, noi abbiamo contato 390 uomini di fanteria e 25 capre (…)
Le colline intorno a noi erano tipiche dell’Hejaz orientale. Erano di una roccia scintillante, bruciata dal sole, dal suono metallico se colpita, rossa, verde o bruna se spaccata. La cima della collina è a punta rotonda, un affioramento di roccia comune, mentre i pendii più bassi sono duri al piede, nei punti resi compatti dal terriccio, instabili e scivolosi alle pendici. (…) Abbiamo inviato un distaccamento, fornito di dinamite, nella parte nord della stazione, per far saltare le rotaie e il telegrafo all’alba. Io sono partito alle 8 di sera con una compagnia di ateibah e una mitragliatrice, per collocare una mina e tagliare le comunicazioni tra Abu el-Naam e Istabl Antar. (…)
Agli aleibah non è stato richiesto di fare molto, ma anche se glielo avessimo domandato avrebbero fatto poco. Gli juheinah e i fucilieri si sono comportati benissimo e ritengo che l’attacco – a titolo di esperimento – sia stato pienamente giustificato. Ha avuto l’effetto di persuadere i turchi, nei tre giorni successivi, ad abbandonare ogni avamposto e fortino lungo la linea e a concentrare la guarnigione nelle varie stazioni ferroviarie. Questa operazione ha facilitato l’azione dei guastatori.
T.E.L.