11 Aprile 2022

Ho incontrato Mister Kurtz... Le mille vite di un mito

Il “Corriere Illustrato della Domenica”, settimanale di successo edito dai Treves a Milano, investì sull’episodio efferato la copertina del 3 settembre 1899. L’immagine è da cinema a fumetti, tra Salgari e Corto Maltese: il lettore vede, a distanza, un ufficiale che punta il fucile, spara; in primo piano, vestito di bianco, un uomo crolla, di spalle; intorno a lui, soldati neri, pianori sterminati, le montagne vaghe su un cielo lattiginoso. Sventolano, in quinta lunare, le bandiere di Francia. La didascalia è eloquente: “Francesi contro francesi in Africa”; il contesto è la conquista coloniale del Ciad; si raffigura l’uccisione del colonnello Jean-François Klobb da parte del temerario capitano Paul Voulet.

In questa storia di equatoriale sopraffazione, di delirio di onnipotenza, fitta di avventurieri, disperati e ammutinati, è chiaro, nessuno è buono. Alcuni sono decisamente malvagi; certi, semplicemente, affascinano. Klobb è stato ucciso come un cane nei dintorni di Zinder, nell’attuale Repubblica del Niger: il corpo fu spogliato di divisa, armi, onorificenze. La nudità dell’uomo bianco risalta orribile, laggiù: fu lasciato al disinteresse del vento, alle bestie. I soldati fedeli a Klobb vennero facilmente dispersi; il colonnello aveva passato gli ultimi mesi a inseguire Voulet, su cui pendeva un mandato d’arresto da Parigi. Era partito il 20 aprile da Timbuktu, la zona da cui governava, con efficacia, l’allora Sudan francese – oggi Mali –; il 10 luglio aveva raggiunto il reprobo. Il colonnello Klobb aveva percorso con i suoi oltre duemila chilometri, punteggiati da villaggi devastati, terreni in fiamme, catastrofe e cadaveri. Prima di affrontare Voulet gli aveva scritto di deporre le armi. Gli aveva intimato di mollare le armi più volte. Gli si avvicinò da solo, ordinando ai soldati di non fare fuoco, certo che di fronte a un superiore il ribelle si sarebbe piegato, almeno, al dialogo. Tra l’altro, Klobb era stato decorato come Officier de la Légion d’honneur: gli occhiali, nei ritratti di rito, un po’ stonano con il piglio da avventuriero del colonnello. Amava i deserti, si era fatto le ossa in Guyana; in Africa dal 1895, aveva affrontato i Tuareg – ne era rimasto affascinato. Il suo Dernier carnet de route au Soudan français, edito da Flammarion nel 1905, ha un fascino frugale, quei quaderni paiono gli appunti preparatori a un romanzo. L’ultimo capitolo del diario racconta la marcia di Klobb per beccare Voulet; alcuni passi hanno lampi di tenebra:

“Nei villaggi dove passa la colonna di Voulet non resta neanche un pollo”, 20 giugno 1899

“Villaggio di Doundo. Vuoto. Villaggio di Hela. Vuoto. Nei pressi, trenta uomini armano le frecce, poi scappano. Bazaga è vuoto. Dodébé vuoto. I villaggi sono devastati da Voulet”, 25 giugno

“Quaranta chilometri di camminata sfiancante. Luna velata. Boschi fitti. Tre buoi, perduti. I villaggi di Diouanès razziati da Voulet”, 26 giugno.

“Birni N’Konni. Villaggio molto grande. Magnifico edificio centrale, merlato, con ampio fossato. Rari abitanti che scappano. Ho parlato con la gente del posto: hanno affrontato la colonna di Voulet. Voulet ha organizzato l’assalto dei suoi, ha ucciso oltre mille tra uomini e donne, ha rapito settecento ragazze, poi cavalli e cammelli. Le quattro mogli più belle del capo villaggio sono con lui”, 26 giugno

“Gollele. Vuoto. Interamente bruciato. Senza viveri”, 1 luglio

“Malembago, Alikamé, bruciati; anche Sabon-Birni, interamente devastato. Era un bel villaggio. Man mano che avanziamo, soltanto villaggi distrutti da Voulet”, 3 luglio.

Nato a Parigi nel 1866, figlio di un medico, Paul Voulet era cresciuto come soldato semplice in Indocina. Aveva il volto volitivo, lo dicevano coraggioso fino all’ostilità. Fu inviato in Africa occidentale nel 1893: riuscì a sedare la rivolta dei Mossi. All’allora ministro delle colonie francesi, André Lebon, piaceva quel ragazzo dai metodi rapaci, per questo, nel 1898, gli chiese di portare in dono al suo paese il Ciad, nell’ambito dell’ambiziosa costruzione dell’Africa Equatoriale Francese. Durante l’impresa, lo accompagnava il capitano Julien Chanoine, più giovane di quattro anni, non meno spietato.

La storia della spietata Mission Voulet-Chanoine è tornata in auge di recente: è lo sfondo del documentario African Apocalypse, costruito da Rob Lemkin e Femi Nylander. Il sottotitolo che lo accompagna – An epic journey on the trail of a colonial killer and into the heart of darkness – fa esplicito riferimento al capolavoro di Joseph Conrad. In effetti, mentre Conrad pubblicava, nel 1899, a puntate, sul “Blackwood’s Magazine”, da febbraio ad aprile, Cuore di tenebra, Paul Volet ordiva e realizzava massacri tra le oscurità africane, dimostrando il talento dissennato dell’uomo occidentale in terra straniera – quasi che lì, nell’assoluto altrove, nell’eden ignoto, il richiamo del male, del massacro, fosse più potente, sublime. Paul Voulet, in effetti, parte da Dakar per la sua missione nel novembre del 1898; le prime notizie della follia omicida del capitano arrivano a Parigi a fine gennaio: il tenente Peteau scrive alla fidanzata e ai superiori una lettera che narra i metodi di Voulet, da cui è licenziato. In quello stesso periodo, Conrad scrive agli amici che “sto terminando un racconto per il ‘B’wood’ con un’urgenza spaventosa, e lo sforzo è immenso” (12 gennaio 1899). Quando Cuore di tenebra è terminato, Voulet compie la sua più efferata impresa: l’8 maggio disintegra il villaggio di Birni N’konni – che esiste ancora, in Niger, nella regione di Tahoua, fa poco più di 100mila abitanti – massacrando migliaia di abitanti, “alcuni dicono circa 10mila” (così Régis Guyotat in un articolo, La colonne infernale de Voulet-Chanoine, pubblicato su “Le Monde” il 26 settembre 1999).

Paul Voulet: ucciso nel 1899, la sua tomba, scoperchiata nel 1923, si scoprì vuota

Il gemellaggio è fatto: Paul Voulet è l’autentico “Mistah Kurtz” di Cuore di tenebra, mentre Klobb è una specie di Marlow, fin nell’ondulato, nitido ritmo assegnato al diario. Il ‘crescendo’ di Voulet ammette la proposta, rilanciata da Rom Lemkin sul “TLS”, in un vasto articolo, Meet Mr Kurtz. Another road to the originis of Heart of Darkness. Dopo aver ammazzato il colonnello Klobb, infatti, Voulet deve affrontare i malumori dei suoi: quel capo avido di terre e di sangue pare ai loro occhi un superuomo impazzito, l’ennesimo guru della guerra folgorato dalla tenia africana, dall’onnipotenza. Voulet esplose in minacce; si strappò di dosso i galloni; eliminò la divisa; prese a indossare abiti locali, dichiarando: “Non sono più francese, sono un re nero. Con voi fonderò un impero”. Alcuni gli obbedirono, conquistati da quello stralunato carisma, altri si ribellarono. Una sentinella lo ammazza il 17 luglio del 1899; il suo compare di scorribande, Julien Chanoine, era stato abbattuto il giorno prima.

Chi era davvero Mr. Kurtz? Le identità presunte, ipotizzate, sparpagliate fondano un’enciclopedia: secondo Hannah Arendt, Conrad si sarebbe ispirato alle imprese di Carl Peters, esploratore tedesco che terrorizzò la regione del Kilimangiaro, soggiogando tribù e costruendosi un harem di concubine. Secondo altri, i prototipi di Kurtz potrebbero essere il giornalista e commerciante d’avorio belga Arthur Hodister (torturato da un clan di schiavisti arabi nel 1892, la sua testa fu conficcata a un palo, il corpo smembrato e divorato), oppure il soldato belga Léon Auguste Théophile Rom, noto per la brutalità, uso a decorare la capanna che possedeva in Congo con le teste degli indigeni che osavano ribellarsi alle sue leggi. L’edizione Mursia di Cuore di tenebre suggerisce una analogia con la storia di Roger David Casement, che “andò in Congo per la prima volta a vent’anni, nel 1884, e rimase cinque anni al servizio del governo di re Leopoldo come esploratore, cacciatore, geometra e amministratore”, tentò di impiantare laggiù un consolato britannico. Tuttavia, Conrad è piuttosto chiaro nel suo romanzo: “Tutta l’Europa contribuiva a fare Kurtz”.

Il caso di Voulet, se vogliamo, è misterico: allo scaltro capitano francese mancano alcuni ‘caratteri’ di Kurtz, che resta, anche agli occhi dei suoi nemici, “un uomo notevole… un ‘genio universale’”. Kurtz, in qualche modo, teorizza l’etica del caos, va dall’‘altra parte’, nelle oscurità dell’uomo, appunto, ribelle alla norma d’Occidente, edotto alla mania; Voulet è, in forma voluminosa, voluttuosa, un mero conquistatore, un omicida di basso rango, che non consegna una visione del mondo ma, semmai, un virale desiderio di fama. Per altro, le date non coincidono: pare, piuttosto, pura medianica letteraria; pare che Voulet agisca perché Conrad ha scritto quel libro, mentre Conrad scrive, quasi che il romanzo fosse un potente feticcio, un vudù.

Quando Robert Delavignette, amministratore coloniale in Niger, poi direttore dell’École nationale de la France d’outre-mer, scoperchia le tombe di Voulet e Chanoine è il 1923 e la sorpresa è sconvolgente: i corpi sono scomparsi. Voulet pare volatilizzato; intorno a Chanoine si sviluppa una notevole leggenda. Dicono sia lui, scampato alla morte, il leggendario “Emiro bianco del Tibesti” che tra il 1916 e il ’17 riuscì a placare le rivolte dei tuareg, garantendo alla Francia il controllo di quella regione. L’emiro muore un secolo fa, pare.

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