31 Agosto 2023

“L’emoticon è il simulacro di un ditalino”. Pratica & teoria dell’amichettismo secondo Fulvio Abbate

L’amichettismo, si sappia, è una prerogativa, un’esclusiva di una Sinistra che si potrebbe opportunamente definire “con prenotazione obbligatoria”.

(Fulvio Abbate, L’amichettismo, Pdfinprop Edizioni, 2023)

Il termine “amichettismo” è stato felicemente coniato dallo scrittore Fulvio Abbate, palermitano trapiantato a Roma, noto per i suoi libri – fra i più recenti, Quando c’era Pasolini (Baldini+Castoldi, 2022) e il romanzo Lo Stemma (La nave di Teseo, 2023) – e per la sua web-tv d’impegno critico Teledurruti, per la quale ancora non finiamo di ringraziarlo. Questo provvido lemma, ormai entrato nell’uso, compare un paio d’anni fa nel suo intervento su Huffington Post a proposito del cosiddetto affaire Angelini, quando il chitarrista della famigerata trasmissione televisiva Propaganda Live di La7 viene multato dalla Guardia di Finanza per irregolarità contrattuali nello sfruttamento di una sua collaboratrice, che egli – in uno sciagurato sfogo apparso sui social – considerava come “un’amica”, definendola però “una pazza incattivita dalla vita”. In pratica, questo Angelini faceva fare consegne in nero a una ragazza nel suo ristorante romano dove “si mangia il miglior sushi della città”, come spiega Fulvio Abbate, che, nel riassumere l’intera vicenda, parla opportunamente di “amichettismo” – il vero pilastro delle relazioni che legano i personaggi orbitanti intorno e dentro l’ambiente de sinistra espresso da Propaganda Live.

«Molti i commenti di sostegno che il chitarrista romano ha ricevuto dagli Amici, comprensivi talvolta di cuoricini, un modo spiccio per mostrare appunto amicizia, forse addirittura prossima al più ampio dei sentimenti. Leggo ancora che in seguito il musicista ha ammesso l’errore: “Ho sbagliato a scrivere quel post, pagherò quello che c’è da pagare, metterò in regola la rider che fa le consegne e mi scuserò. Meglio che suono la chitarra e basta”. Sempre nel frattempo, si è saputo che la ragazza, la rider priva di garanzie, non ha denunciato per sua scelta il titolare Bob. È stata semmai la Guardia di Finanza che, fermata la ragazza per un controllo casuale, ha appurato con indagini autonome mesi di lavoro in nero».

La fase rivelatrice è stata proprio la campagna di endorsemement lanciata da famose star dello spettacolo citate da Abbate:

«subito dopo l’accaduto sulle pagine social di Roberto Angelini sono comparsi i cuoricini del conforto amicale da parte di vip, veri amici per l’appunto, e molti altri ancora, Emma, Jovanotti, Max Gazzé, Elodie. Tutti amichetti e amichette».

Qui esplode l’evidenza del fenomeno, che a questo punto merita un attributo chiaro e definitorio. Ma la cosa peggiore di questa vicenda è un’altra: la miserabile sceneggiata in cui si è simulato un gesto di responsabilità per revocarlo subito dopo. Diego Bianchi, ovvero Zoro, in apertura della puntata di Propaganda Live del 21 maggio, recita contrito un ipocrita mea culpa: «Roberto Angelini è incappato in una circostanza personale che non ha nulla a che fare con questa trasmissione. Ha sbagliato gravemente, ha continuato a sbagliare sui social. Come se non fosse con noi da 8 anni… Si è scusato più volte, si è scusato anche con la ragazza (…) Si è scusato anche con noi, per la serenità di tutti ha deciso di fare un passo indietro e di riporre la chitarra nella custodia. È una decisione che non abbiamo preso noi, pur essendo i più incazzati di tutti. Non siamo i giudici di Roberto Angelini, non sono i social i giudici di Roberto Angelini. Lui sta su questo palco dalla prima puntata: quando vorrà, il posto è suo, siamo qua». Ipse dixit: Angelini usciva dalla trasmissione per decenza, perché sarebbe stato inopportuno continuare a presenziare in un programma satirico che si attribuisce la certificazione etica dell’impegno di sinistra. Ma dicendo «quando vorrà, il posto è suo» Diego Bianchi in pratica avallava quelle scorrettezze, ritenendole non così rilevanti da meritare la censura, affermando in sostanza: “tu sei uguale a me, sei dei nostri e resti dei nostri”. Tutti amichetti dunque, figli di un sodalizio che non si fa certo incrinare da semplici inconvenienti come una giovane che si lascia mandare a lavorare in strada senza protezione di alcun tipo. Infatti, nella puntata seguente che succede? Ecco il chitarrista Angelini tornare sorridente al suo posto, incollato alla sedia, a strimpellare come se nulla fosse, sotto lo sguardo compiaciuto del dominus Diego Bianchi in arte Zoro. In realtà si sapeva che sarebbe finita così, perché il sangue amichettistico non è acqua – soprattutto nella caput mundi – e non fa sconti.

Da qui il regalo che Fulvio Abbate ci ha fatto: la ricodificazione terminologica di questo fenomeno clientelare, secondo le caratteristiche che ha maturato nella società iperconnessa del nuovo secolo. L’amichettismo, edito da Pdfinprop e scaricabile dal sito Mowmag, è un pamphlet che ci parla delle passioni, dei vezzi, delle piccole grandi felicità – e transitorie infelicità – della pratica amichettistica, delle sue implicazioni etico-estetico-politiche e del peso schiacciante che continua a far gravare sulla maturazione culturale dell’intero Paese. Abbiamo dunque interpellato l’autore, per segnalare alcuni aspetti interessanti che vorremmo chiarire.

Abbate, durante la lettura ci sono venuti in mente alcuni passi di un saggio in uscita a cui stiamo facendo la revisione, che s’intitola Introduzione al Marocco. Glieli proponiamo, perché sembrano offrire un’attinenza di base a diversi aspetti del nostro discorso. «Come in tutti i Paesi arabi e musulmani, in Marocco la tribù è l’elemento che determina l’appartenenza politica, la carriera, i matrimoni, il reddito». «La mediazione della monarchia si esalta nel rapporto tra persone, mai tra programmi, idee, ideologie». «In Marocco il potere risiede essenzialmente nella negoziazione permanente della benevolenza delle élites. La precarietà viene poi attentamente ricostituita dopo ogni arbitraggio per consentire il mantenimento del “diritto di passo” dell’élite che ha precedentemente mediato l’accordo. È questa una delle motivazioni che favoriscono un’economia locale strettamente gestita dall’apparato pubblico in mano ai clan, oltre a un’espansione irrazionale delle attività di scambio e mediazione su quelle produttive». Ecco, questi ci sembrano scenari tipici che, sotto certi aspetti e in certe forme, nemmeno da noi si riescono a superare.

Il Marocco mostra la meraviglia delle sue maioliche verdi, peccato che i sacchetti dell’immondizia siano invece neri e talvolta inquinino anche il deserto, il suo re l’ho visto su una moto d’acqua nella baia di Rabat, nell’amichettismo non c’è però nulla di regale, imperiale, semmai baretti al ginseng dove la sua “bella gente” si ritrova in un genere di conversazione post-adolescenziale, l’ambizione è di segno feticistico, mostra idealmente il poster di Simone Weil come fosse quello di Patti Smith, di Lady Oscar. Siamo di fronte alla “femminilizzazione” della dialettica, assente ogni ironia, individualità. L’ambizione non può, non deve cancellare l’eleganza, mi rendo conto che la mia posizione sia aristocratica, ma ho sempre lavorato per essere, come dico, “una testa di cazzo in proprio, mai per conto terzi”.

Infatti, la solidarietà amichettistica tipica dell’adolescenza, da “baretto”, muretto”, “piazzetta”, come lei osserva, è “una condizione temporanea, pronta a svanire con l’arrivo dell’età adulta, nel ritrovato disincanto dell’ironia, dell’autoironia infine conquistate di fronte al quotidiano esistenziale piccolo-borghese”. Dunque, chi mantiene anche in età matura la logica dell’amichettismo, che pretende “un’adesione perenne, illimitata, quasi ‘ideologica’, propria di un ricatto politico sentimentale”, oggi resta prigioniero nel circuito malato delle convenzioni da social, spesso puerili e inconcludenti. Parliamo soprattutto – dove la cosa è più evidente – delle persone in vista che gestiscono un seguito di fans da portare al pascolo, personaggi che finiscono per diventare prevedibili e irriflessivi nelle loro espressioni, prese di posizione, giudizi. Spesso sembrano figurine che non riescono a crescere, come imprigionate in un gioco di ruolo.

No, l’amichettismo vive per definizione nel recinto di un gioco di ruolo fantasy, gnomi e fate lettrici dei fondi di caffè di Concita De Gregorio.

E in questa deriva semplificatrice vediamo l’uso e abuso dell’emoticon, il grande fiancheggiatore dell’esercizio amichettistico, che va a soverchiare le possibilità di dibattito riflessivo. Una “dittatura” delle scorciatoie – com’erano le risate registrate – che permea, sterilizza, omogeneizza le manifestazioni cognitivo-espressive nel vuoto elettronico. Citando: “ «… dai, anche a me esattamente così, hai descritto alla perfezione quello che sentivo!» Segue nuovo emoticon, faccina con cuoricino o piuttosto mani giunte, supplici, tra plauso e comprensione devota. La storia intera della letteratura, dall’Iliade a ‘L’uomo senza qualità’, in un attimo cancellata dalle emoticon”. Su questo concordiamo, e ci chiediamo come mai note intellettuali / scrittrici / giornaliste affermate – di fede amichettistica – che professano senza requie l’amore per la letteratura, che la diffondono, la insegnano, che insomma ne vivono facendo proseliti, alimentano quotidianamente chilometri di commenti dei fans fatti di emoticon amorose, blandizie idiote e frasi buone per l’asilo. E si sentono gratificate, oltretutto. Lo stesso accade, beninteso, anche a personaggi maschili, ma si nota meno. Come si concilia questo con la sbandierata vocazione per la letteratura?

L’emoticon è il simulacro di un ditalino. Schlein risponde a una proposta politica di Carlo Calenda con un emoticon a cuoricino, non credo siano necessarie altre considerazioni.

Darsi godimento reciproco, insomma, col minimo sforzo. Riguardo alla sinistra politica: la giovane segretaria – eletta coi voti dei grillini che si sono assiepati ai gazebo delle primarie – è la nuova linfa di chi si è formato attraverso i manga giapponesi e i videogiochi: “È brava, è donna, è di sinistra: la perfetta antagonista della Meloni”. Ora Elly Schlein dovrà applicare le sue esperienze esistenziali per affrontare il grande nocciolo del Paese, ovvero i giovani più deboli, le case, le scuole, la sanità, il lavoro, gli anziani, i diritti contro ogni discriminazione eccetera. Ma sospettiamo che ci sia una mancanza di visione strategica complessiva, e sospettiamo anche che gli intellettuali attivi nell’ultimo decennio abbiano finito per istupidire il loro pubblico a suon di semplificazioni retoriche. Anche qui, l’amichettismo rules.

Il Pd di Elly Schlein parla agli Erasmus e agli iscritti alla Scuola Holden di Baricco, il resto è l’ennesimo ditalino edificante, ogni complessità negata. 

Gruppo MAGOG