Sull’ultimo numero di “Robinson”, inserto culturale de la Repubblica c’è un bel faccione di J.D. Salinger, d’altronde è morto dieci anni fa. In proposito, è promessa un’intervista ad Alessandro Baricco. Ma non è quella che m’importa. M’importa il pezzo, segnato nella civettuola civetta, di Massimo Cacciari.
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Non che m’importi Massimo Cacciari, le sue performance televisive mi ricordano quelle di Mauro Corona, i due sono quasi interscambiabili. M’importa, però, che un filosofo, Cacciari, si confronti con Giorgio Colli. M’importa Giorgio Colli. Lo amo, ecco. Il titolo dell’articolo è: “Empedocle. La Natura è amore-odio”. Il titolo non dice nulla – in effetti, anche l’articolo dice poco, quasi nulla.
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Massimo Cacciari scrive dell’ultimo libro firmato Giorgio Colli, Empedocle, appunto, pubblicato da Adelphi, che, tangenzialmente, è anche l’editore di diversi libri di Cacciari. Il pezzo non è un servizio fatto al lettore. Né un servizio fatto a Colli. (Ma a che serve a quel punto scrivere su un giornale se non si è servi del lettore e del suo desiderio di sapere?). Il lettore comune – come me – ci capisce quasi nulla (esempio: “L’esercizio del pensiero si trasfigura in liberazione e purificazione: se nulla si distrugge, gli elementi della vita rinasceranno attraverso il tempo in molteplici forme, e dunque ci è dato anche perseguire quella forma che tende a dissolvere la nostra apparenza fenomenica, avvicinandosi alla Realtà dello stesso Sfero”). D’altronde, Cacciari non si premura, nel vasto arco dell’articolessa – tre titaniche colonne – di citare Colli. Lo riassume, lo interpreta. Insomma, si fa grande abusando del gigante (Colli). Peccato. Una pista possibile da percorrere, tra le tante, a patto di mandare al rogo il proprio barbuto, barboso narcisismo, sarebbe stata quella di scoprire le ricorrenze dei temi di Empedocle nel lavoro complessivo di Colli. Imperdonabile, tra l’altro, la forma dell’articolo: involuta, affrettata, da suburbana accademia. Ma queste sono quisquiglie.
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Un libro di Giorgio Colli intitolato Empedocle, in effetti, non esiste. Il libro, cioè, raccoglie uno studio di Colli del 1939 – Anima e immortalità in Empedocle – e le “dispense delle lezioni tenute nell’anno accademico 1948-49 all’Università di Pisa”. Il libro Empedocle firmato da Giorgio Colli esiste perché qualcuno si è messo a cercare i materiali, li ha trascritti, li ha annotati, ha curato il tutto. Questo qualcuno ha un nome. Federica Montevecchi. Nell’articolo Cacciari non ritiene di dover citare la curatrice, forse perché abita nell’iperuranio dei filosofi. O dei vili. D’altra parte, neanche il burocrate che ha sistemato, titolato e aggiogato in pagina l’articolo di Cacciari, cita, nel box dedicato alla copertina e ai dati generici del libro (editore, numero di pagine, prezzo), la curatrice. Come mai? Ignavia, ignoranza, volontà di silenziare il lavoro di un intellettuale? Chi lo sa, a malignare c’è sempre modo. Federica Montevecchi, per altro, è una nota ed eccellente studiosa di Colli: nel 2004, per Bollati Boringhieri, ha firmato Giorgio Colli. Biografia intellettuale; nel 2018, per Luca Sossella Editore, ha pubblicato un saggio Sull’Empedocle di Giorgio Colli che precede la curatela dell’Empedocle edito da Adelphi. Non credo che queste pubblicazioni siano sconosciute a Cacciari – se così è, torni in tivù.
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Resta il fatto, culturalmente un colpo basso. Chiacchierare in lungo e in largo, su un importante giornale nazionale, di un’opera, obliando il lavoro del curatore. A questo punto, è bene usare Giorgio Colli come antidoto a Cacciari. “Non si deve permettere di deridere la cultura: condizione per questo è di mettere fuori legge i rappresentanti odierni della cultura”. (d.b.)