05 Agosto 2022

Fondane, il poeta. “La sua è opera di insubordinazione”

Benjamin Fondane, fondamentalmente, è poeta. A Iași e a Bucarest, da ragazzo, scriveva “sonetti biblici”, traduceva poesie dallo yiddish, fondava teatri d’avanguardia. La sua è un’indole creativa: Fondane non lavora a lume di candela, sulla scrivania, ha il fuoco dentro; da qui, la scrittura onnipossente, ‘fisica’, piena di scatti concettuali, di agguati d’immagini. Lo dichiara subito e sempre, Fondane, anche in seguito all’incontro, decisivo, con Lev Šestov:

“Credevo di essere solo un poeta, un critico e scrivevo i miei studi filosofici solo per compiacerlo, poiché sentivo che lui sarebbe stato più contento di avere come allievo un filosofo piuttosto che un poeta. Se dunque sono diventato un filosofo, è grazie a lui, non ho alcun merito”.

Che Fondane sia ritenuto, con giudizio, uno dei pensatori più radicali del secolo, l’autentico impudente, l’impunito che ci getta nelle domande indicibili e indecenti, è un paradosso che ne conferma la latitanza da qualsiasi didascalia. Fondane resta un fuggiasco; il sicario alla finestra, l’ombra e l’onda d’urto, il ragazzo con la rosa in bocca sulla muraglia della città. Non è un caso che a Martin Heidegger, cui dedica alcuni studi lucidi e sprezzanti – ora in Heidegger e Dostoevskij, Magog, 2022 – rimproveri di non essere “poeta né folle”: gli enigmi dell’angoscia, l’afrore dell’esistere resteranno per sempre oscuri agli accademici, anche quel grande filosofo, infine, tenterà di aggiogare l’irriducibile, il terribile, tra le maglie della necessità, di un ordine, di un ‘sistema’.

Per questo, gli studi, miliari, su Rimbaud e Baudelaire: eppure, Fondane, proprio perché poeta, non ha intenti esegetici, non intende inscatolare l’opera di quei poeti per confortare la propria visione del mondo, non ne distilla l’essenza – come, ad esempio, ha fatto Heidegger con Hölderlin, Georg Trakl, Stefan George e Rilke – per oliare la propria filosofia, per ripeterla con il proprio – arguto, profondo, magari geniale, ma pur sempre altro – vocabolario. No, Fondane – che è poeta – sa che i poeti vanno scatenati, lasciandone intatta l’oltranza, il rigore del ribrezzo, la bellezza ferina. Fondane, cioè, non anatomizza il poeta – anestetizzandolo – ce lo sbatte in faccia.

In effetti, la scrittura di Titanic – che esce nel 1937, a Parigi, per “Les cahiers du journal des poètes” – e di Ulysse – che lo accompagna per la vita: esce nel 1933 in una prima versione, poi nel 1942 – dimostra l’indomita tempra di poeta; la poesia è il punto di giunzione in cui l’opera svasa nella vita, e viceversa:

“Stupefacente è la corrispondenza tra vita e opera in questo poeta: i grandi poemi dell’esilio, Ulysse e Titanic, raffigurano emigranti, ombre latitanti senza nome né luogo, che vagano di città in città con l’esistenza stipata in una valigia, e poi i pogrom, le guerre, la razzia dell’odio. Anche Fondane è ombra, spettro della Storia. Gli ebrei si nascondono a Parigi, sono arrestati e deportati. Il loro volto è sfigurato, disumanizzato. Le parole interdette”.

Così ha detto Olivier Salazar-Ferrer – autore, tra l’altro, di Fondane et la révolte existentielle, 2007– in una intervista rilasciata a “Le Grognard” (n.8, 2008), in cui delinea alcuni tratti della poetica di Fondane:

“La sua poesia è opera di insubordinazione. Nata da una certa fascinazione per la poetica simbolista, per la perfezione formale e i suoi incantesimi, si è emancipata quasi subito, ospitando dissonanze, accordi ruvidi, terribilmente umani. Raffinatezza, perfezione e preziosismi appartengono a un idealismo poetico che ignora il paradosso umano, la mortalità, le vaste zone oscure. Leggendo Baudelaire e l’esperienza dell’abisso, incontriamo la domanda centrale: e se l’arte non fosse altro che un velo destinato a mascherare gli orrori della vertigine?… Molte poesie di Fondane parlano di nudità e disastri, di catastrofi e naufragi: il poeta rovina le nostre certezze, lede le fondamenta, erode la cultura, per giungere alla dimensione fondamentale dell’esistere”.

Fino alla fine, quando sarà internato a Drancy, Fondane lavora al proprio testamento poetico, Le Mal des fantomes. Sbaglieremmo però a credere che questo uomo di confini, sconfinamenti e abissi, si lasci sedurre dall’illusione lirica. Egli si rivolge alla poesia da rivoltoso, la ripudia e la desidera, la ama da contrariato.

“Cos’è la poesia, cos’è il poema? Non occorre fretta per capire che la poesia è ciò che il poema rivela; è ciò che il poema tradisce”.

Benjamin Fondane, Au fil du temps

Fondane trova un congeniale interprete, in tempi recenti, in Henri Meschonnic, poeta, biblista, teorico della traduzione:

“Tra i poeti suoi contemporanei, nessuno, nemmeno quelli che si sono impegnati nella Resistenza, ha scritto della rivolta e del genio della vita, mescolati alla costante percezione della morte, come Benjamin Fondane. Era un fantasma egli stesso: emigrante della vita inseguito sui fiumi di Babilonia. Contro il dualismo dei filosofi, preferì stare nel processo della vita a partire dal poema e nel poema a partire dalla vita. Lì, è presente”.

Ricorre la neve, nelle poesie di Fondane: certo, il bianco si scioglie, si slega come un velo, ma il primato è della traccia, raro geroglifico di lupi in corsa, fugace e dispari. Leggere Fondane è da avventati.

***

D’improvviso

Ero nel pieno
della lettura
quando, d’improvviso,
ho visto l’occhio assente
della finestra riempirsi di uccelli leggeri e ebbri.

Sì, nevicava.
La neve maniaca!
Cadeva
tranquilla e fredda
nel cuore perforato come una rete da pesca.

Ed era così buona!
Ubriaco
di quei fiocchi
felice di vivere
la mia mano, dimentica, ha fatto cadere il libro!

Ho visto
nevicare la neve
in un cuore messo a nudo!
Ah! Dio, non ho saputo
conservare un po’ di questa neve nel mio cuore!

Sempre in viaggio
di libro in libro!
Sempre nel viaggio
della scrittura!
E d’improvviso, la neve placida alla mia finestra!

1944

*
Rifiuto del poema

Le fanciulle del canto sono arrivate:
“Ci desideri? Siamo nude,
le labbra hanno sentore di lavanda”…

Penso alle gole della Finlandia
dove dormono le milizie del gelo…

Le vergini del sale del poema
mi dicono: “È tempo di amare!
Siamo nude sotto la pelle”.

Penso alle navi sommerse
agli annegati oltre le finestre…

Le molli puttane del sogno
gridano: “Molla la viltà, tuffati,
i pesci sono freschi e muti!”.

Penso ai condannati tedeschi:
così magri sotto le fruste…

Le dolci madri del sonno
mi cullano: “I piedi dritti
verso la sommità.
La bella del bosco dorme nell’uomo
e si nutre soltanto di baci…”.

Penso agli enormi bracieri
che infiammano i fianchi della terra.

La vecchia sdentata della morte
mi dice: “Ogni cavallo ha il suo morso.
A te è assegnata la morte lenta.
Che ti piaccia o meno, canta!
Nessuno ha il diritto di ringraziarti…
a cosa pensi, vaga ombra?”.

Mia cara, penso a Praga!
Non capisco, non capisco più
le preghiere delle sue sinagoghe…

1943

*

Dunque, nulla può placarci?
Un po’ di neve sulle labbra di stella,
la piccola morte donata in un bacio?

Sono tutto qui – Ma chi – me stesso?
Fondane il Navigatore
che a piedi attraversa paesi e poemi,

l’enorme turbinio dei morti
chini sui taccuini. La fine del mondo
la scopri assiso tra le vie del porto –
mentre marchiano incantesimi.

Specchiati, Fondane Benjamin –
dentro il ghiaccio. Palpebre pesanti.
Un uomo come tutti. Un morto di fame.

1943

Benjamin Fondane

Gruppo MAGOG