Pier Paolo Pasolini, perdona loro…
Politica culturale
Davide Grittani
Il linguaggio ha una personalità, ha geologia, destino, volto. Per questo, tradurre non è un gesto meccanico – ma neppure alchemico. La traduzione è un trapianto in cui non si produce un uguale, ma un altro – a volte un Minotauro, altre un unicorno. Provate a ripassarvi sul palato, sulle labbra, nelle narici e infine – infine, dopo!, perché la parola è carne, odore, suono, prima – questo distico: “No nos pidas la fórmula que te abra los mundos,/ sino apenas un sílaba torcida y seca como una rama”. Gemello, ma indubbiamente diverso da questo, che sappiamo da sempre, conficcato nella ramiglia dei nostri nervi novecenteschi, “Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,/ sì qualche storta sillaba e secca come un ramo”. Anche quest’altro distico, “Tú no recuerdas; otro tiempo trastorna/ tu memoria; un hilo se devana” nella mia mente monosillabica, qui, che gorgoglia nella laringe, mi sembra esattamente nuovo. Jorge Aulicino, giornalista di talento, poeta, è il traduttore in Argentina dei poeti italiani. La sua impresa, nel 2015, è stata la traduzione della Divina Commedia, dopo anni di lavoro, ma il suo impegno, da sempre, è orientato verso la poesia contemporanea. Di recente, ha tradotto Pier Paolo Pasolini e Cesare Pavese, ha lavorato dentro l’opera di Franco Fortini, di Biancamaria Frabotta e di Antonella Anedda. Quest’anno Aulicino compie 70 anni, e si è regalato, diciamo così, un lavoro aureo. La pubblicazione, per Ediciones en Danza, di una silloge di poesie di Eugenio Montale, En el humo y otros poemas, tradotte con dedizione astrale. La sfida è doppia, per così dire, perché affrontare Montale, in Argentina, significa anche confrontarsi con le storiche traduzioni di Horacio Armani, che comincia nel 1971 con ‘Eusebio’, proponendo una Antología de Montale. Sorprende, soprattutto, dialogando con Aulicino, capire quanto la poesia di Montale abbia agito nella rivoluzione lirica argentina. Le occasioni, la raccolta centrale di Montale – da cui Aulicino estrae i Mottetti e alcune poesie più clamorose, come La casa dei doganieri – è pubblica da Einaudi nel 1939, ottant’anni fa. L’omaggio che viene dall’“altro mondo” mi pare di eccezionale devozione. (d.b.)
Quando ha letto Montale per la prima volta e cosa la ha sorpresa della sua poesia?
Negli anni Settanta ho letto le prime traduzioni fatte in Argentina da Horacio Armani, poeta, traduttore e ammiratore di Montale, che conobbe a Milano. La poesia di Montale che più ha affascinato la mia generazione è stata La casa dei doganieri. Per alcuni lettori la frase Il varco è qui? è divenuta una vera parola d’ordine. Anni fa ho letto una vecchia traduzione di questa poesia ma preferisco non citare il nome del traduttore che, disgraziatamente, si era sbagliato proprio in quel momento chiave. Aveva tradotto la parola italiana varco come se fosse barco (in italiano, nave). Forse pensava che Montale stava ancora parlando della petroliera a cui alludeva nel verso precedente. Montale fu un punto di riferimento per lo slancio rinnovatore della poesia argentina degli anni Settanta, insieme ad altri autori statunitensi, inglesi e italiani, oltre ai grandi latinoamericani come César Vallejo, Nicanor Parra, Enrique Lihn o José Lezama Lima.
Come è possibile tradurre Montale in spagnolo? Che difficoltà ha incontrato?
La poesia di Montale fa un uso particolarmente denso delle parole. E di una sintassi a volte non semplice per chi non parla italiano tutti i giorni. Non credo che le mie traduzioni siano migliori di quelle di Armani. Ho cercato solamente di restare più legato alla profondità di campo di Montale.
Quante poesie di Montale ha tradotto e, riguardo alla traduzione, di quale poesia è più soddisfatto?
Ho perso il conto. Nell’antologia appena pubblicata da En Danza ci sono 35 poesie, se consideriamo i Motetti come poesie individuali. In realtà si tratta di 20 poesie brevi. Ma ci saranno, credo, un’altra ventina di poesie rimaste fuori da questo libro. In generale sono piuttosto soddisfatto della traduzione ma credo che le poesie più mutevoli siano quelle come Meriggiare pallido e assorto in virtù del loro particolare ritmo, intraducibile.
In che modo Montale ha influenzato la poesia argentina contemporanea? Qual è il Montale che ama di più: il primo, raffinato e pieno di riflessioni esistenziali, o l’ultimo, epigrammatico, aforistico?
Il primo Montale è quello che più ci ha influenzato perché è quello che più è stato tradotto. Coincideva con la nostra ricerca di una poesia più sobria, meno sentimentale. Nonostante questo, scoprire che Montale cita un tango nella sua poesia Sotto la pioggia di Le occasioni, da argentino, mi ha commosso. Alla generazione successiva alla mia, chiamata ‘oggettivista’, piaceva il Montale di Xenia I e di Xenia II del primo Diario. La poesia argentina degli anni Settanta e di quelli a seguire cercava di mitigare un poco il sentimentalismo. Fu attratta e le attrae l’immagine visiva concreta, la sobrietà di esprimere la situazione poetica (le occasioni, nel linguaggio di Montale).
Ha tradotto di recente anche Pavese. Quale poeta italiano è più vicino alla sua sensibilità di poeta?
Credo Pavese. In Pavese c’è quello stile più colloquiale. E il mito. Un mito legato all’origine. Questo è molto vicino a me.
E ora: chi ha intenzione di tradurre, quale poeta?
Spero che quest’anno venga pubblicata la mia traduzione delle poesie di Biancamaria Frabotta. Inoltre resta inedita una antologia di poesia italiana del XX secolo che continua a crescere. Abbiamo cercato di pubblicarla ma è stato impossibile ottenere tutti i diritti. I diritti postumi sono una vera maledizione. Lo stesso è successo con una antologia della poesia di Franco Fortini: non è stato possibile avere i diritti. A mio avviso gli editori o gli eredi degli autori commettono un errore quando cedono agli editori spagnoli i diritti per tutti i paesi di lingua spagnola. Mi piacerebbe fare una antologia di Alda Merini, un poeta molto amato in Argentina ma so già in partenza che sarà impossibile ottenerne i diritti.
*Traduzione dallo spagnolo di Mercedes Ariza
***
Per gentile concessione pubblichiamo alcune poesie da En el humo y otros poemas, di Eugenio Montale, tradotto da Jorge Aulicino
No nos pidas la palabra…
No nos pidas la palabra que encuadre de cada lado
nuestro ánimo informe, y en letras de fuego
lo proclame y resplandezca como el azafrán
en medio de un polvoriento prado.
Ah el hombre que parte seguro,
de los otros y de sí mismo amigo,
y no se preocupa de su sombra que la canícula
estampa sobre un muro calcinado.
No nos pidas la fórmula que te abra los mundos,
sino apenas un sílaba torcida y seca como una rama.
Esto solo hoy podemos decirte:
lo que no somos, lo que no queremos.
*
“Non chiederci la parola”
Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l’animo nostro informe,e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato.
Ah l’uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l’ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!
Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo,ciò che non vogliamo.
***
La casa de los aduaneros
Tú no recuerdas la casa de los aduaneros
en la elevación inclinada sobre la escollera:
desolada te espera desde la noche
en que entró en ella el enjambre de tus pensamientos
y se detuvo inquieto.
La marejada azota hace años la vieja muralla
y el sonido de tu risa ya no es alegre:
la brújula gira loca a la ventura
y el cálculo de los dados no regresa.
Tú no recuerdas; otro tiempo trastorna
tu memoria; un hilo se devana.
Tengo todavía la punta; pero se aleja
la casa y sobre el techo la ennegrecida
veleta gira sin piedad.
Tengo la punta; pero tú estás sola
casi ni respiras en la oscuridad.
Oh el horizonte en fuga donde se enciende
rara la luz del petrolero.
¿Es este el paso? (Pulula todavía el oleaje
sobre el acantilado que se desploma).
Tú no recuerdas la casa de esta
noche mía. Y yo no sé quién va y quién queda.
*
La casa dei doganieri
Tu non ricordi la casa dei doganieri
sul rialzo a strapiombo sulla scogliera:
desolata t’attende dalla sera
in cui v’entrò lo sciame dei tuoi pensieri
e vi sostò irrequieto.
Libeccio sferza da anni le vecchie mura
e il suono del tuo riso non è più lieto:
la bussola va impazzita all’avventura
e il calcolo dei dadi più non torna.
Tu non ricordi; altro tempo frastorna
la tua memoria; un filo s’addipana.
Ne tengo ancora un capo; ma s’allontana
la casa e in cima al tetto la banderuola
affumicata gira senza pietà.
Ne tengo un capo; ma tu resti sola
né qui respiri nell’oscurità.
Oh l’orizzonte in fuga, dove s’accende
rara la luce della petroliera!
Il varco è qui? (Ripullula il frangente
ancora sulla balza che scoscende…)
Tu non ricordi la casa di questa
mia sera. Ed io non so chi va e chi resta.
*
En el humo
Cuántas veces te he esperado en la estación
en el frío, en la niebla. Me paseaba
tosiendo, comprando diarios innombrables,
fumando Giuba, luego suprimidos por el ministro
de tabacos, el tarado.
Quizá un tren equivocado, un duplicado o tal vez
un faltante. Escudriñaba los carritos
de los changadores, por las dudas de que llevaran
tu maleta y tú llegases luego, retrasada.
Al fin aparecías, última. Es un recuerdo
de tantos. Me persigue en sueños.
*
Nel fumo
Quante volte t’ho atteso alla stazione
nel freddo, nella nebbia. Passeggiavo
tossicchiando, comprando giornali innominabili,
fumando Giuba poi soppresse dal ministro
dei tabacchi, il balordo!
Forse un treno sbagliato, un doppione oppure una
sottrazione. Scrutavo le carriole
dei facchini se mai ci fosse dentro
il tuo bagaglio, e tu dietro, in ritardo.
poi apparivi, ultima. È un ricordo
tra tanti altri. Nel sogno mi perseguita.