“Il testamento della bellezza”. Vita & opere di Robert Bridges, poeta
Poesia
Pierluigi Piscopo
Ha ragione lui. Sapido preludio concettuale. “Troppi lirici ci affliggono (o meglio, visto l’esiguo numero di copie vendute, tentano di affliggerci) con versi ingombri di mamme e di nonne, di ginocchia sbucciate e fanciullezze perdute: la poesia non può essere il ghetto della memoria, poi non bisogna lamentarsi se nessuno si ricorda più della sua esistenza”. Proprio così. Tendenzialmente – e tendenziosamente – il poeta italiano medio, che vuole l’alloro ma non ha letto un fico, annega nella vasca del proprio ombelico. L’ombelico, cioè, questa pompa idrica dell’io lirico, non si fa oblò verso il mondo, ma periscopio verso i propri buoni sentimenti. Di solito di impoetica banalità. Perciò, ha ragione Camillo Langone, giornalista feroce il giusto che oltre alle preghiere, agli artisti e al buon vino s’interessa spesso di poeti. Roba rara, in Italia, da agrimensore della meraviglia. I fatti, dopo tutto, sono questi. A Langone capita in grembo l’ultimo libro ‘italiano’ di Charles Wright che è tra i maggiori poeti americani viventi. Il libro si intitola Italia, lo stampa Donzelli, e raduna le poesie che il grande poeta – folgorato dall’ispirazione poetica a Verona, con Catullo nello zaino e Pound nel cuore – ha dedicato al Belpaese. Beh, a Langone, giustamente, girano le palle. Possibile che debba calare uno con gli attributi poetici dagli Usa a raccontarci la ‘nostra’ Italia? “Bisogna estrarre i poeti dal loro solipsismo, mi sono detto, strapparli ai loro festivalini, alle loro recensioncine, al loro piccolo mondo di piccoli premi e prefazioni”, s’è detto Langone, il Mosè della poesia ‘nuova’ – e dio stramaledica il vitello d’oro dei ‘festivalini’ e delle ‘recensioncine’ in cui muore per asfissia la lirica italica. E poi s’è ripetuto, voglio costruire un “piccolo viaggio poetico in Italia”. Ergo: Langone ha convocato oltre cento poeti italiani viventi, li ha suddivisi per le regioni del Belpaese, li ha docilmente costretti a compitare una poesia su un luogo particolare. L’esito è la giuda turistica più folle, spensierata e spaesante che sia mai stata pensata, Come sei bella (Aliberti, pp.196, euro 15,00), al cui cospetto tutte le altre sembrano grandguignolesche porcate scritte da un Gargamella del bello. Non ci credete? Allora planate nell’“incanto d’un’attrazione non indicata nelle guide” di Piazza Castello a Torino – secondo Tiziano Fratus – o nel “regno delle guglie” del Cimitero monumentale di Staglieno, “terra senza paragoni” a dire di Alessandro Rivali; godetevi il “bel sole d’oro di Cavalese” (Vivian Lamarque) e la “Babilonia celeste” dove “la brina gelata torce il cuore” che sta fra Este e Montagnana (Antonia Arslan), fate una gita nella città “sparviera./ Vanto e trionfo/ del Mediterraneo” che è la Trieste di Claudio Grisancich, fate un giro a Bologna, dove “la gente di qui ha vite incomparabili” (Matteo Marchesini) e “l’imbrunire blu toglie i veli alla vita” (Francesca Serragnoli) per poi calare a Roma, “di una luce calma e antica” (Gabriella Sica), finalmente, fino a perforare la meridiana del Meridione, fino a Palermo, “piena di desiderio”, dalla “conca arabeggiante” (Massimo Morasso). Con sinuosa necessità, Langone allinea in questa sorta di Gambero Rosso delle guide turistiche, poeti ‘laureati’ (Giuseppe Conte, ad esempio, che ci racconta del “bianco lunghissimo ricamo” di Sanremo), cantautori-poeti (Giovanni Lindo Ferretti, che “urlo di gioia, con forza, nome su nome”, lungo l’Appennino tosco), vip (Gene Gnocchi, che poeta di Fidenza, “una piccola Macondo”), talenti che saranno (Alessia Iuliano, che canta “la sconfitta del mare” in Molise, è nata nel 1995, è il poeta più giovane della truppa). E noi? E a noi tocca fare il giro d’Italia dei poeti, tappa per tappa, inoculandoci una pupilla poetica. E ora? E ora ci vuole un colpo di reni civico. Città, borghi, paesi oltre al cartello che ne denuncia il nome topografico, devono esporre, istoriata in caratteri di bronzo, la poesia di oggi che li eternerà domani. “Riconsacrare il nome”: ecco cosa fa la poesia. Dice le cose una volta. Per sempre. Nel nitore dell’irripetibile.