In Bagatelle per un massacro – l’esecrato pamphlet antisemita scritto nel 1937 tra odi, sputi, rancori, bile, collere, bestemmie, mortacci suoi e altrui – c’è qualcosa di molto simile all’amore. In Bagatelle? Sì, lì. Nel libro che incendia le vite all’inferno? Sì. Nel libro più esecrato e proibito del XX secolo? Certo. Sotto il diluvio verbale e razziale è rimasta sepolta Natalia, nessuno più la ricorda, nessuno sa nemmeno che esiste. Le parole stesse di Céline l’hanno cancellata.
“Da mezzogiorno a mezzanotte, ovunque fui accompagnato da un’interprete (della polizia). L’ho pagata a tariffa intera … Era d’altronde molto gentile, si chiamava Natalia, una bionda graziosissima, vi assicuro ardente, tutta vibrante di Comunismo, proselitista fino a farvi fuori in caso di necessità … Molto seria d’altronde … non andate a pensare certe cose! … e sorvegliata! Cristo d’un Dio!”
Céline è in Unione Sovietica, ha già scritto contro il comunismo Mea culpa, inacidito da quella ipocrisia mortale che sta uccidendo milioni di persone tra gli applausi dell’Occidente che celebra le chiacchiere; Stalin ha cominciato le sue grandi purghe e Yagoda, capo dell’NKVD, ha appena condannato Zinoviev e Kamenev, ex compagni di Lenin e Trotskij, loro stessi responsabili della morte di qualche milione di russi. Usa i puntini sospensivi e gli isterici punti esclamativi: dopo Bagatelle, per chi li usa, c’è il rischio di essere denunciati per apologia di reato; prima o poi sarà proibito persino usarli per obbligo della Morale Comune Ortografica, al massimo li mostreremo con segnalazioni diverse ma sempre retti dal sentimento, quello buono. Ma torniamo al libro proibito dove c’è una storia amorevole.
Céline ci tiene a dire che lui e Natalia altro non fanno che andare in giro ma è inutile lasciarsi andare a squallidi pettegolezzi, resta con lei fino a mezzanotte poi va a casa; la ragazza lo tiene stretto, lo osserva, lo controlla, la sua bellezza lo attrae ma la giovane russa è infatuata del Partito, del Presente, del Futuro che aspetta in fondo alla strada luminosa l’Unione Sovietica. Natalia cerca di convincerlo che le cose brutte che pensa sul suo paese sono sbagliate, non è vero che c’è putridume, delazione, morte, pidocchi, oppressione, povertà; nell’hotel Europa, però, dove Céline alloggia, ci sono scarafaggi e chissà quanti altri insetti schifosi e nelle strade c’è fetore di miseria; la graziosa interprete prova a fargli cambiare idea, alza la voce per indottrinarlo senza riuscirci.
Natalia è nata pochi anni prima della rivoluzione, conosce solo quel mondo, non ne ha altri, per lei Stalin è la certezza quotidiana dell’Unione Sovietica, Ferdinand è un infame a considerare la sua terra un letamaio dove nemmeno i porci vorrebbero rotolarsi. Spocchia gallica, invidia occidentale. I due vanno in visita, data la professione di Céline, in un ospedale di Leningrado, è un edificio triste e sporco, eppure un medico gli dice che le cose vanno bene e i malati stanno benissimo ma agli occhi del dottor Destouches c’è solo un lurido porcile fatto di letti insudiciati e pareti irrancidite: tutto gli fa schifo, dagli ebrei ai comunisti, dagli attori ai capitalisti, dalle pubblicità al cinema, non salva nessuno in questo immenso merdaio chiamato vita; eppure lei, Natalia, la suffragetta di Stalin accecata dai dogmi, lo accompagna dappertutto e non lo denuncia. Tace. Ha un legame forte con lui. Ogni giorno sempre più forte. Vanno a una partita di tennis, è un torneo di esibizione, alla ragazza piace tantissimo questo sport e Céline, che se ne frega di gente con la racchetta, l’accompagna per farla contenta. Henri Cochet, grandissimo campione francese, ha aperto una Scuola di tennis a Mosca per volontà dello Stato, tra i suoi allievi i dimenticati Eugene Korbut, Nikolai Ozerov, Antonina Nifontova e Vera Filippova.
Cochet ha viaggiato in aereo in Unione Sovietica tra la fine di agosto e settembre a Mosca, Leningrado e Kiev, a Mosca ha giocato contro Novikov ma quel giorno, con Natalia e Céline seduti sui gradini, il tennista se la vede contro lo sconosciutissimo Kudriack. C’è folla sugli spalti, la Leningrado benestante vuole ammirare il più grande tennista di quel tempo, la borghesia russa si è presentata col vestito buono e costoso; Natalia, ingenua, traduce ogni cosa, anche della conversazione di una ragazza piuttosto corpulenta che parla delle vacanze appena finite. Fa freddo, anche se siamo a fine agosto. La ragazza si lamenta della folla sul Volga, una massa di lavoratori cafoni puzzolenti le ha rovinato l’estate, mai più con questa gentaglia orrenda. Ferdinand prova tenerezza per la bella ragazza russa, è ingenua, piena di attenzione per le parole.
“La fine del match … Cochet aveva vinto largamente … il pubblico sportivissimo su tutti i gradini … applausi unanimi … calorosi … ripetuti”
Natalia è soddisfatta, la giornata è bella, ha visto il campione francese e la meglio umanità sovietica, i due ritornano alla Packard del 1920, costa 300 franchi all’ora, almeno così scrive Céline; forse l’interprete russa gli avrà parlato della bravura di Cochet, forse sarà stata in silenzio; mentre stanno salendo a bordo si avvicina un tizio che chiede un passaggio fino a Leningrado per lui e un amico. L’uomo è il capo dell’Inturist, compagnia fondata nel 1929 come Società per azioni statale (GAO) per il turismo estero nell’URSS, ha il compito di gestire la maggior parte degli accessi di visitatori stranieri in territorio sovietico. Fossi, buche, strade crudeli, rotte, in auto la conversazione sussulta in inglese, l’uomo dell’Inturist chiede allo straniero come trova la Russia, Céline ne parla male.
“Natalia torna a rannicchiarsi nell’angolo opposto … mi fa piedino. Assolutamente inoffensivo a dire il vero tutto quel che affermo è che non mi piace molto la loro cucina …”
In quel piedino di Natalia c’è complicità, affetto, protezione, vuole che stia zitto perché teme lo arrestino, gli facciano del male, lo gettino in qualche galera, se si rannicchia è per controllare la sua paura, non vuole che quel logorroico vada via dalle sue giornate sovietiche, certo è impertinente, fastidioso, criticone ma ha il cuore gentile e la bocca imporcata di insoddisfazioni, si muove nelle strade come fossero macerie, non gli sta bene niente del comunismo, forse perché in occidente non c’è ancora, e gli operai, secondo lui, per le sporcizie che ingurgitano per forza sono spolpati e anemici, sembrano più barboni che lavoratori quando li vedi camminare.
“Le loro macellerie, quasi tutte in scantinati, a un livello più basso della strada, grotte sotto gli edifici, in fondo … molto puzzolenti … la gente nel rigagnolo stagna … aspetta il suo turno … la coda ammassata davanti a un tendaggio di mosche … ondeggiante tutto azzurro … chiacchiera la gente … ronza con le mosche … si dibatte con lo sciame di mosche … tra le mosche”.
Il boss dell’Inturist si chiama Borodin, ride alle critiche di Céline, non se la prende, si smascella, sa anche che gli ospedali secondo lui sono una zozzeria, continua a ridere, si dispiace che la Russia non gli piaccia, nemmeno il teatro? Il Balletto? Natalia, intanto, sempre più zitta, spaventata, rimpicciolita dal terrore mentre Céline e Borodin continuano a parlare. Anche l’amico non dice una parola. Solo che bisogna farla finita, in serata Natalia e Louis Ferdinand devono andare a teatro. Céline è entusiasta del teatro Mariinskij: scintillante, enorme, luminoso, vale il viaggio solo lui; con Natalia ci va ogni sera, vede sei volte La donna di picche di Čajkovskij. I soviet occupano il palco, gli operai sono seduti in fondo vestiti come tamarri a festa, c’è casino ovunque, ovvio ci sono anche gli ebrei panciuti con gli occhiali, gran caciara, cori, orchestra, quanto entusiasmo in Céline quando vede danzare, lui ha una passione sfrenata per la danza, e se i suoi libretti venissero rappresentati nella triste Russia invece che nella fatua Francia?
“Natalia, mia cara, volete telefonare da parte mia al direttore? …. Se vuole ricevermi? Ascoltarmi qualche minuto … Ho un intero complotto in tasca!”
Nascita di una fata fa parte dei tre soggetti di tre balletti assieme a Paul canaglia. Virginie coraggiosa e Van Bagaden, non a caso Bagatelle si apre con un dialogo tra Ferdinand e il collega medico Gutman. A scatenare la polemica è il rifiuto da parte degli organizzatori dell’Esposizione Universale del 1937 di mettere in scena un balletto di Ferdinand. In Nascita di una fata descrive la magia della foresta, il suo incanto, ma questo Céline non interessa a nessuno.
“gli spiritelli della foresta danzano, saltano, fan giravolte… è la ronda dei folletti, degli spiritelli, degli elfi… Il loro capo è un folletto con la corona, il Re dei folletti, agile, vivace, sempre in agguato… Essi giuocano… a saltamontone… con loro nella ronda gioiosa… una cerva esile e timida… la loro piccola amica … E poi un grosso compagnone, il grosso gufo… Danza anche lui, di qua, di là… ma tranquillamente, sempre un po’in disparte… Lui è il consigliere, il saggio della piccola banda… sempre un po’ imbronciato… come il coniglietto è là… con il suo tamburino… (…) Nella leggenda è scritto… che se si lasciano cadere tre gocce di Chiaro di Luna sulla fronte di una vergine morta per amore, essa tornerà in vita come fata… Le gocce di luna sono le gocce della rugiada notturna e che si trovano sull’orlo di certe ortiche… e che hanno avuto i raggi di certe fasi di luna… Gufo conosce nella foresta un certo ragno “crociato” che colleziona nella sua tela certe gocce di quel liquore di luna rarissimo…”
Il logorroico francese ottiene la riunione, spiega il suo testo, lo mima, lo anima davanti a babbioni immobili, lui insiste, fa lo scemo, il clown, il buffone di corte, quelli si sciolgono, applaudono infine il direttore zittisce tutti. Inizia la tiritera, è un tema frivolo, irreale, troppo fantastico, poco legato alla realtà, i russi amano la violenza, così scrive l’invasato Ferdinand; che paradosso: Céline, considerato il brutale scrittore del reale, viene bocciato per aver scritto un testo magico, più vicino a Yeats che a Gorkij; il sociale conta su ogni cosa, l’educazione delle masse è fondamentale, la pedagogia delle intelligenze non le favole. Per me la realtà è un incubo continuo, scrive Céline in quegli anni alla sua amante, la pianista Lucienne Delforge di cui accenna in Bagatelle quando con una donna anziana parla di Haydn e Chopin. L’umanità, continua il burosoviet, ha bisogno di speranza ma una speranza concreta mica fole mistiche o pagane, il misticismo di Céline non viene accettato in Russia e mai considerato altrove, lui ormai è un vecchio sporcaccione più brutale delle cose che descrive. Eppure in una celebre intervista si dichiara mistico, nessuno ha più passione, carnalità, sensi, tensione, furia, verbo, basterebbe leggere qualche pagina di Caterina da Siena o di Maddalena de’ Pazzi per comprendere Ferdinand. Céline che scrive di fate – quelle in cui credeva il razionalista Conan Doyle –, che racconta fiabe alla figlia la sera, che disprezza la materia; il tenero Ferdinand cammina con Natalia e si fermano davanti alle vetrine dove è esposta robaccia immonda, spazzatura pure costosa, i russi si vestono restando poveri anzi quei vestiti esibiscono la povertà, soprattutto la fame, quella che umilia e lascia la puzza; Natalia e Ferdinand si muovono per le deprimenti strade di Leningrado e lui, abituato all’obesità occidentale, si ritrova quel mondo come uno sputo in faccia.
Natalia, quando non è con Ferdinand, è a fare rapporto alla polizia, deve informare sul comportamento dello straniero, lei tace sugli umori del francese, lo protegge come ha cercato di fare in auto facendogli il piedino. Non deve succedergli niente. Per un momento lo perde di vista e quando lo ritrova Ferdinand sta parlando con un’anziana pianista avvilita dalla solitudine, l’ha sentita suonare e la sta rassicurando, tornerà ad esibirsi davanti al pubblico, in trionfo, come merita perché è bravissima; alla presenza di Natalia però smette, saluta la donna e le giura che sarebbe ritornato. Sarà l’ultima volta che la vede.
“Natalia, la mia interprete, era assolutamente ligia … ben istruita, diligentissima sul lavoro … Mi ha mostrato tutto quel che sapeva, tutti i castelli, tutti i musei, i posti più belli … i santuari più rinomati … le prospettive più sorprendenti … gli antichi parchi … le isole … conosceva benissimo tutte le lezioni … per ogni circostanza, per ogni momento … il fervorino persuasivo, la piccola allusione politica … Era ancora molto giovane, ma aveva l’esperienza delle tormente rivoluzionarie … dei rovesciamenti sociali … dei mondi in fusione … Aveva imparato da molto piccola … Aveva giusto quattro anni, al momento della guerra civile … Sua madre era borghese, un’attrice …”
Una sera sua madre disse alla figlia che sarebbe scesa a prendere il carbone, dopo essersi accertata del trambusto in strada, la bimba non la vide mai più e del padre non si sapeva nulla; crebbe nelle colonie bolsceviche cambiando di continuo luogo per sfuggire all’Armata Bianca guidata dal comandante Kolčak che combatteva contro l’Armata Rossa: da Kazan’ a Samara al Volga, ci furono rivolte a Simbirsk e Vjatka, da Glazov attraverso Orenburg fino a Uralsk. Nel 1919 le forze dell’armata Rossa passarono al contrattacco, puntando a Ufa, espandendosi in ogni direzione fino a reprimere con estrema violenza l’opposizione dei Bianchi; faceva freddo in quegli inverni lunghissimi, più della morte.
“Certe volte, faceva così freddo che i morticini diventavano duri come pezzi di legno … Nessuno poteva scavare la terra … Non si poteva seppellirli. Li si buttava giù dal carro, era proibito scendere. Aveva visto bene, Natalia, tutta la guerra civile e poi in seguito i kulaki fradici di oro! … Aveva danzato con loro … fatto festa … e portati in fucilazione a decine e decine …”
I morti, compassione eterna, questo chiede Ferdinand, sepoltura, non memoria, solo sepoltura, per sottrarli alla fame della vita e nella vita Natalia, crescendo non solo ha imparato da autodidatta inglese, francese, tedesco ma è diventata una donna intransigente, pura, buona, di grande devozione, un misto di storia e carattere, di spregiudicatezza e ritrosia. Non è solo una guida, per Ferdinand.
“Le volevo bene, col suo nasino astuto, molto impertinente. Non le ho mai nascosto, nemmeno per un istante, tutto quello che pensavo … Avrà dovuto fare dei bei rapporti … Fisicamente era graziosa, una baltica, solida, soda, una bionda, muscoli come il suo carattere, temprati. Volevo portarla a Parigi. Pagarle il viaggetto. Il Soviet non ha voluto … Non era mica indietro, anzi parecchio spregiudicata, per nulla gelosa, né meschina, capiva tutto … Solo su un punto era ostinata, ma allora miracolosamente, sulla questione del Comunismo … Diventava francamente impossibile, infernale sul Comunismo … Mi avrebbe ammazzato su due piedi, per insegnarmi a puntino come stavano le cose … e il modo di comportarmi …”
Ferdinand vuole bene a Natalia, prova tenerezza, stanno da settimane insieme da mattina a sera, girano dappertutto, sono complici, lui ammira questa donna bella e intelligente, piena di temperamento ma consacrata al Partito, sensuale e dommatica, disinvolta e rigida rimasta schiacciata sotto le parole forsennate e odiate di Céline. Tra i due c’è passione, divisione, tempesta, quando stanno tornando da Carskoe Selo, una delle tante magnifiche residenze dello zar, Céline è preso da pietà per il destino della famiglia Romanov i cui oggetti sono messi in esposizione al pubblico ludibrio, derisi, non si fa così con i morti, non si offendono le vittime, è disgustoso, protesta Ferdinand; e Natalia, addestrata sin da bambina, lo ritiene invece giusto, gli zar meritano ogni morte, no, risponde Ferdinand, sono stati massacrati senza giudizio, madre padre e figli, anche quello emofiliaco, è cattivo gusto uccidere e poi esporre le suppellettili, è schifoso. La pietas di Céline verso i morti è ruvida ma piena di fuoco, Natalia ribatte che lo zar era un assassino che ha fatto uccidere, deportare, fucilare, bene, la ferma Céline, adesso bisogna lasciarli dormire, è finita, hanno pagato per quello che hanno fatto, è da vigliacchi percuotere i morti; è un litigo feroce, tra i due, il più estremo. Natalia, quella stronzetta, come scrive Ferdinand, non recede, urla, si sgola, i Romanov hanno avuto agi e oro sul sangue del popolo e lei, la zarina, la peggiore, un vampiro osceno indifferente al dolore del popolo.
“Ma lei aveva avuto cinque figli! Lo sai cosa vuol dire cinque figli? Quando avrai il culo squadernato come lei! Cinque volte di seguito, allora potrai parlare! Allora avrai visceri! … sofferenze! … Stronza!”
Natalia scende dall’auto e torna a piedi a Leningrado, per due giorni non si sono visti tanto sono furiosi, proprio come succede alle coppie, non sappiamo cosa ha pensato Ferdinand in quelle 48 ore, l’avrà aspettata nella stanza d’albergo, avrà chiesto di lei e Natalia chissà in che modo si sarà giustificata alla autorità sovietiche per quell’assenza; nemmeno nella rabbia lo ha denunciato, non vuole che venga colpito dal male; infine è tornata, tutto dimenticato.
“Non eravamo rancorosi … Mi ha fatto piacere rivederla. Volevo molto bene a Natalia. Non ho avuto da lei che una sola confidenza, parlo di una vera confidenza …parlo di una vera confidenza … quando le parlavo di rivoluzione … Le dicevo che presto, l’avremmo avuto anche noi in Francia, il bel comunismo”.
Ormai calma Natalia, che dà del voi a Ferdinand, lui ha una ventina di anni in più eppure c’è una intensità continua tra i due, lei gli risponde che per fare la rivoluzione ci vogliono due cose: la fame del popolo e le armi ma per avere questo è necessaria prima una guerra. Cèline l’avrebbe voluta in Francia e averla come segretaria, segreta, così avrebbe smesso, forse, di ripetere a pappardella il manuale imparato in qualche corso di Materialismo Dialettico su cosa dire contro il capitalismo. Ma Ferdinand fa anche ridere Natalia e non vuole più litigare. Le vuole bene, deve restare il bene. Tra di loro, come per chiunque, c’è il tempo, in ogni cosa: passa, spegne, trascina, distrugge. Céline torna in Francia, la Russia è per sempre lontana anche se da lì le arrivano lettere di Natalia. Lui dice che non risponde mai alle lettere, non è vero.
“Caro signor Céline,
non pensate che sia morta o scomparsa … Ero soltanto molto malata durante questi mesi e non potevo scrivervi. È passata! Sono guarita, soltanto non sono più forte come una volta. L’inverno è finito, è primavera anche da noi, con il sole che aspettavo con tanta impazienza. Ma mi sento ancora molto debole e un po’ triste. Voi non scrivete più (corsivo mio) … Mi avete forse già dimenticata? … Abbiamo visitatori del vostro paese adesso a Leningrado e ne attendiamo parecchi per le feste di giugno. Verrete anche voi un giorno? … Sarebbe meraviglioso. Vorrei tanto avere vostre notizie e vi do l’indirizzo di casa mia”.
Una lettera trascritta con lo stile di Céline, spezzato, per Ferdinand tutto diventa ombra, fantasma, ogni persona svanisce, è già nella morte, anche Natalia, la dolce, intensa, meravigliosa Natalia, persa nel buio sovietico, divorata dalla Storia, immersa nel suo comunismo, immalinconita dai tanti addii, ingoiata per sempre dal tempo che non restituisce nulla, nemmeno le cose migliori.
Davide Palmieri
*La traduzione di “Bagatelle per un massacro” è di Giancarlo Pontiggia, Guanda 1981