03 Novembre 2017

Il ritorno di Theodore Dreiser (che piaceva tanto a Moravia) a New York, la città darwiniana

Un tempo Theodore Dreiser, figlio di tedeschi immigrati negli Usa, era l’abbecedario degli scrittori ‘contemporanei’. Gli scrittori d’Italia nostra, reduci della Seconda guerra, si son fatti le ossa così. Leggendo Steinbeck, Hemingway, Wilder, un poco di Faulkner – a capirci qualcosa – e tanto Dreiser. Dreiser era tanto importante che in Americana, la mitica antologia del 1941 curata da Elio Vittorini, è tradotto da Alberto Moravia, la superstar della letteratura dell’epoca. Dreiser, in effetti, con effetti letterari prepotenti, devastava il mito del ‘sogno americano’, non si fa scrupolo nel mettere in scena arrivisti, spregiudicati, cialtroni in cerca di fama. La sagra del furbo sul buono, il Far West dell’alta finanza, soldi a go-go, speculazioni folli, frustrazione per tutti. Insomma, il nostro mondo. “Con Theodore Dreiser il verismo americano prese, infine, una parvenza moderna che lo fa accettare da troppa critica, insieme a quello di certi europei dello stesso genere… come una manifestazione romanzesca d’importanza definitiva, valevole per tutti i tempi”, sentenziava Vittorini, con un tocco d’invidia, sottolineando, tuttavia, che i romanzi dell’americano hanno “grande potenza psicologica”. I tempi corrono, dai grandi romanzi di Dreiser (Una tragedia americana, Sister Carrie, Il genio), han tratto film nazionalpopolari (esempio: Un posto al sole, cioè Liz Taylor, Montgomery Clift e 6 premi Oscar). Il tempo corrode Dreiser, che nel frattempo, nel 1945, se ne va ai campi elisi, e i romanzi invecchiano, chi li legge più. L’editore Mattioli, proprio quest’anno, recupera Il titano (pp.660, euro 22,00), mentre nell’altro mondo Mike Wallace, storico e Premio Pulitzer per il ciclo Gotham: A History of New York City to 1898 (era il 1999), parla di lui nel sequel Greater Gotham. A History of New York from 1898 to 1919 (pp.1196, $ 45.00). Il libro ‘monstre’ racconta gli anni di apprendistato giornalistico di Dreiser, nato in Indiana nel 1871, nella Big City. “Dreiser amava i giornalisti. Apprezzava il loro cinico distacco dalla pietà perbenista. ‘Uno può parlare sempre con un giornalista’, scriveva, ‘con la piena fiducia che si dà a chi è privo di fardelli moralistici’. La sua vita, d’altronde, lo aveva anestetizzato dalle illusioni Vittoriane. Famiglia povera, padre frustrato. I Dreiser erano sempre in giro – sfrattati, in cerca di affitti più economici – trattati come rifiuti dalle persone ‘rispettabili’. Le baraccopoli di Terre Haute e di Chicago hanno insegnato a Dreiser che la vita è dura, amorale e indifferente – tutte idee rafforzate leggende Spencer, Huxley, Darwin. Eppure, New York lo scosse. ‘Non avevo mai visto prima un tale spettacolo di ricchezza e di devastante povertà’. Dreiser è stupito dal numero di ‘senzatetto’ nei parchi. Dormivano ovunque, specie dove soffiava un poco di aria calda, davanti alle porte, negli scantinati, ‘esibendo una rassegnata dimestichezza con la miseria’. Soprattutto, è sopraffatto dalla ‘grandezza e dalla forza di questa città gigantesca’ dall’‘aria di spietata e indifferente disillusione che domina su tutto’. Dreiser pensa che New York sia la città esemplare della lotta darwiniana per la sopravvivenza”. Il capitolo dedicato a Theodore Dreiser’s New York è pubblicato in anteprima dalla Paris Review.

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