03 Maggio 2023

Ecco perché il relativismo della cancel culture è l’Anticristo dei nostri giorni

Le prime avvisaglie dell’avvento della cultura woke e della cancel culture che oggi tengono in ostaggio le nostre culture occidentali è forse rintracciabile in quello straordinario sismografo della modernità che è La Democrazia in America di Alexis de Tocqueville. Il grande pensatore, nella sua lucidissima disamina dell’esperienza grandiosa della democrazia americana, ne intravedeva anche i limiti e i pericoli:

“Gli Americani sono così innamorati dell’eguaglianza che preferirebbero essere uguali nella schiavitù che eguali nella libertà”. 

Anteporre l’eguaglianza alla libertà è la prima radice del pensiero totalitario o, quantomeno, autocratico. Libertà ed eguaglianza sono unite in un sinolo, in una concordia discors in cui una categoria favorisce l’altra, ma, al contempo, può anche sopraffarla e calpestarla. 

Tocqueville scorgeva l’insidia di una tirannia nello stesso esperimento democratico, una tirannia che ignora il corpo e va dritto dritto all’anima. Essa non pone l’aut aut categorico ma a suo modo onesto del “Pensare come me o morire”: essa, molto più insidiosamente, può porre il diversamente pensante all’interno di un sottile ostracismo che emargina tale soggetto consentendogli però di mantenere inalterati i diritti alla vita e alla proprietà. Si mantengono i diritti civili, ma non li si possono usare. Formalmente non si è esclusi dal gioco democratico, ma nella realtà fattuale l’ostracismo è senza appello. 

Tocqueville, impareggiabile e inascoltata Cassandra, nota così che quando ti avvicinerai ai tuoi simili essi ti additeranno come impuro e anche chi crede nella tua innocenza ti abbandonerà. Nel capolavoro tocquevilliano è già preconizzata la possibilità non solo della dittatura della maggioranza, ma anche quella opposta ma con essa intercambiabile della dittatura della minoranza, di una minoranza che invece di volere semplicemente la sacrosanta tutela del proprio pensiero e dei propri costumi pretende invece di imporre la propria alterità alla maggioranza. 

È il nucleo della cancel culture, dell’estremizzazione del politicamente corretto, del finto fair play applicato alla vita politica e civile, del galateo ipocrita di chi finge di rispettarti e in realtà ti pugnala. Il relativismo culturale in essi prospettato è in realtà il vero assolutismo dei tempi moderni in quanto fondato sull’imposizione di un pensiero unico, unidirezionale, ed è il gemello omozigote del relativismo estetico e morale che ci siamo sforzati di descrivere in un precedente articolo. 

La demenza della cancel culture non conosce ormai limiti e confini, straborda in ogni direzione e sommerge tutto, riscrivendo la storia a senso unico, cassando non solo qualsiasi giudizio che possa risultare scomodo o urticante, ma sopprimendo tout court qualsiasi forma di giudizio. Si riscrivono Roal Dahl o Agatha Christie o addirittura Jane Austen cercando di sopprimere qualsiasi passaggio o qualsiasi aggettivo che possa suonare come divisorio e discriminante e si commette un peccato capitale non solo contro la decenza del pensiero, ma contro l’essenza dell’opera d’arte, arrogandosi con luciferina presunzione il diritto di stravolgere e violentare ciò che è già stilisticamente perfetto e che è comunque innervato in una precisa cultura e in un preciso humus storico. 

Di questo passo si censura Shakespeare in quanto creatore dell’immortale personaggio di Shylock: Shakespeare era un antisemita! Con simile criterio si potrebbe estendere la guerra delle statue che già si manifesta negli Stati Uniti abbattendo da noi le statue di Dante. Il Sommo Poeta pone Maometto all’Inferno. Quale più lampante dimostrazione che Dante era islamofobo e nemico del dialogo interreligioso? 

I parossismi di tale ragionamento si sono forse avuti nella crociata indetta dai benpensanti e dai moralizzatori del Woke contro J. K. Rowling per avere fatto delle dichiarazioni di completa evidenza e completo candore sulla diversità dei generi, dichiarazioni che hanno prestato il fianco all’accusa di discriminazione e di transfobia e che hanno fatto emettere roventi condanne contro l’autrice di Harry Potter da parte degli stessi attori arricchitisi a dismisura interpretando i suoi personaggi.

La Rowling ha scoperto l’acqua calda, vero, ma l’acqua calda oggi non si può più scoprire e ciò che appare banale e oggetto di immediata evidenza sensibile non è più banale. È il funerale del senso comune, celebrato dai necrofori della cultura Woke ponendo ai margini chiunque si permetta anche solo di esprimere delle sfumature di pensiero differenti dal loro Non-pensiero. 

Un atto o è morale o non è (riferendoci all’intenzionalità morale di esso e non alle sue ricadute, per cui paradossalmente un atto morale può avere conseguenze non morali e viceversa), un’opera o è estetica o non è. Non è vero che le opinioni si equivalgano, non è vero che le differenze non esistono: la natura stessa nella sua immediata evidenza suggerisce il contrario. Il relativismo può anche essere connotato come ‘culturale’ ma non nel senso detto sopra, bensì in quello (siamo ancora alla banalità più trita) della diversità delle culture e delle tradizioni umane ma questo non implica assolutamente l’equivalenza delle opinioni e delle culture medesime. 

Si sono ricercati pretestuosamente molti padri fondatori del relativismo, additandoli in Nietzsche (povero Nietzsche, strattonato da tutte le parti facendogli dire rigorosamente ciò che non ha mai detto) o in Marx, che, al dire di Popper, eseguì delle plastiche facciali alla teoria lacerata delle confutazioni fattuali. Nel foro della storia credo che sia Nietzsche che Marx possono essere assolti con formula piena da tali accuse, essendone semmai responsabili i loro maldestri scimmiottatori.

La cultura Woke cerca anche di elidere i simboli, i riferimenti storici, più forti e persistenti di qualsiasi ideologia e di qualsiasi legame politico. Censurare le svastiche e i fasci littori da internet non è un atto di antifascismo o di antinazismo, è un puro e semplice atto di stupidità, così come la proposta di modificare la toponomastica richiamante il passato coloniale italiano, come se l’esperienza coloniale non fosse cosa da vivisezionare e da inquadrare nella sua prospettiva storica (in tali epoche quasi tutti erano in qualche modo ‘colonialisti’ in ambito occidentale e quasi tutti erano in qualche modo ‘razzisti’) ma fosse un’ipostasi eterna, una categoria perenne e metastorica non più passibile di revisione critica. 

Il relativismo della cancel culture è l’Anticristo dei nostri giorni. Non si bruciano uomini o libri, come negli autodafé che per secoli hanno arso spesso i prodotti più nobili del pensiero umano, si bruciano le idee, e quel che è peggio è che tali roghi immateriali sono praticati da minoranze (future maggioranze?) che confondono la tutela dei diritti delle minoranze stesse con l’imposizione del loro pensiero! Non c’ è bisogno di essere cattolici e forse nemmeno in senso tecnico cristiani per capire che proprio la tradizione cristiana che Novalis faceva coincidere con l’essenza dell’Europa, col suo cuore pulsante, è oggi il più forte baluardo contro l’avanzata di queste forme di relativismo. 

In una lettera alla poetessa Maria Curtopassi, Benedetto Croce scriveva, anticipando il contenuto del celeberrimo Perché non possiamo non dirci cristiani:

“Io stimo che il più profondo rivolgimento spirituale compiuto dall’umanità sia stato il Cristianesimo; e il Cristianesimo ho ricevuto e serbo, lievito perpetuo, nella mia anima”.

Parole dette da un filosofo laico e anche immanentista, ma che risuonano potenti e suggestive contro la dittatura del relativismo Woke, capace di compiere anche un’opera devastante di scristianizzazione in nome della tutela di tutte le culture e di tutte le fedi. I buoni proponimenti astratti (quando anche si concedesse ai seguaci del Woke l’attenuante della ‘buona fede’) finiscono spesso col creare disastri nelle situazioni concrete. La via dell’Inferno è quasi sempre lastricata di buone intenzioni…

Come si esce dalla prigione del Woke? Anche qui l’antidoto è un truismo di sconcertante banalità: semplicemente praticando l’esercizio del pensiero e studiando direttamente le cose. Parafrasando una celebre battuta, i fautori del Woke sono invece tutti affaccendati nel procurare una teoria del pensiero dalla quale ogni pensiero sia lontano. 

Alessio Magaddino

Gruppo MAGOG