23 Maggio 2023

“È sempre il bene a vincere”. I sonetti spirituali di Anne de Marquets

Ne ricordano la durezza, il rigore che non diverge, a tratti, dal capriccio, dall’incapricciamento per il superno. A Saint-Louis de Poissy, sotto dominio dei domenicani istruivano le giovinette d’alto lignaggio. La clausura aveva tratti cortigiani: le ragazze potevano fare le dame. Il velo era l’aura della vergine come della promessa sposa: nuziale il passo, i tratti del volto, le ambascerie erotiche. Si viveva del chiarore della vita ritirata, si andava a ricevimento – quelle irricevibili fanciulle dall’intelligenza miliare. Stazionare nella gioia.

Anne de Marquets nasce a Eu, in Normandia, da famiglia nobile, nel 1533: a Poissy riceve un’educazione di primordine. Dicono di una precocità inedita, del talento teologico, di una inaudita qualità retorica. Anne prese i voti, preferì gli studi; nel 1561 partecipa ai ‘colloqui’ indetti da Caterina de Medici a Poissy per trovare un punto di congiunzione tra cattolici e protestanti. L’incontro fu un mezzo fallimento e Anne, che frequentava i fatui poeti della “Pléiade” – Pierre de Ronsard su tutti, suo acceso ammiratore –, pubblicò il primo ciclo dei suoi Sonets spirituels. Sono testi tra i più potenti della tradizione lirica cattolica: Anne entra, in versi, nella polemica controriformista dell’epoca, la devozione non è mai catechistica, si arcua in sfoggio di saggezza, dalle audaci finiture intellettuali. Di Anne de Marquets – che il gran canone della poesia francese ha dimenticato per troppo tempo in giardino, tallonata dall’oblio – sorprende la potenza della variazione: la fede e la forma poetica chiusa non costituiscono limiti, corpetti, una corporazione di censure, ma l’entusiasmo del libero pensare, eletto corpo del verbo. La poesia di Anne de Marquets è speculativa prima che evangelica, non scioglie ma ingarbuglia, è così pia da parere cifrata, punto di eversione; Anne pare una Suor Juana Inés de la Cruz che non ha bisogno di esondazioni esuberanti: scrive sul ghiaccio, assisa tra le banchise del secolo.

Tradusse le poesie di Marcantonio Flaminio (1498-1550), l’umanista messo all’Indice dalla Chiesa cattolica, di cui Sebastiano del Piombo ci ha consegnato un ritratto di enigmatica bellezza (le mani, soprattutto, guardate quelle mani, rabdomantiche…). La sua vita si perde tra il libro d’ore e le elitre dell’epoca: pare un personaggio uscito dalla penna di Marguerite Yourcenar. Obbedì alla forma, avendo in odio il formalismo, dal prevedibile ritmo della quartina distillava sintagmi inattesi, sull’abisso di una fede intima, interiorità in cui si abbevera il dio dal volto di cervo. “Dedicò gli ultimi vent’anni della sua vita a comporre sonetti spirituali, che furono pubblicati da una suora consorella, Maria de Fortia, sua allieva, dopo la morte di Anne… è stata una delle più grandi autrici di poesia religiosa del suo tempo”, ha scritto Gary Ferguson, che nel 1997 ha curato l’edizione critica dei Sonets.   

Il canzoniere di Anne de Marquets conta 480 sonetti, un monumento, una cattedrale abbandonata per secoli, alla mercé di belve selvatiche e occasionali rondini. A Poissy, la suora poetessa costituì una specie di tiaso, dove addestrare alla poesia una stagione di giovani donne. Quasi che la poesia fosse, più che l’obolo all’eterno, la fuga da ogni regno – una finestra, piuttosto, o un urlo in vetro.

Anne morì nel 1588, pressoché cieca: la maggior parte dei sonetti venivano dettati alle consorelle, come si fila un abito notturno, luminescente.

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I sonetti spirituali di Anne de Marquets

Perché lo Spirito Santo è detto Settuplice?
Per i sette doni che elargisce ai suoi:
dei suoi beni tutto spartisce per
consolarli e istruirli – o meglio: trasformarli.

Sette lampe vide svettare l’Apostolo in cielo,
figura dei luminosi doni offerti ai seguaci
e vide l’agnello benedetto tra gli anziani
la cui cifra è conforme a coerenza:

ha sette occhi e sette corna sulla fronte
che raffigurano i sette doni di cui Cristo
ha fatto splendida seminagione sulla Chiesa:

a tutte le membra infonde potenza
il vero Dio, e lo fa mediante
ciò che ha promesso ai suoi servi.

*

Di poca importanza è pietà
se la disgiungi da costante devozione
dal servizio e dall’adorazione
che a Dio dobbiamo, totalmente.

Tutta qui la differenza: se servi
Dio simulando, con la quieta
acquiescenza di chi ama per abitudine,
quotidiano tedio, non lo soddisfi.

Pietà autentica è perfezione
di un cuore puro, integrità d’azione,
abdicare ad ogni altro affanno.

Sia Abele che Caino hanno sacrificato a Dio:
perché uno è stato accettato, l’altro ripudiato?
Il primo ha offerto il premio, l’altro il peggio.

*

Benché la Trinità, superna ed immensa,
superi del tutto l’umana ragione,
qualche paragone può aiutarci
a comprendere l’incomprensibile.

Il raggio luminoso è un parto del Sole:
da entrambi, dal loro letale legame,
scaturisce il calore che invade il mondo.
Uno non può fare senza l’altro.

Così, il Figlio, eterno splendore,
proviene dal Padre e da entrambi sboccia
il caritatevole ardore dello Spirito Santo.

Nello specchio eterno Dio contempla
il suo volto, eternamente concepisce
l’amore che tutte le cose accende ed eccede.

*

Quando vagava in questa misera valle
pur in grande afflizione, sempre la Vergine
ha cercato di ascendere al bel monte di Sion
per trovare lì un riposo celeste e duraturo.

Unica pace è Dio, sovrappiù del desiderio,
unico rimedio alla nostra afflizione
cura per chi anela alla contemplazione
retto da fede costante e maniaco amore.

Colei che un tempo ha fatto di Dio il suo
padrone, è racchiusa nel suo regno
dove il piacere è perpetuo, fissa la gioia:

chi anela al regno superno, infine trova
l’eterna pace: benché la sofferenza
ci smarrisca è sempre il bene a vincere.

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