Il 3 agosto del 1924, un secolo fa, moriva Joseph Conrad. Da tempo si era trasferito nel Kent, a Bishopsbourne, in campagna. Probabilmente, fu il cuore a cedere. Aveva 66 anni. Fu sepolto a Canterbury: il funerale, modesto, improntato alla cupa severità conradiana, fu seguito da una folla “che ignorava la grandezza di quello scrittore”, scrisse Edward Garnett. Jessie, la moglie di Conrad, di vent’anni più giovane, di spiazzante bellezza, morì dodici anni dopo; gli aveva dato due figli. Di Conrad, tutti ricordavano la barba, cavalleresca, gli occhi, gravidi di intramontabile inquietudine, le rughe, australi. Thomas S. Eliot e T. E. Lawrence riconobbero in Conrad le stimmate del genio: entrambi, a modo loro – uno, nell’alcova lirica, altoborghese, l’altro in un’esistenza liricheggiante, cioè tormentata di abissi e di dubbi – tentarono di interpretare Cuore di tenebra. Il “New York Times” si limitò a dire al mondo che Conrad era un writer of the sea: se lo era, era uno scrittore di mare pari a Melville, dove l’oceano assurge a testo sacro, a funambolica icona di Dio. L’articolista citava i libri a suo dire memorabili di Conrad, Victory, The Rover, Youth. The Rover è l’ultimo romanzo di Conrad – non il più bello. Se Nostromo e Chance sono i libri più complessi, quello assoluto, il libro-icona, l’arcangelico, è Lord Jim.
Alain Delon è morto un secolo dopo Conrad, nello stesso mese, agosto, decabrista più che augusteo, che annienta i campi con il sole sciacallo e fa del mare una palude tropicale. Non credo sia un caso. Tutti, di Delon, ricordano il volto, sublime, la vita privata, naturalmente labirintica. Da tempo, non faceva film. La parte più bella, probabilmente, Alain Delon la deve a Valerio Zurlini, che nel 1972 lo dirige in La prima notte di quiete. Il film fu quasi subito, come si dice, ‘di culto’: un manifesto dell’esistenzialismo all’italiana – a tratti, insopprimibilmente insopportabile. Il gioco d’azzardo, gli amori perduti, il talento sprecato e il corpo oltraggiato sono i simboli generici del film, girato, come si sa, in una Rimini piagata da lebbra-nebbia, mai così conturbante – pare la Saigon di Apocalypse Now, o uno dei porti estremo orientali degli estremi romanzi di Conrad, dove ci si siede in attesa che il destino, il demone, ti afferri per i capelli. Nel film, Alain Delon interpreta un professore, Daniele Dominici, che s’innamora – più per desiderio di abolirsi che per altro – di un’alunna, Vanina; il finale, va da sé, non può che sfinire in tragedia. Delon che vaga nella nebbia con il cappotto cammello è un fermoimmagine tra i più belli del cinema italiano; da paragonare, semmai, al Marlon Brando di Ultimo tango a Parigi, uscito nello stesso anno (chi dei due è Dioniso, chi Apollo?).
A Zurlini non piacque Alain Delon. “Ne ricavò un trionfo”, disse, ma “era l’opposto morale del personaggio e non ne rifletteva che esteriormente la profonda gentilezza e l’inguaribile malinconia”. Profonda gentilezza, inguaribile malinconia sembrano tralucere dal viso di Conrad; temprano, comunque, il suo personaggio più ambiguo, Lord Jim. Per chi non lo ricordasse, Jim, ufficiale della marina mercantile inglese, poi trasferitosi tra Giava e Celebes, è atrofizzato da un tremendo senso di colpa: aver abbandonato, durante una tremenda tempesta, la “Patna”, una bagnarola a lui affidata, che trasportava pellegrini musulmani. Ritirato in un sé Minotauro, Lord Jim sfoggia gesti spesso insensati, animato dal principio dello schianto.
Zurlini forgia il carattere di Daniele Dominici sui tratti di Lord Jim: il soggetto del suo film, in effetti, s’intitolava La prima notte di quiete di un Lord Jim casalingo.
“Di Daniele Dominici personalmente ho solo un vago ricordo. Lo avrò incontrato sì e no quattro o cinque volte, durante quel breve e rigido inverno che lui trascorse a Rimini, in occasione delle periodiche visite che facevo ai miei genitori sempre più vecchi e soli”.
Così attacca il testo di Zurlini: nell’anonimo che parla in prima persona non è difficile intuire le reticenze di un Marlow, il narratore di Lord Jim. Il ‘carattere’ di Daniele Dominici è speculare a quello di Lord Jim:
“in realtà, nessuno sapeva niente di lui… non poteva fare una buona impressione: vestiva in modo trascurato, pantaloni di flanella troppo larghi, un maglione grigio a collo alto, scarpe di antilope scalcagnate e bisunte, un vecchio paletot militare inglese a cui mancò sempre un bottone di cuoio, le mani profondamente affondate nelle tasche… portava la barba lunga… fumava ostinatamente delle Gauloises che infilava in un corto bocchino d’osso… parlava poco, rispondeva solo in maniera vaga e paradossale, così da ingenerare lo sgradevole sospetto di essere presi in giro”.
Eppure, Daniele Dominici – proprio come Jim, il cui enigma nasconde il riflesso di una arcana nobiltà – “quest’uomo apparentemente alla deriva, aveva qualcosa di elegante e di aristocratico che resisteva con ostinazione”. Possedeva “belle lunghe mani”, “colore chiaro degli occhi e dei capelli”, “distinzione naturale dei modi”, “l’aria timida di chi è – e tiene a rimanere – uno straniero nell’ambiente che lo ospita”. Naturalmente, “la sua vera identità nessuno riuscì a scoprirla se non dopo la sua morte”.
Nel film, il carisma-Conrad, presente ovunque – Rimini resta, pur in monopolio di mare lacustre e di una natura territoriale da pingue lido, un porto –, rimane tuttavia in sottofondo, velato, tra Piero della Francesca e le notti in discoteca, tra abiezione e amorosi incanti. La prima notte di quiete, nel film, è il titolo di un libro di poesie di Daniele Dominici, della sua abiurata giovinezza; si dice sia tratto da un verso di Goethe, tuttavia irreperibile. Piuttosto, è Wilhelm Klemm, poeta espressionista tedesco, ad aver scritto un verso che pare riassumere il tema del film: “La morte è la prima notte tranquilla”. Così, almeno, scrive Jorge Luis Borges in Storia dell’eternità (ora: Adelphi, 1997): dubitare della citazione – JLB dissemina falsi, calchi di calchi – è necessario.
Il racconto-soggetto di Zurlini, La prima notte di quiete di un Lord Jim casalingo, fu pubblicato la prima volta nel 1983, in un libro complessivo stampato dalla Libreria Prandi, Gli anni delle immagini perdute (poi ripreso da Mattioli 1885 in Pagine di un diario veneziano, 2009; 2022). Piacque molto a Vittorio Tondelli, che lo antologizzò nel suo studio sulle “Immagini letterarie di Riccione e della riviera adriatica”, tra Alberto Arbasino e Mario Luzi, Giovannino Guareschi e Giorgio Bassani, Tonino Guerra, Sibilla Aleramo e Alfredo Panzini (raccolto in Ricordando Fascinosa Riccione, Grafis edizioni, 1990; poi, con larga messe di documenti, in: Pier Vittorio Tondelli, Riccione e la Riviera vent’anni dopo 1985-2005, Guaraldi, 2005).
Detta in altri termini: Zurlini ha ideato una trasposizione filmica di Conrad, delle sue ‘atmosfere’, ben più accurata di altri ben più noti film (nell’immenso Apocalypse Now, ad esempio, Conrad, pur citato a man bassa, funge da zucchero a velo). Alan Delon è un Lord Jim, a conti fatti, più autentico di Peter O’Toole (che fu Lord Jim in un didascalico film di Richard Brooks, era il 1965).
Zurlini, d’altronde, aveva il piglio dello scrittore puro. Nel 1951 aveva spedito al “Premio Riccione” – noto per aver premiato, quattro anni prima, Italo Calvino, per la giuria d’impeccabili nomi, per la cifra consegnata al vincitore, importante – una pièce, Storia senza titolo, con un ‘motto’ esplicito: “I mostri”. La vicenda è centrata su Barbara, ragazzina agitata da euforia di sesso, di fuga, di vita, inchiodata nella prigione familiare: i suoi fratelli sono “i mostri”, reclusi in una camera, sotto chiave, affetti da una inspiegata deformità-disabilità. Il testo, finora inedito, custodito negli archivi del Premio Riccione, ha un fascino corrusco, imperfetto: “mostruosi”, in fondo, sono i desideri – messi in catene, taciuti, oppressi da tabù basso-borghesi – che folgorano i personaggi della storia.
La storia è ambientata “in una cittadina sul mare”, in provincia. Anche qui – come nei romanzi di Conrad – la linea d’ombra, la prova, la moria morale, il bisogno di perdersi, il mare, i piedi a mollo, un torbido torpore, l’Adriatico come la Malesia.