Truman Capote ha fatto del pettegolezzo un teologico stigma: per lui tra stimmate e stilettata non c’è distanza. Dice la leggenda – autentica – che TC abbia iniziato, a nove anni, scrivendo un testo, “Miss Busybody”, in cui sfotteva la mamma della sua amica Harper Lee, quella del Buio oltre la siepe. Il pezzo – già spigliato, cinico fino all’ingenuità – consentì al piccolo TC un premio. Capote violava le intimità altrui per esagerazione; colpendo i millimetrici vizi del prossimo, lo scrittore massacrava se stesso.
Specie di mito aguzzo, ‘arbitro di eleganza’, censore di un’epoca, precoce, fauno e cinghiale, pan and pig, Truman Capote ci lascia nel tardo agosto del 1984, un bye bye alcolico, mentre l’estate era già putrefatta. Un paio di anni dopo, in UK, 35 anni fa, Truman Capote, il Maradona della letteratura americana, pluma de dios, risorge con Answered Prayers, libro postumo, che postula perfidi accoliti. Quel libro, effettivamente, è un autentico ‘caso’, che capovolge i canoni editoriale. È, ad esempio, il libro più discusso della storia letteraria, senza essere edito.
TC firma un contratto con Radom House nel 1966, sulla scia del clamoroso successo di A sangue freddo. Avrebbe dovuto consegnare il libro entro due anni, ne parlò come di una ‘Recherche’ – era la sua ultima, definitiva sfida: vincere Marcel Proust. Riuscì a fare del romanzo – enigmatico, catastrofico, catodico – un pettegolezzo. “Per quattro anni, più o meno dal 1968 al 1972, dedicai la maggior parte del mio tempo a leggere e selezionare, riscrivere e catalogare lettere mie e altrui, diari e appunti dal 1943 al 1965. Intendevo usare buona parte di quel materiale per un libro che avevo in mente da tempo, una variante che avrebbe sovvertito il cosiddetto romanzo-verità”, scrive TC in Musica per camaleonti, camaleontico, pittoresco libro del 1980. Pubblicò una manciata di capitoli su “Esquire”, nel 1975: per godere dello squallido scalpore che avrebbero evocato. Capote metteva alla sbarra del suo giudizio ispido, analitico, violento, tutti: “il lolitomane William Faulkner, di solito solenne e cerimonioso sotto il duplice peso di una discutibile signorilità e dai postumi di una sbornia di Jack Daniel”; Colette, dal “viso magro e sveglio incipriato come quello di un clown, occhi a mandorla, lucenti come quelli di un cane Weimaraner”; Dorothy Parker, “un’ubriacona tale che non sai mai quando la sua faccia andrà a cascare nel brodo”; Salinger, “niente in lui è normale, non è sicuramente un normale ragazzo ebreo di Park Avenue”. Insomma, un trattato di mostrologia, un album di maschere grottesche, agitate da Truman, il grande demone. Il romanzo di un uomo che ama questa vita – il gran ballo sull’abisso – tanto da averne infine orrore.
Capote non capì le critiche – “Ma che s’aspettano? Sono uno scrittore, metto tutto nei miei romanzi. Mica vado alle feste per divertirli” –, in effetti, aveva sedotto un paio di condannati a morte per scrivere un romanzo memorabile, ‘ad effetto’. Lo scrittore, insegna TC, scende nelle latrine, dove c’è odore e timore, disseziona gli invitati a un party come il tizio che squarcia il cadavere per capire dov’è il male, la tigna, la rogna. Insomma, alla fine TC mollò il libro: “ha modificato tutto il mio concetto dello scrivere, il mio atteggiamento verso l’arte e la vita e l’equilibrio tra le due cose, e la mia visione della differenza tra ciò che è reale e ciò che è ‘veramente’ vero”. Nel 1976 aveva recitato in Invito a cena con delitto: interpreta Lionel Twain, funambolico milionario, che sbeffeggia i grandi investigatori del suo tempo (nel cast, tra i tanti, Peter Falk, Alec Guinness, Peter Sellers, David Niven, Maggie Smith…); la voce acuminata, secca, e la risata, tagliente, rendono il film eccezionale, macabro sublime.
Insomma: a partire da Preghiere esaudite e dalla rissa degli amici di TC, Ebs Burnough ha girato The Capote Tapes – sulle piattaforme digitali dal 29 gennaio – che trasuda – così scrive Peter Bradshaw su “Guardian” – “un certo fascino necrofilo… d’altronde la spietatezza del crimine eternato in A sangue freddo è pari alla ferocia letteraria e giornalistica di Capote, che fa amicizia con gli assassini, fa loro visita in prigione, e privatamente spera nella loro morte per concludere il romanzo con un finale sensazionale… quando penso a lui, ricordo una parola tedesca inventata dallo scrittore inglese Ben Schott, schmetterlingsschnauze, le fauci della farfalla, la crudeltà del dandy, insomma”.
Il film – e la storia di TC – mettono in evidenza le incongruenze di un genio per cui una vita vale soltanto se si può riassumere in una manciata di frasi elegantissime, indelebili, epigrafiche. Intanto, lo scrittore non ammette imposizioni: non rispetta i contratti, li elude. Poi, sovverte se stesso: la disciplina estetica non gli fa accettare nulla. Scrive, riscrive, cancella; sa che una buona frase è preceduta dal sacrificio di altre dieci. “Il mio sospetto è che a un certo momento abbia distrutto qualsiasi traccia dei capitoli mancanti”, ha scritto Joseph M. Fox riguardo a Preghiere esaudite, il romanzo postumo, mutilo, che tanti nemici aveva procurato a Truman – il quale è vissuto nell’al di là glaciale delle inimicizie, con un fiordo al posto del cuore, la postura ideale per scrivere. Infine, il titolo. “Si versano più lacrime per le preghiere esaudite che per quelle non accolte”. Pare provenga da Santa Teresa d’Avila – permangono dubbi. Capote amava la perfezione di Bernini, che dava al marmo natura carnale; morì senza pianti né rimpianti, con occhi simili a un Sahara. Nulla gli era stato esaudito; e anche questo, a volte, è un privilegio.