12 Novembre 2019

“Rosa, contraddizione pura”: dai Rosacroce a Rilke, dall’Isola delle Rose alla “Wars of the Roses”, un fiore riassume la storia dell’uomo, le sue ambizioni

Non credo sia un caso se l’ultima utopia di uno stato libero, dominio del sogno, si è fondata su un roseto di palafitte, in mezzo all’Adriatico, di fronte alle coste di Rimini, aveva per inno un brano dell’Olandese volante di Richard Wagner, si chiamava Isola delle Rose. Creata nel giugno del 1968, poi demolita dal Governo Rumor nel febbraio di cinquant’anni fa, l’Isola delle Rose – la cui storia è narrata in un documentario di Stefano Bisulli e Roberto Naccari –, aveva per emblema una bandiera arancio con mazzo di tre rose rosse nel centro. Certamente, la Insulo de la Rosoj – questa l’esatta dizione, dacché l’esperanto era la lingua ufficiale – si chiamava così per via dell’ingegnere bolognese che l’ha costruita, Giorgio Rosa, ma anche, immagino, come riferimento all’antica ‘isola delle rose’, Rodi – da rhodon, rosa, in greco. Icona di bellezza e di rivoluzione, enigma e contraddizione, la rosa, allora.

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Dall’afrore erotico dei greci – la rosa è passione che surclassa gli inferi, dacché l’olio di rose contiene la corruzione dei corpi morti, li salva dalla selvatichezza, è figura di resurrezione, “i morti corpi integri/ serba la rosa”, canta Anacreonte – al ‘rosario’, la ghirlanda di preghiere offerta alla Madonna; dai ‘Rosacroce’ al rosa rosae canticchiato dagli studenti per orientare la grammatica latina sul petalo delle labbra, la rosa è vertigine di una civiltà. Con talento superiore, nitore di scrittura, senza timore di ostentare cultura, Claudia Gualdana ha costruito un libro, Rosa. Storia culturale di un fiore (Marietti, 2019), che è, sostanzialmente, una camera dei sogni, una capriola nel fiorire dei millenni.

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Immutabile e mai eguale a se stessa, la rosa è vicina ad Afrodite ed è emblema di Maria, è la Rosa dei Beati di Dante, il “Romanzo della Rosa” che “insegna che la rosa è il simbolo del vassallaggio d’amore”; è nella gola di Saffo (“e tutto il luogo è ombreggiato di rose”) e nel canto di Ungaretti (“Rosa segreta, sbocci sugli abissi/ solo ch’io trasalisca rammentando/ come improvvisa odori/ mentre si alza il lamento”). È il simbolo dell’amare – “V’è nella Divina Commedia un simbolo importantissimo, la cui derivazione dalla simbologia settaria è per me indiscutibile ed è proprio il più vecchio, il più comune, il più abusato simbolo dei Fedeli d’Amore: la Rosa”, scrive Luigi Valli – e della guerra – la Wars of the Roses, che nel XV secolo ha separato “la rosa pallida di collera” degli York dalla rosa “rossa di sangue” dei Lancaster, in Inghilterra.

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Libro di rara bellezza, questo, per folgori e suggestioni – chi vuole, ha la bibliografia per coltivare il proprio roseto di ricerche e di desideri –, perché scritto con attenzione accanita. Scrive la Gualdana: “La fioritura della rosa disegna, per traslato, un cerchio. Che i petali siano cinque o cento, al culmine del giorno si iscrive nel segno della perfezione e dell’eterno ritorno. Per analogia, la rosa traccia il cammino della vita. Delle stagioni che si rincorrono uguali ogni anno, traversando lo zodiaco, imperterrite, verso un non finire che vince la morte”.

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La rosa è bellezza spinata: per sbocciare nel suo cuore occorre scalare l’erta di spine. Così, l’amore profuma e taglia, fino al sangue – la rosa chiede accuratezza –, così il viso di Cristo è rosa coronata di spine.

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Penso alla staffilata mistica nella staffetta che unisce Angelus Silesius (“La rosa è senza perché: fiorisce perché fiorisce/ a se stessa non bada, che tu la guardi non chiede”) a Rainer Maria Rilke. Il frammento rilkiano spalpebra l’onirico: “Rosa, contraddizione pura, piacere d’essere/ il sonno di nessuno sotto tante/ palpebre”. Da quel fruscio di versi (Rose, oh reiner Widerspruch… Niemands Schalf) dipende la raccolta di Paul Celan, Die Niemandsrose, “La rosa di nessuno”, di cui Claudia Gualdana, nel giardino antologico, coglie la poesia più affascinante, Salmo (“Noi un Nulla/ fummo, siamo, resteremo, fiorendo:/ la rosa del Nulla,/ la rosa di Nessuno”). La rosa, che riassume la totalità dell’esistere – il fiorire e il finire, la cerca tra le sfasature dei petali, l’acuto della spina, eppure ferisce il profumo – figura il nostro niente.

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Una delle opere tarde di Raffaello, datato 1518, è la “Madonna della Rosa” custodita al Prado. La Madonna ha il viso rassegnato, Giuseppe è defunto all’ombra, mentre Gesù piccolo e Giovanni, come indiavolati, litigano per ottenere un cartiglio su cui è scritto Agnus Dei. Chi dei due, con desiderio atroce, paradossale, vuole diventare l’agnello del sacrificio, il sacrificato? Alcuni rosoni sono adornati con l’immagine dell’agnello al macello. Sul tavolo su cui è poggiato un piede del Bambino, una rosa recisa. Il carisma è che sulla tavola c’è incertezza su tutto: forse realizzata nella bottega del maestro, chissà quando, la rosa si dice come aggiunta tarda. Quale ignoto dipintore ha avuto l’ispirazione di stilizzare una rosa dove non c’era e perché? Rosa di Nessuno.

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Al florilegio di Claudia Gualdana, aggiungo questa poesia di Rilke, tratta dai Sonetti a Orfeo.

Oh rosa, in trono tu, nell’antico tempo
per cui un calice fosti dal bordo levigato.
Ma tu per noi sei il pieno fiore innumerato
oggetto che non può avere esaurimento…

Da secoli ci chiama il tuo profumo
attraverso i suoi più dolci nomi;
e d’un tratto dimora nell’aria come gloria.

Eppure non lo sappiamo nominare, indoviniamo…
E il ricordo su di lui trascorre,
da nostre ore memorabili impetrato.

La poesia è interessante perché Rilke segnala la specie di rosa che lo ha ispirato: “era una semplice ‘eglantina’ rossa e gialla, i colori che sono propri anche della fiamma. Qui fiorisce in alcuni giardini del Vallese”. Così il commento di Franco Rella: “La rosa è un fiore topico nella poesia di Rilke. È anche sulla sua lapide. Oggetto inesauribile, segreto accoglimento del tutto: mistero che può solo essere indovinato, mentre, di faccia ad esso, s’invoca il ricordo che nasce dalle nostre ore che affiorano degne di memoria”.

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La rosa è come la fiamma, sembra una mano: appena gli dai verbo, svanisce, perché dell’occhio è il fiore, l’estasi del fugace. (d.b.)

*In copertina: Parmigianino, “Madonna della Rosa”, 1530

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