Se il caso non esiste mi domando quale mano, quale istinto d’argento mi abbia portato tempo fa in una libreria di Verbania. Il cielo, basso, gravido di capodogli e il lago, che sembra una lastra su cui è inciso il calco del teschio di Dio. Compro due libri di Rainer Maria Rilke. Le lettere a Marina Cvetaeva – ancora: la stessa edizione, la terza volta, come se acquistare lo stesso libro fosse un amuleto. Poi le lettere su Cézanne. Pago. Sto andando via. Di fianco alla porta di uscita uno scaffale con altri libri usati. Il morso d’argento del caso mi blocca. Tra i libri, mi colpisce un volume delle Poesie di Georg Trakl. Bur, 1974, “introduzione, traduzione e note di Ervino Pocar”. Pocar è uno di quelli a cui bisognerebbe fare un monumento. Nato a Pirano d’Istria, amico di Biagio Marin, studi a Vienna, irredentista, durante la Prima guerra traduce un dramma di Hugo von Hofmannsthal, invia la traduzione al grande scrittore, ne riceve in cambio un libro e un elogio. Comincia qui la carriera di uno dei massimi traduttori della cultura in lingua tedesca, dal 1934 “traduttore ufficiale dal tedesco e redattore capo del reparto libri” in Mondadori. Sue le versioni dei capolavori di Kafka, Schopenhauer, Hesse, Thomas Mann, Hoffmann. Il libro costa 2 euro. Ovviamente lo compro. Esco. L’aria del lago è di tonificante malinconia. Qui vicino, in collina, è sepolto mio padre. Apro il libro di Trakl. Come sempre, in attesa che un libro decritti la mia natura di bestia. “3 febbraio 1887, Georg Trakl nasce a Salisburgo”. È il 3 febbraio.
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L’annotazione di Pocar a Sebastiano nel sogno riproduce una lettera di Rilke a Ludwig von Ficker, del 1915. Trakl è morto il 3 novembre del 1914, overdose di cocaina, dopo aver assistito a indecenti massacri, in Galizia. “Trakl va collocato tra le figure mitiche, pari a Lino, lo sfortunato cantore greco… ho ricevuto Sebastiano nel sogno e vi ho letto a lungo, commosso, stupefatto, presago, perplesso; si capisce subito infatti che le condizioni di quei gridi e di quelle lunghe sonorità erano irreparabilmente uniche, come le circostanze dalle quali può nascere un sogno… Le esperienze di Trakl si svolgono come in visioni riflesse ed empiono tutto il suo spazio che è inaccessibile”. Rilke, Trakl. Come se il nome di uno si travasi nell’altro.
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Nel 2014, per i 100 anni dalla nascita, Adelphi pubblica, fuori commercio, Sebastian in sogno nella traduzione di Gilberto Forti. Il volume è lieve, di un azzurro metallico, sobrio. Sembra un lago. “Oh, quieto camminare sulla riva della corrente azzurra/ il pensiero rivolto a cose obliate, mentre nella ramaglia verde/ il tordo invitava al tramonto esseri ignoti”. La poesia di Trakl ha la luce di ciò che non ha tempo – si spalanca il libro, si estrae un verso, e si cerca di viverlo lungo l’assiduità del giorno. Tutto scorre verso il tramonto, lungo la corrente: ma il tramonto non è la fine, ma un esordio. L’uomo si forza a pensare il dimenticato, perché compito dell’essere vivente è riportare in vita ciò che non c’è. Per fortuna la poesia di Trakl elude la spiegazione comune, il marchingegno dell’esegesi.
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Tra le figure bianche che attraversano le poesie di Trakl, estratte dall’osso assoluto, amo Elis, “un ragazzo che simboleggia il mondo innocente dell’infanzia, rapito da morte prematura” (Pocar), un nome che forse è riconducibile all’ebraico antico El (il modo canonico per dire Dio), ma “altri pensano che la fonte siano gli Elisi, il paradiso pagano. Può darsi” (Pocar). In realtà, la poesia di Trakl, che chiede adesione e non comprensione, è l’atto innocente, cioè la visione crudele. Noi dovremmo cercare di essere domestici all’“animale azzurro” – d’altronde, sui “muri neri” alita Dio, che alimenta la solitudine, che spira dove è l’insperabile. (d.b.)
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Elis
1.
Perfetta è la quiete di questo giorno d’oro.
Sotto antiche querce
tu appari, Elis, assorto con i tuoi occhi sgranati.
Il loro azzurro rispecchia il dormiveglia degli amanti.
Sulla tua bocca
si tacquero i loro gemiti rosei.
A sera ritirò il pescatore le sue reti pensanti.
Un mite pastore
guida il suo gregge al limite del bosco.
Oh, com’è giusto ogni tuo giorno, Elis.
Lieve discende
lungo muri spogli l’azzurra quiete dell’olivo,
smuore l’oscuro canto di un vegliardo.
Un battello d’oro,
Elis, culla il tuo cuore nel cielo solitario.
2.
Dolce una sinfonia di campane gli suona in petto
la sera,
quando Elis affonda il capo nel cuscino nero.
Un animale azzurro
sanguina lievi stille nel roveto.
Sta un albero bruno là in disparte;
i frutti azzurri caddero dai rami.
Segni e stelle
scivolano nello stagno della sera.
Si è fatto inverno dietro la collina.
Colombe azzurre
bevono a notte il sudore diaccio
che a Elis scorre dalla fronte vitrea.
Il vento solitario
di Dio sempre risuona sui muri neri.
Georg Trakl
*da Georg Trakl, “Sebastian in sogno”, Adelphi 2014, trad. it di Gilberto Forti