24 Gennaio 2018

La poesia supera la Storia e fa parlare l’inesprimibile: Pasternak e Majakovskij, gli eroi della Rivoluzione

Vorrei spendere ancora due parole in merito all’ormai trascorso e pluridecantato centenario della rivoluzione russa per due motivi. Il primo motivo servirà ad isolare la causa che portò all’instaurarsi della dittatura da tutto il resto. La causa è stata il partito bolscevico, tutto il resto è stato l’attesa di un rinnovamento a livello politico, sociale ed umano, necessario e sentito in Russia a cavallo dei secoli XIX e XX. Spesso infatti ci si sofferma solo sulle estreme conseguenze di ciò che accadde dopo il 1917, per catalogare un intero movimento, passato alla storia con il nome di rivoluzione russa, e ci si dimentica delle premesse, degli sviluppi e degli uomini che vissero quei giorni. Per tornare alla causa che portò alle estreme conseguenze della rivoluzione russa, basta dire che ciò che accadde in quei giorni di ottobre non fu semplicemente l’instaurarsi di una dittatura che pretendeva di imporsi sulla realtà, ma l’instaurarsi di qualcosa che pretendeva di essere tutta la realtà, fu l’instaurarsi di un fenomeno quasi religioso. Come scrisse Nikolaj Berdjaev, noto filosofo del tempo, “il bolscevismo russo è un fenomeno di ordine religioso, in esso agiscono alcune estreme energie religiose, se per energia religiosa si intende non soltanto ciò che è rivolto a Dio. La surrogazione religiosa, la religione inversa è anch’essa un fenomeno di ordine religioso, in questo sta la sua assolutezza. Il bolscevismo non è politica, non è semplicemente lotta sociale. E’ uno stato dello spirito e pretende di prendere tutto l’uomo, tutte le sue forze, vuole rispondere a tutte le sue esigenze”.

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Boris Pasternak e famiglia, nel 1920

Il secondo motivo è ben più ampio e riguarda la categoria che spesso viene strumentalizzata in casi come questi, sia dai contemporanei sia dai posteri: la categoria dei poeti. Perché i poeti che vissero in quel periodo vengono chiamati i poeti della rivoluzione? Perché sono nati in un dato momento storico. Ebbene, io vorrei prenderli per quello che sono stati: dei poeti inseriti in una dimensione spazio temporale circoscritta. Punto e basta. Parlerò di due poeti in particolare per i quali la rivoluzione ebbe un significato preciso. Il primo è Boris Pasternak (1890-1960). Per lui il poeta è uno spettatore, un testimone, non partecipe degli avvenimenti. All’inizio le sue poesie non erano comprese, sembrava fossero distaccate dal tempo, un tempo che esigeva che tutto riecheggiasse la rivoluzione in atto. Solo Majakovskij ne intuì la forza: “le sue opere sono fra i modelli di una nuova poesia che stupendamente sente la contemporaneità. La sua essenza non è frutto dei libri, ma ha potuto formarsi solamente nelle circostanze della nostra vita”.

Di lui non si può parlare di “versi sulla rivoluzione”, essa è onnipresente e inafferrabile come l’aria.

 

Come di bronzea cenere caduta dai bracieri,

di scarafaggi brulica il giardino assonnato.

Vicino a me, a livello della mia candela

sono sospesi universi fioriti.

 

E come in una fede inaudita

io entro in questa notte,

dove il pioppo vetustamente grigio

ha ombreggiato il confine lunare.

 

Dove lo stagno è un mistero svelato,

dove bisbiglia la risacca del melo,

dove il giardino è sospeso come palafitte

e tiene dinanzi a sé il cielo.

 

La sua è una rivoluzione costante, la quale, anche se in termini di rinnovamento della società, verrà tradita, continuerà sempre, perché ripone la sua fiducia nella natura e nel continuo rinascere della vita: “Ho sempre inteso il tutto – la realtà in quanto tale – come un messaggio ricevuto o un arrivo inaspettato, e mi sono sempre sforzato di riprodurre puntualmente questo carattere di messaggio, perché mi sembrava di trovarlo nella natura stessa dei fenomeni. Tale dev’essere la vita. Deve essere la tragedia della pienezza. La tragicità della vita è la sua legge naturale, essa deve essere tragica per essere reale. Quando poi sulle sue testimonianze versi lacrime, non è perché in essa le circostanze si sono combinate in maniera sfortunata, ma perché essa è costata cara. É la sua grandezza che fa piangere”.

Quelli che seguono son versi tratti da una poesia scritta nel 1931, L’alba.

E dopo molti, molti anni

la tua voce di nuovo mi ha turbato.

Tutta la notte ho letto i tuoi precetti,

rianimandomi come da un deliquio.

 

Il deliquio è la vera vita che è concessa di vivere al poeta in rari momenti: riprendersi dal deliquio, scoprirsi nell’universale. La realtà si svela a noi perché è una forza. La forza, così come la vista e la coscienza sono dirette verso l’esterno. Sono un’energia che richiede di essere spesa.

Voglio andare tra la gente, nella folla,

nell’animazione mattutina.

Sono pronto a ridurre tutto in schegge

e a mettere tutti in ginocchio.

 

Egli passava nel folto delle battaglie, che avrebbero mutato la Russia, come un sonnambulo, destandosi a tratti per annotare con voce assonnata, non le gesta del popolo, ma i prodigi del cosmo.

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Vladimir Majakovskij, morirà suicida nel 1930

Il secondo è Vladimir Majakovskij (1893-1930). Differentemente da Pasternak, egli ama esaltare se stesso; assume la posa del cinico e del tracotante, adopera immagini molto forti. La sua attività artistica durante gli anni immediatamente seguenti alla rivoluzione d’ottobre, è immensa. Per lui il dilemma dell’aderire o del non aderire non esisteva. La rivoluzione proletaria era il suo elemento naturale. Il teatro, il manifesto politico, la satira, le parole d’ordine, insieme alla poesia lirica, diventano i suoi mezzi più immediati ed efficaci d’espressione. Una delle sue peculiarità che lo rendevano così simile a un tuono era il fatto che non sopportava la quotidianità. Tutto doveva essere grandioso, non poteva essere altrimenti. Se esisteva l’amore allora doveva esserci anche la rivoluzione! Qualcosa di cosmico, enorme!

 

Amara   

     significa

               correre in fondo

al cortile

       e sino alla notte corvina

con l’ascia lucente

                               tagliare la legna,

giocando

           con la propria

                                  forza.

Amare

             è balzare

                               dalle lenzuola

strappate dall’insonnia,

                               gelosi di Copernico

 

Ma a fianco delle iperboli e delle metafore vivissime, delle arguzie, dei giochi di parole, si inserisce a tratti un singhiozzo, uno scoppio di pianto.

 

Se urlerò a squarciagola

io

con la mia voce immensa,

le comete torceranno le braccia fiammeggianti,

gettandosi a capofitto sulla malinconia.

 

[…]

 

Passerò,

trascinando il mio enorme amore.

In quale notte

delirante,

malaticcia,

da quali Golia fui concepito,

così grande e così inutile?

 

Il suo tema dominante era l’amore. Uno dei suoi più grandi poemi, insieme alla Nuvola in Calzoni è Di questo. Uscì per la prima volta nel 1923. Un poema progettato, appunto, sull’amore.

 

E’ un tema furbo!

Si tuffa dentro ai fatti,

nei recessi degli istinti, preparandosi al balzo

furibondo ormai

                     osano dimenticarlo

ti scuote;

cadranno le anime dalle pelli.

Questo tema s’è presentato da me iroso

e m’ha ordinato:

                         Dammi

il freno dei giorni! –

Ha guardato, con una smorfia,nel mio quotidiano,

come una tempesta ha disperso uomini e cose.

 

Il punto principale di questo poema è la difesa dell’amore minacciato dai meschini valori della vita borghese. Majakovskij credeva nella rivoluzione che avrebbe cambiato qualcosa, ma purtroppo non riusciva a far tornare i conti.

 

Che posso farci

se io

     con tutta,

l’intera portata del cuore

in questa vita,

in questo

mondo

credetti

e credo.

Capì infine che la vita dell’arte non era più possibile e il suo suicidio non fu un atto di capitolazione ma un grido, il grido che la rivoluzione era morta. A conclusione di questa mia riflessione, emergono due cose: la prima è che, sebbene la storia sia inevitabilmente intrecciata all’esito e all’attività artistica in generale, è anche vero che in qualche misura se ne discosta. In campo artistico quello che ci arriva non sono le gesta poetiche di grandi uomini vissuti in un dato periodo storico, ma è un’intensità, una forza in grado di far parlare l’inesprimibile, dalla tragedia di un popolo a un pioppo nel campo. La seconda è che vi è un’essenza in ogni poesia che trascende la storia e inspiegabilmente l’abbraccia. Per dirla con le parole di Brodksij: “La poesia è una reazione al mondo, un po’ come fare le smorfie nel buio o le boccacce alle spalle del bastardo di turno, oppure è un modo per controllare la paura o il vomito. La poesia è un modo per cui “per te la luce o il buio si rifrangono”.

Isabella Serra

 

 

Gruppo MAGOG