24 Luglio 2020

“Gli scrittori hanno esistenze così squallide! E noi critici sempre a rovistare vanamente in quella loro prosaica oscurità”. Su “Quella sera dorata”, di Peter Cameron

Si può scrivere la biografia di uno scrittore suicida? Uno che già non ha accettato la sua di vita, difficilmente accetterebbe la biografia scritta da un altro. Sconosciuto, peraltro. L’autorizzazione degli eredi diventa indispensabile. È il 13 settembre 1995 e Omar Razaghi scrive agli eredi dell’opera di Jules Gund perché, dopo la tesi di laurea sullo scrittore, ha ricevuto una borsa di studio che prevede la pubblicazione di una biografia autorizzata nell’interesse del suo patrimonio letterario. Inizia così, proprio con una lettera agli eredi, il romanzo Quella sera dorata di Peter Cameron edito da Adelphi, nel 2002 (traduzione di Alberto Rossatti). Jules Gund, in verità, non entra nel romanzo se non attraverso la ragnatela dei legami familiare che ha tessuto in vita. Ha scritto un grande romanzo di successo e ha poi passato la vita cercando di farne un altro. Dal libro è stato tratto un film, nel 2009, The City of Your Final Destination, diretto da James Ivory, con Laura Linney e Anthony Hopkins. Il titolo del film è uguale al titolo originale del libro pubblicato da Cameron.

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Omar, come molti aspiranti biografi, si trova alle prese con i parenti che cercano di ostacolare l’iniziativa, nel terrore di trovarsi di fronte, in un futuro minacciosamente vicino, alla solita compilazione di biografia intessuta di svarioni, congetture e voli di fantasia non autorizzati. Così, né la moglie, né il fratello, né l’amante del defunto scrittore, autore di un solo e venerato libro, La gondola, desiderano che il giovane Omar Razaghi si rechi nella tenuta di famiglia in Uruguay e si impicci di faccende, leggermente scabrosette, che non lo riguardano. Quando un autore diventa di culto, la sua vita si fa altrettanto interessante. “Cioè, alle biografie degli artisti. O degli scrittori. La loro opera dovrebbe parlare da sola. La loro vita è la loro opera, almeno per quanto riguarda il pubblico. E una biografia può solo interferire con l’opera… inquinarla, in qualche modo”.

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Omar ha una fidanzata, Deirdre, che ripone in lui notevoli aspettative e lo mette, di fatto, sul primo aereo per il Sudamerica, decidendo di non accompagnarlo. Sceglie di rimanere a casa, a leggersi le tesine sul ruolo del destino in Tess dei d’Urbervilles. Per riuscire a scrivere una biografia, oltre all’autorizzazione, sembra necessario conoscere familiari, parenti, amici del defunto. Attraverso il loro sguardo, si può riuscire a mettere forse gli occhi nel buco della serratura della stanza dello scrittore. Ma è davvero così? Quella sera dorata ci permette di capire cosa si muove dietro le quinte di un’opera biografica. Che semplicemente non è possibile comporre. Quali sono le domande giuste e quelle sbagliate? Dove è lecito arrivare nella ricerca del materiale e nella collazione delle fonti? Ci vuole un metodo? E poi gli oggetti, i quadri e i gioielli del defunto, a chi appartengono ora? E cosa ci dicono dello scrittore?

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“Che domande interessanti e metodiche mi fa. Sarai un ottimo biografo. Per rispondere alla sua domanda: ritengo che appartengano a me. Erano di mia madre. In un certo modo appartenevano anche a Jules, naturalmente, ma Jules è morto. E in qualche modo apparterrebbero anche a Caroline, e a Arden. Ma io ritengo che appartengano soprattutto a me. Né Caroline, né Arden sanno della loro esistenza”. Ma cosa è giusto metterci, in una biografia? “Sai, spesso penso, spesso mi dico: devo cambiare vita radicalmente. Subito, prima che sia troppo tardi. Ora, ora, ora. Negli ultimi capitoli succedono spesso cose straordinarie, non è vero? Tu non pensi mai alla tua vita come a un romanzo? Io sì. Ho cominciato dentro di me molto presto. Forse quando sono andato via da qui, per la prima volta… Ho pensato: devo vivere come se fossi l’eroe di un romanzo. Devo fare sempre qualcosa di speciale, guadagnarmi sempre lo spazio sulla pagina. È molto difficile vivere così. I romanzi sono talmente ingannevoli in questo senso: lasciano fuori tante cose. Gli anni di tedio, magari felici, ma di felicità tediosa. O di tediosa infelicità”.

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Ma le persone che si conoscono, che hanno avuto il privilegio della famigliarità con lo scrittore, tra di loro condividono anche i sottintesi. Come può riuscire a coglierli un biografo che non ha mai conosciuto di persona la persona che dovrebbe descrivere? “Avevano uno strano modo di parlare tra loro, ma poi forse non era così strano, forse le persone che sono vissute quasi esclusivamente insieme, condividendo certe esperienze, parlano in quel modo ellittico, come sassi che rimbalzano sull’acqua”. E il suicidio, poi. Come è realmente andata? “Jules si è ucciso da solo”. Eppure. Le versioni non combaciano. “Non capisco cosa stai dicendo. Veramente, non lo so. Quale falsa versione? Io non ho mai mentito a proposito di Jules. Non sono implicato nella sua morte, e mi offende che tu insinui il contrario. Jules è sempre stato malinconico. Sempre, sin dalla nascita. Aveva già tentato di uccidersi una volta a diciassette anni, lo sapevi?”.

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Omar, per scrivere la biografia di un altro, mette a repentaglio la sua, di vita. Ed ecco la domanda fondamentale che pone Omar e che precede l’incidente che lo travolge: “Crede che scrivere una biografia sia sbagliato? Cioè, intrinsecamente sbagliato?” In effetti. “Eh sì, è spesso così con gli scrittori: hanno esistenze così squallide! E noi critici sempre a rovistare vanamente in quella loro prosaica oscurità. Per questo è meraviglioso lavorare sulla Woolf… non si tocca mai il fondo. Ma qualcuno come Gund… Meno male che ne sei fuori”. Già perché, nonostante tutto, Omar rinuncia alla biografia, e alla borsa di studio. Forse perché, a differenza dei libri, come scrisse Sergej Dovlatov: “Purtroppo la nostra vita viene scritta senza brutta copia. Non è possibile ritoccarla, eliminare le righe. Correggere i refusi non sarà possibile”.

Linda Terziroli

*In copertina: Lucian Freud, “Self-Portrait”, 1956 ca., photo The Lucian Freud Archive

 

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