08 Novembre 2023

Perché leggere Nietzsche, oggi? Discorso bombarolo sul pensatore decisivo del nostro tempo

Su Friedrich Nietzsche sono state scritte biblioteche intere, sviscerandone ogni brano e brandello. Si è disputato, e ancora si disputa, su ciò che avrebbe detto e su ciò che, a guardar bene, non ha mai detto, virgole comprese. Ci si è accapigliati su ogni immaginabile interpretazione, distorcendolo e stravolgendolo sino alla diffamazione. Che Nietzsche sia il pensatore decisivo della modernità compiuta e della post-modernità che ne consegue, non ci piove. In pratica, senza Nietzsche non ci sarebbe stato l’intero Novecento filosofico, artistico e per esteso culturale. La sua opera, dopo quelle di Platone e Aristotele, è forse la più commentata, la più citata e la più fraintesa. È diventato l’ipse dixit di tutti, o di quasi tutti: dei pensatori deboli e dei transumanisti in fregola, dei cristiani in recupero terapeutico e dei comuni scettici da passeggio, dei neo-greci da talkshow e dei compulsatori di “frase filosofica” con selfie incorporato, della destra ritardata e della sinistra incartapecorita. Paga così l’alto prezzo della vitale fluorescenza del suo pensiero, che abbraccia la contraddittorietà del reale anziché ingabbiarla, alla Hegel, in un sistema.

Ma come direbbe un buon professore di scuola se ancora esistesse una scuola che educa a pensare, per quali motivi leggere ancora Nietzsche, oggi? Prima di rispondere, è necessaria una piccola premessa su cosa intendesse Nietzsche per leggere. Ogni autore, infatti, andrebbe conosciuto per via diretta, ovvero sui suoi testi originali, cercando di accostarsi e rapportarsi nella maniera più adatta a coglierne l’essenza, cioè nel modo che avrebbe voluto lui. Su questo Nietzsche, considerato oscuro come l’amato Eraclito, è chiarissimo: il suo lettore deve essere un ruminatore, deve cioè andare e tornare più volte su quel passo, su quell’aforisma, su quella sentenza, rimuginandoci sopra, non fermandosi al detto perché sotto di esso si cela un non detto, un significato, o meglio, più significati in penombra, nascosti, allusi, eccedenti. Ermeneutiche ulteriori, vie di fuga sorprendenti, fantasie spiazzanti costituiscono la precisa richiesta che Nietzsche fa a chi si inoltra nella labirintica selva, in realtà compatta e omogenea, della sua ricerca. Ciascuno non solo può, deve completare con la propria volontà di conoscenza lo spunto e la chiamata a ragionare. I libri di Nietzsche sono raffinati dialoghi a distanza in cui l’asserzione, spesso icastica, si dà come l’oracolo esponeva l’enigma: accennando. Di fatto più rivolgendosi con una domanda, a quei lettori ai quali non basta la lettera, poiché esigono lo spirito. Menti che fortissimamente vogliono la carne, il sangue e tutti e cinque i sensi promanare dalla parola scritta. Il “Dioniso crocifisso”, del resto, non ha forse offerto la sua vita in sacrificio per gli uomini “affinché il Superuomo viva”?

Chiarito ciò, veniamo al dunque. Perché un essere ben nato e sostanzialmente benriuscito, come direbbe il nostro riferendosi a chi non sia tarato da morbosità ideologiche, dovrebbe avventurarsi a seguire il passo di un profeta ironico e al tempo stesso radicale come Nietzsche, nell’anno di grazia 2023, o 2024, o forse anche 2050? Facendo un gravissimo torto a questo anti-maestro par excellence, schematizziamo le ragioni in quattro punti. Perdonaci Friedrich, ma sappiamo quel che facciamo…

1. Perché Nietzsche ha previsto quel che noi siamo. Questo è il motivo più ovvio, ma va ribadito dal momento che le sue intuizioni sullo smascheramento degli assoluti (religiosi, morali, politici), sulla decadenza della civiltà occidentale, sul nichilismo stato fisiopatologico non della sola società ma della stessa psiche dell’ultimo uomo, con netta prefigurazione dell’inconscio freudiano, perfino sugli sviluppi della scienza verso i paradigmi della relatività, dell’energia quantica e del caos, sono pilastri del nostro presente che qualcuno ancora fatica ad accettare come dati acquisiti, presupposti inaggirabili da cui non si può non partire (o ripartire). Tanto per intenderci, oggigiorno il tomismo cattolico, per dire, è certamente un’opzione possibile, ma non corrisponde più a nessuna verità che abbia effetto sull’episteme dell’Occidente, sull’autocoscienza del nostro essere al mondo. Semplicemente perché nessuna verità ontologica è più pensabile e credibile come tale. Esistono solo verità prospettiche, derivative. Emanazioni di potenza.

2. Perché Nietzsche è, almeno secondo chi scrive, il guaritore più efficace dalla naturale tendenza dell’intelletto al pregiudizio, questo impulso proiettivo a giudicare la realtà e se stessi sulla base di concetti stabiliti a priori e ringhiosamente difesi a compensare la propria inconfessata angoscia. La sua lezione contro il fanatismo è definitiva: mai assumere il proprio punto di vista scambiandolo per principio metafisico e fede immutabile. E, viceversa, non abbandonarsi neppure al relativismo spicciolo e arrendevole di chi parifica ogni visione, ogni credo, ogni opinione in un egualitarismo straccione che prescinde dalla forza effettiva e generativa di un dato modo di vedere e di vivere. In altre parole, l’arbitrarietà logica delle religioni o delle culture non implica considerarle equivalenti. Ogni convinzione ha una storia, un’origine e un processo di crescita e decadimento. Ma i valori rispondono a necessità differenti, da valutare in base alla specificità della loro provenienza e alla loro capacità di tenuta riproduttiva, senza fare di tutta l’erba un solo fascio. Un metodo di giudizio, questo, di enorme utilità politica (con buona pace di chi liquida Nietzsche come impolitico – semmai, anti-politico, che è un’altra cosa: si veda punto successivo).

3. Perché Nietzsche fornisce un prisma di stupefacente, inquietante, illuminante convivenza di estremi opposti: dall’autoironia, quasi clownesca, di un sapere che prova e anche approva i limiti del sapere, alla vanagloria  semi-delirante dell’autoproclamato apostolo delle genti, solitario nella stanzetta e in esclusiva relazione con il suo io narciso, che fantastica di sperimentazioni eugenetiche su larga scala, condite da apartheid, soppressioni fisiche e aristocrazie da laboratorio (la Grosspolitik, antipolitica pura perché astratta e disumanizzante, con quel gusto perverso di concepire i popoli e gli individui dall’alto di mostruosi propositi di ingegneria sociale). Oppure, da una parte la dura, tormentosa autodisciplina che conduce alla ri-sacralizzazione dell’esistente (la gioia dolceamara dell’amor fati), se si agisce ciascuno da particella attiva di quel mostro di forze chiamato mondo, e dall’altra la cosmica – e comica – presunzione di dirigerne il corso, proiettando la condizione umana, fallibile e limacciosa (e tuttavia con le sue pepite alchemiche da estrarre dal fango), in una sovrumanità impossibile e pericolosamente anti-naturale. Una smisurata ambizione, la sua, moderna troppo moderna. Ebbene, quello che si arresta un attimo prima della cavalcata nell’abisso è il Nietzsche solare, impietoso ma ridente, de “La gaia scienza”, in cui adombra la venuta di Zarathustra ma rimane al di qua dall’incipit tragoedia, sulla sporgenza estrema dove il vagabondare giunge al suo sostare più felice, più aereo, più leggiadro – più apollineo, e, in difficilissimo equilibrio, senza artificiose fratture con il dionisiaco.

Nietzsche asceta, poeta e viandante di una strada che è esistenziale, prima e oltre che speculativa. Un sentiero non interrotto, in quanto sempre e ancora percorribile. A patto che la luce aurea del sapiente-bambino – che prende tutto così seriamente perché nulla va preso troppo seriamente – venga separata dalla nera fascinazione per l’estremismo, questo dèmone da ego inflazionato. Sì, esiste un Nietzsche umano, meravigliosamente umano – ma non troppo. Uno Zarathustra che affronta la tragedia del moderno ma non la invoca, non la brama, non la eleva a totem. È questo Nietzsche di cui si può godere, custodendolo nel proprio breviario come indispensabile bussola di una qualunque nostra giornata sulla Terra – alla quale, Friedrich caro, siamo e restiamo fedeli

Alessio Mannino

*Alessio Mannino, giornalista e saggista, è il curatore della nuova traduzione riadattata di Friedrich Nietzsche “La gaia scienza e Idilli di Messina” (Ibex Edizioni, 2023).

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