Vanno di moda le fiction sul papato – vedi Paolo Sorrentino – laccate, maliziose, tese a spiare le vergogne vaticane che fanno il tango sotto il gonnone di San Pietro. Insomma, si pensa – non ingiustamente – che il male alligni, allevi devote schiere di demoni in tonaca, proprio lì dove dovrebbe covare Iddio. Il problema – di ordine principalmente narrativo – è che, tutti tesi a denudare il re (pardon, il papa), nessuno si occupa dei rapporti tra la Chiesa e il potere, mondano e mondato, divino. La Chiesa, polmone esangue, respira perché anela al potere – e al potere, in un verso o nell’altro (la ‘profezia’ è verbo di un potere superiore scagliato, terra-terra, contro quello umano), tende.
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Per questo, di questo andrebbe fatto un film. Il soggetto, di per sé, ha robustezza di diamante. Lo sintetizzo così. Nel 1950, anno giubilare, papa Pio XII, nascosto sotto l’epiteto “il Personaggio in bianco”, e Iosif Stalin – inconfondibile pur dietro le spoglie del “Signor Maresciallo” –, “potenti fra i potentati, venerati fra le maestà della Terra, viventi emblemi per innumerevoli moltitudini”, si incontrano, segretamente, a Roma. Il gran khan sovietico propone al Santo Padre una alleanza demoniaca, dal nitore apocalittico, tra Russia e Vaticano. Un sosia dei Pio XII condotto da Mosca per concludere l’affare funge da sinistra icona dell’antipapa. Detto così, appunto, siamo in fiera ucronia: lo Stato della Chiesa che trova accordo con l’Unione Sovietica. Solo che lo scrittore, l’inafferrabile Guido Morselli, non è Philip K. Dick per cui il racconto ha il passo di un classico.
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Il racconto dell’incontro, ipotetico, tra il papa e Stalin s’intitola, va da sé, Il grande incontro, ed è l’ennesimo gioiello nella tesoreria di inediti morselliani. Stampato con furore estetico dall’editore De Piante – con coperta d’artista di Barbara Nahmad –, è curato da Linda Terziroli, studiosa e biografa eccezionale di Morselli (“Una biografia di Guido Morselli”, con il titolo Un pacchetto di Gauloises, è uscita quest’anno per Castelvecchi). Da lei ci facciamo spiegare il contesto: “Il racconto Il grande incontro – ambientato nell’anno giubilare 1950 – e probabilmente scritto negli anni 1955-1956, gli stessi della stesura di Fede e critica, mette in scena un incontro segreto fra Stalin e Papa Pio XII (personaggi mai nominati, ma ben riconoscibili): incontro che non ha mai ha avuto luogo, ma possibile. Un’udienza che Stalin desiderava, come sostiene il professor Matteo Luigi Napolitano, docente di Storia delle relazioni internazionali all’Università del Molise, sulla scorta di un verbale di 40 cartelle, fino a oggi inedito, in cui sono messi, nero su bianco, i resoconti dei colloqui che attestano l’offerta di Stalin. A fine febbraio 1953, in piena Guerra Fredda, il Maresciallo prima di morire (una settimana dopo, il 5 marzo 1953), avrebbe tentato un riavvicinamento tra la Santa Sede e l’Unione Sovietica. Morselli, dunque, poteva – secondo Napolitano, biografo di Pio XII – essere a conoscenza del tentativo diplomatico di incontro tra le due altissime personalità”. La Terziroli ci spiega – segno nel segno – che la scoperta editoriale di Morselli, del tutto postuma, come si sa, comincia con Roma senza papa, nel 1974, grazie ad Adelphi, straordinario romanzo ‘papale’ che inaugura il mito del “Gattopardo del Nord”, secondo l’intuizione di Giulio Nascimbeni.
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Per chi ama i ghirigori bibliografici, Il grande incontro cela anche il mistero della sua grande scoperta. Il racconto, infatti, spiega la Nota al testo, “è il primo scritto della raccolta narrativa dal titolo Racconti brevi, «offerti», nell’inverno 1972, da Guido Morselli all’amica fidata Maria Bruna Bassi”. I racconti, scritti tra 1947 e 1972, sono 18 e vengono “affidati nel 1983 da Maria Bruna Bassi all’allora sindaco di Gavirate, Romano Oldrini, in occasione del convegno dedicato a Guido Morselli a dieci anni dalla morte”. Oldrini si dimentica dei racconti salvo ritrovarli, nelle “profondità di un polveroso cassetto”, nel 1995: verranno poi editi, vent’anni fa, per la Nuova Editrice Magenta con una nota dello stesso Oldrini e un saggio di Valentina Fortichiari. Ma il volume di allora raduna soltanto 17 dei 18 racconti. Il primo, emerso oggi, Il grande incontro, non c’è, “per ragioni mai chiarite”. Il caso, a volte, ha le fattezze di un agente del Kgb. I racconti di Morselli stanno, in originale, al Fondo Morselli della Biblioteca “Abbiati” di Gavirate.
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Ora. C’è il papa, c’è Stalin, c’è l’antipapa che sgambetta tra i colonnati di San Pietro, pronto a balzare sul trono appena Pio XII decida di volare a Mosca. A me affascina il finale, il sale morale, quando il papa morselliano afferma la sua idea di cristianesimo cattolico: “Nel travaglio, nel dolore dei suoi membri la Chiesa si afferma e prospera. Le lacrime, il sangue incolpevole, la esaltano. Il desiderare la pace è proprio delle potenze terrene”. La Chiesa non nasce nella pace, ma si fonda sul sangue degli innocenti: la Chiesa è martire per vocazione, Dio è “Il Signore degli Eserciti… l’Invitto che nel sangue dei suoi figli aderge le sue insegne gloriose…”. Una visione della fede violenta, in guerra, mai paga, cannibale, di certo non prona al buon senso e al quieto vivere. Morselli stigmatizza, ancora una volta, la nostra viltà: capisco perché rimanga inascoltato, inaccettabile. (d.b.)
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Per gentile concessione pubblichiamo uno stralcio da “Il grande incontro” (De Piante Editore, 2019). Il dialogo tra Pio XII e Stalin è all’acme.
Senza volger la testa il primo Personaggio proferì, adagio: «Che ci può esser di comune, fra la Cattedra di Pietro ed un governo fondato sulla sopraffazione e l’iniquità, disposto alla violenza sacrilega…»
«Parecchio di comune, – asserì l’altro, temerariamente: – L ’ecumenicità. L ’intransigenza. E poi la patologia: le eresie, gli scismi. Notate le affinità fra il deviazionismo trotzkista e il giansenismo, fra Tito ed Enrico VIII, i due scismatici per prurigine d’autonomia. Il papato è sempre uscito vittorioso dalle sue crisi; lo so. Ed è per ciò che io sono qui, a proporre un patto di reciproco riconoscimento delle nostre sfere d’interessi, e a domandare la Vostra collaborazione amichevole. Mi sono servito dei tecnici americani e degli scienziati tedeschi; attingerò adesso all’esperienza, all’abilità delle Vostre gerarchie. V.S. non mancherà di apprezzare la mia schiettezza. Vorrei che mi prestasse, con tutte le cautele del caso, una missione di esperti, scelti, per intanto, fra i dirigenti della Propaganda Fide e della Segreteria di Stato. Sulla nostra discrezione, ermetica, V.S. faccia pieno assegnamento; in questo campo, nessuno ci eguaglia. Non posso negare che il mio governo stia lottando contro difficoltà interne di una considerevole gravità. Se riusciremo a vincerle, tanto meglio. Altrimenti, occorrerà un diversivo; a qualunque costo. Mi spiego? Con la sua adesione V.S. può scongiurare una catastrofe.»
«Non tenterete il Padre Vostro. È scritto.» Nel tono in cui la citazione venne pronunciata erano amarezza e collera, ma anche decisione irremovibile.
«Si apre fra di noi la via a una coesistenza pacifica, – ribattè l’altro tormentandosi i grossi baffi cespugliosi. – Un rifiuto, significherebbe la guerra, a breve scadenza. La terza guerra. Se è vero che preferite la pace, dimostratelo!»
La sinistra inanellata si levò in gesto di corrucciata protesta; era il gesto definitivo che fulminava in antico l’anatema, dannandolo sulla terra per l’eternità. Ma la mano ricadde subito e si posò sulla scrivania, ove col moto lieve delle dita sembrò accompagnare le parole che seguirono, placide, soavi persino, di una soavità che il loro significato rendeva inammissibile e assurda. «Avevamo sperato e invocato il prodigio di una resipiscenza, di un ritorno. E invece… invece, figliuolo, siete venuto per offendere, per minacciare un criminoso attentato alla libertà, alla vita medesima del Pastore. E per vieppiù sfidarCi, Ci ponete un dilemma che credete perentorio. Ma l’alternativa cui alludete esiste per il mondo, che vi si dibatte miseramente, nella sua vanità e infermità. Non esiste per la Chiesa di Cristo: per essa, la pace s’identifica col suo contrario. Santità è milizia, intrepida, fanatica milizia, al cui paragone impallidisce il dissennato zelo dei vostri adepti…»
«In Polonia – disse l’altro – in Polonia e in Ungheria, la mia campagna antireligiosa vi sta sradicando.»
«Voi lo dite, imprudentemente. Nel travaglio, nel dolore dei suoi membri la Chiesa si afferma e prospera. Le lacrime, il sangue incolpevole, la esaltano. Il desiderare la pace è proprio delle potenze terrene: Voi stesso ne avete bisogno e Ce la chiedete. Predicate la lotta ma ne avete paura. Mentre la Chiesa, non la teme, la sollecita, la cerca, la vuole!»
«Ah, è così! – esclamò l’altro, genuinamente sorpreso. – La vostra è una dottrina bellicosa, voi cercate la lotta! Non lo immaginavo. Ed è in questo la spiegazione dei vostri successi?»
«I fasti della Chiesa sono opera di una sapienza onnipotente, – seguitò il Personaggio in bianco, con vivacità ora, e quasi con baldanza. – Ma la vostra supposizione, anche se maliziosamente ispirata, non erra del tutto, signor Maresciallo.»
Il visitatore si levò in piedi, mosse qualche passo, concitatamente. «Il mio paese è abbastanza forte da far arrivare le sue armate sin qui in pochi giorni. Questo vostro palazzo non sarebbe risparmiato. Non abbiamo scrupoli superstiziosi, noi. Non faremmo come i tedeschi. Sappiatelo.»
«Le porte dell’inferno non prevarranno. Se deprechiamo la nuova conflagrazione che preparate, è solo nei riguardi umani, e anche in questi… La minaccia non ci turba, anzi c’incoraggia a sperare in non più udite grazie, e grandezze.»
Guido Morselli
*In copertina: 1927, quindicesimo congresso del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, di cui Stalin è Segretario generale dal 1922