Un autentico falso. Gira voce che Andrea Camilleri abbia scritto l’ultima indagine del commissario Montalbano e l’abbia spedita al suo editore chiedendogli di metterla in cassaforte. Dovrà essere pubblicata solo dopo la sua morte. Francesco Consiglio si è divertito a immaginare il primo capitolo. Nel farlo, ha usato lo stile dello scrittore empedoclino.
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La morte di Montalbano. Inedito
Via via che addivintava vecchio, pure il suo sonno s’accurzava, oltre alla vita, e Montalbano non arrinisciva a dormiri una notti di filatu. Assurdamente, gli capitava di sbarracare l’occhi quattro o cinque voti, sempri a distanza di un’ora, come se avesse nella testa le campane spaccate della Chiesa Madre di San Calogero, e tra un din e un don, e macari un don e un din, ogni vota era sempri cchiù assonnato e cchiù nirbuso.
Ma dove erano andate a finire le sue belle notti longhe di sonno piombigno, che principiavano alle undici di sira e puntualmente si concludevano alle setti, con il sono della sveglia? Un diavolo, certamente, s’era arrubbato quello sciauro di mare che trasiva pungente nella sua cammira da letto e gli dava la forza di susirisi e andare a lavorare sorridendo, per il solo fatto di essiri vivo.
Un diavolo puzzolenti e latro, sì, una mala razza.
Quella notti, alle quattro pricisi, l’occhi di Montalbano s’incantarono su un addumari e astutari di torcia che, a cento passi in circa dalla so finestra, nello scuro della rina, aviva tutta l’aria di essiri un signali, o macari lo sgherzo di un cretino che sapiva della sua insonnia, o quarchi cosa di peggio, e di questo peggio il commissario non ce la spuntò a farisi immediato concetto, a raccapizzarisi cos’era.
Istinto di sbirro, ecco cos’era.
In una frazione di secondo, satò dal letto, e proprio in quel secondo, con una gamba a terra e l’altra ancora a pinnuluni, sentì una fitta micidiali sulla spalla e fu pirvasu da una speci di quadana, un calore improvviso che l’apparalizzò, più per la miraviglia che per lo scanto.
“Così mi sparano?” Si dissi. “Senza un avvertimento, senza prima una minaccia?”
Non era momento di pinsari a una risposta. Piglianno forza, e maledicendo quel cornuto di sparatore che non aviva ardiri di mostrarisi, Montalbano si allungò presso il cascione del commodino dove teneva il revorbaro, e stringendo l’arma in pugno riparò a lato dalla finestra, tenendo un occhio fora per scandagliari in quel nivuro che ora gli pariva ancora cchiù nivuro, cchiù della pici.
L’idea che a Vigata circolava un vigliaccazzo capaci d’ammazzari la gente nel sonno, lo fece riflettere sui piricoli di una diffusa costumanza dei suoi paesani, che per combattere la calura estiva e non svenarisi accattando un condizionatore d’aria, preferivano dormiri con la finestra aperta.
Macari questo gli sembrò un pinsero che avrebbe fatto meglio a rimandare. Ora, la sola cosa da fari era non cataminarsi e lasciare la mossa al suo nimico. Era cosa saggia. Peccato che Montalbano fosse tutto una vampa, un poco per la spalla che gli faciva un mali cani annigliandoli il ciriveddro, e un tanto perché troppa era la gana di avere per le mani quell’infame e assubissarlo di potenti timpulati.
Fatto sta che si risolsi a nesciri.
Addumò le luci che dalla so veranda arrivavano a illuminare la spiaggia e con un mezzo cazzicatummolo si arriparò dietro un muretto. Da lì taliò in direzione del mare, ma senza vidiri arma viva. E non solo: a una più attenta taliata, si accorsi dell’assenza completa di orme. Eppure la rina era umida e il peso di una pirsona, la cchiù leggia che fosse, avrebbe dovuto affondare e lasciare un segno.
Ma com’era possibili? Come aveva fatto a scappari? Aviva l’ali?
Da sempri Montalbano se n’era altamente fottuto di fattucchiere e spiriti, e pirsino da caruso arridiva di quei compagni di scola che credevano a babbi natali e fimmini a cavallo di scope, e dato che si sentiva un tipo razionali, l’assurdità di essiri stato sparato da un fantasma gli parse talmente riddicola che pinsò di stare dormendo, e per assicurarisi d’essiri viglianti, si detti un paio di pizzicuni sulla guancia.
“Ahi!”
Era viglianti, ma con un problema molto serio: non sapiri chi fari. Tornarsene dintra come se nulla fosse successo? Chiamare rinforzi e metterisi a scandagliare parmo a parmo tutta la ripa? O irisinni allo spitale a farsi guardare la spalla?
Pinsa ca ti pinsa, s’arrisolse a tilefonare in commissariato.
“Catarella, Montalbano sono.”
“No, vossia si sbaglia, io non sono Montalbano. Il commissario, nella sua pirsona di commissario, arriva pirsonalmente alle otto. Ora non c’è, ma lei picchì lo cerca?”
“Passami Fazio.”
“Sono spiacevole, signore. Ma se vossia non mi dà le sue generalità, io non posso cchiù parlari. Anzi, se non si generalizza, sono costretto a riattaccari. Ordini superiori.”
“Catarè, finiscila!”
“Come fa a conoscere il nome mio, di mia?”
“Lo conosco troppo bene il tuo nome, e mi scappa di diri: Purtroppo!”
“Eh, no! Eh, no! Accussì mi fa perdiri la mia bona ducazioni. Si facissi raccanoscere, ora, subito!”
“Sono…”
“Io lo saccio chi sono. Vossia chi è?”
“Montalbano!”
Passò qualche secondo di silenzio. Il commissario sintiva un rispiro strozzato, come d’uno che si sforza di parlari e un ci arrinesci. Po’ Catarella ricominciò, ma la so voci era quella tremolanti e lacrimiosa di chi si è appena arrussicato di vrigogna.
“Agli ordini, dottori! Mi scusassi, ma se vossia mi dici: Montalbano sono, io mi confondo. Sono è voce del verbo sonere, prima persona singolare. Vuole dire: io. E io non sono Montalbano, anche se mi piacissi, veramenti, molto.”
“Discorso inappuntabile, Catarella. Ora mi passi Fazio, per favore?”
“No, dottore.”
“Ah, no? E questa che è? Insubordinazione?”
“No, dottore! Io non mi pirmitterei mai di fari quella cosa longa. È che Fazio non c’è. Non si è ancora arricampato.”
“Ho capito. Allora passami Augello.”
“No.”
“Macari lui non c’è?”
“Dottori Montalbano, mi scusassi, ma io mi meraviglio della so meraviglia. Lo sanno tutti che il dottori Augello si arricampa alle otto, ma questo se ha dormuto solitario. Perché se ha dormuto con la so mogliera, di lui medesimo dottore Augello, allora si arricampa alle novi. E se invece ha dormuto con qualche fimmina diversa, macari a menzoiorno.”
“E bravo Augello! Ma allora chi minchia c’è in commissariato? Siamo chiusi per ferie?”
“Io, dottori. Io ci sono.”
“E nessun altro?”
“No.”
“Va bene, Catarella, allora ascolta: appena vedi Fazio o Augello, digli di fermarsi lì e non cataminarsi per nessuna ragione. E se non ti danno ascolto, legali a una seggia. Io vado dal dottore e poi arrivo.”
“Non capiscio.”
“Cosa, Catarella? Cos’è che non capisci?”
“Se il dottori è lei, cosa ci va a fari dal dottori?”
A Montalbano venne una fitta accussì dolorosa che il tilefono gli cadde dalle mani.