18 Marzo 2023

“Sono stufa marcia della mia famiglia”. La biografia estrema di Tove Ditlevsen

Le pareti della gelida stanzetta dove sceglie di vivere la giovane Tove sono così sottili che si sente tutto. La voce, il “ruggito”, di Hitler, intervallato dai ritmici Heil, filtra dalla stanza della padrona nazista, la signora Suhr, che tiene, in soggiorno, un grande ritratto del Führer. Soffiano venti che porteranno alla Seconda guerra mondiale dentro il secondo volume della Trilogia di Copenaghen, Gioventù di Tove Ditlevsen (Fazi Editore, traduzione a cura di Alessandro Storti).

Gioventù (dall’originale danese Ungdom) si collega a Infanzia che era uscito nel 1967 e poi in Italia solo grazie a Fazi lo scorso anno. Il romanzo riprende il filo della narrazione autobiografica, ritroviamo Tove nelle stesse misere stanze popolari dove l’avevamo lasciata, sentiamo gli stessi colpi di tosse secca del fratello Edvin, che, nel frattempo, si è sposato con la vacua Grete per scappare di casa, cogliamo gli stessi aneliti di libertà, le difficoltà economiche in cui continua a versare la sua famiglia e lei, il desiderio di scrivere e vedere pubblicate le proprie poesie.

“Sono stufa marcia della mia famiglia. È come se me la ritrovassi in mezzo ai piedi ogni volta che cerco di muovermi in libertà. Forse riuscirò a svincolarmi solo quando mi sposerò e a mia volta metterò su famiglia”.

Lungo la prima giovinezza si susseguono incontri con alcuni ragazzi, un fidanzato: Aksel che suo padre si diverte a prendere in giro, per fargli fare la figura dell’ignorante. Non sa, infatti, nulla, ad esempio, delle Olimpiadi di Berlino. “Allude a quelle di Berlino, dove gareggiano le nostre nuotatrici, ma Aksel non sa niente, né di queste, né di altre Olimpiadi. Sa a malapena qualcosina su Hitler e sulla situazione mondiale, e non ha letto Der letzte Zivilist di Ernst Glaeser. Io invece sì, perciò sono ben informata sulle persecuzioni antisemite e sui campi di concentramento, cose che mi riempiono di angoscia. Se la sua compagnia è tanto riposante, è proprio perché Aksel non sa niente di tutto ciò che può fare paura, in quest’epoca”. La gioventù è un peso per Tove:

“i miei anni verdi non sono altro che una carenza, un impedimento, del quale non sarà mai troppo presto per sbarazzarmi”.

E ancora:

“la giovinezza è provvisoria, fragile, incostante. È fatta per lasciarsela alle spalle, non ha altro scopo che questo”.

A leggere questo romanzo non sembra passato tutto questo tempo, eppure Tove Ditlevsen è nata il 14 dicembre del 1917 e si è tolta la vita il 7 marzo del 1976. Una vita dentro il secolo breve che sembra scritta ieri. Basti leggere questo frammento, in cui si definisce “un cane perduto, senza collare”:

“Intanto che aspetto, continuo a guardare i bambini e gli innamoratini che con il caldo escono dalle loro case. Guardo anche i cani; i cani, e anche i loro padroni. Alcuni cani hanno un guinzaglio corto, che viene strattonato con impazienza ogni volta che si fermano. Altri hanno un guinzaglio lungo, e il padrone aspetta con impazienza, mentre un odore sconosciuto accende l’interesse del cane. Un padrone così, lo vorrei anch’io. In una vita così, mi troverei bene. E poi ci sono i cani senza padrone, che corrono confusi tra le gambe della gente, in apparenza senza godersi la loro libertà. Sono un po’ così anch’io: un cane senza padrone, arruffato, confuso e solo”.

Una ragazza che “si guadagna il pane da sola” e che nonostante comuni desideri di giovane donna, culla il sogno di diventare poetessa e riesce a vedere la sua poesia stampata, sul periodico “Vild Hvede”, una poesia che parla di un bambino nato morto.

“Mai ho udito la tua voce delicata.
Mai con labbra rosee mi hai sorriso.
Ma il minuscolo calcetto dei tuoi piedi
mai e poi mai dimenticherò”.

Una ragazza fragile e determinata che viene licenziata in tronco quando una sua poesia viene alla luce. Infine il miracolo: il suo libro di poesie viene stampato in cinquecento copie, grazie ad un amico speciale, Viggo F. Moller: Anima di fanciulla. “Il libro esisterà per sempre, indipendentemente dalla piega che prenderà il mio destino. Apro una copia e leggo alcuni versi. Sono stranamente distanti ed estranei, ora che li vedo stampati. Apro un’altra copia, perché non riesco a capacitarmi del fatto che tutte contengano le stesse cose. E invece è così. Forse il mio libro entrerà nelle biblioteche. Magari, prima o poi, una bambina che in tutta segretezza ama la poesia lo troverà lì, leggerà questi versi e ne ricaverà un’emozione che le persone intorno a lei non comprenderanno. E quella particolarissima bambina non sa nulla di me. Non rifletterà nemmeno sul fatto che io sia una giovane donna in carne e ossa, che lavora, mangia e dorme come gli altri esseri umani”.

Linda Terziroli

Gruppo MAGOG