25 Settembre 2024

“Le potenze del cuore e le vette dell’assoluto”. La vita in fiamme di Jean Turlais

Nel destino intellettuale di Jean Turlais (1922-1945), poeta e scrittore francese scomparso ad appena 23 anni, quando la Seconda guerra volgeva al termine, vi è un’essenza irriducibile a qualunque etichetta, che spiazza e lancia una sfida a chi legge: di accettare il suo essere stato fascista, anche se non senza qualche ripensamento, più come una posa che come il frutto consapevole di un corpus ideologico vero e proprio; come il gesto di un esteta romantico, per certi versi, che cercando sé stesso nella Storia ha trovato infine la propria condanna.

Scavallato questo eventuale ostacolo – sempreché non ci si faccia inibire dalla strisciante autocensura di noi lettori, la stessa per cui nella scelta di quale autore affrontare si considera sempre se sia moralmente giusto farlo – le contraddizioni scandalose di Turlais potrebbero dirci qualcosa. Ad esempio, quanto intricate fossero le strade individuali e collettive in quegli anni tragici di furore bellico, forgiati non solo dall’uso massiccio di armi e cannoniere ma, soprattutto, dal volontarismo degli animi più sensibili, desiderosi di fare della propria vita un’avventura inimitabile. Segnati a dir poco da quel “vivere pericolosamente” che Mussolini prese in prestito da Nietzsche, per farne in seguito una sorta di chiave d’accesso nei cuori e nelle teste dei più giovani, tanto italiani quanto europei, stanchi delle grigie convenzioni borghesi. Sobillati ad arte da capi popolo retoricamente attrezzati, spesso inclini alla pugna e abilissimi a smuoverne i caratteri ancora tutti da edificare.

Ragazzo terribile con il difetto, o il sogno, di trasporre la letteratura nello squallore della vita vera, Jean Turlais ha certamente vissuto controvento. A Roland Laudenbach, compagno fraterno con il quale aveva fondato nel ’44 le Editions de la Table Ronde, l’autore dedicherà Canto per qualcuno, poesia rivelatrice della sua irrequieta e battagliera indole antiborghese:

«Non adoriamo gli dèi forgiati dal senso comune
E le bocche dell’odio che hanno chiamato i nostri cuori frivoli».

Per poi aggiungere subito dopo:

«Lo scandalo con occhi teneri risuona al nostro cammino
Nel buio della notte ci erigiamo per ascoltare le sue parole».

Del resto, per il giovanissimo Jean – che fin dai sedici anni fu membro dei Lyceens bonapartistes, poi nazionalista convinto negli anni dell’armistizio del ’40, arruolato dapprincipio contro la Resistenza nella Milice française ma successivamenteattivo con la seconda divisione corazzata a Parigi il giorno della liberazione, infine morto in Alsazia il 4 aprile 1945 per una granata un mese prima della capitolazione della Germania – la rivoluzione fascista, intesa come una nuova concezione soggettiva del mondo, doveva essere gioco, avventura, «vacanza della vita». E se anche nulla di tutto questo si realizzò, dati storici alla mano, non si può dire che egli non ci abbia provato.

Ne è prova manifesta il volume di recente apparso nelle librerie a cura di Giovanni e Giuseppe Balducci dal titolo Tutti fascisti: da Omero a Jean Genet (Oaks Editrice, 2024), che ben riassume gli slanci ideali di Turlais. Come? Assemblando il lavoro e le anime molteplici dell’autore: dalla critica letteraria e teatrale, con il saggio Introduction à une histoire de la litterature fasciste, anticipazione di una mai realizzata Histoire de la litterature fasciste d’Homère à Jean Genet – da cui il titolo lievemente ritoccato dai curatori del libro –, alle notevoli poesie scritte tra il 1941 e il ’44. Un insieme composito, dunque, e prismatico della complessità di uno scrittore già maturo per la sua età, considerato dagli ambienti intellettuali della destra radicale il discepolo di Charles Maurras, il leader dell’Action Francaise. Così come diversi furono i contesti del suo impegno militante, in cui si mescolavano l’afflato patriottico, gli appelli all’emancipazione del proletariato (per questo, criticato dall’influente segretario di Andrè Gide e «maurrassiano di ferro» Lucien Combelle) e, naturalmente, la passione letteraria: da una parte, sulle riviste “Ideès” e “Les Cahiers Francais”, organi dichiaratamente collaborazionisti e fautori della Rèvolution nationale; dall’altra, con la compagnia teatrale “Le Rideau des jeunes” ed il gruppo “Prètexte” (celebri le loro messinscene ogni giovedì in qualche teatro della rive droite).

Durante l’occupazione di Parigi, un tempo certamente cupo ma anche di rara effervescenza, questo gran girovagare da un ambiente all’altro gli varrà l’amicizia di figure eminenti quali Jean Cocteau, Roger Nimier, Antoine Blondin e, grazie alla intercessione del già citato Laudenbach, Jean Genet: il ladro amante di ragazzi che fu prima bouquiniste e poi prosatore straordinario. Proprio l’autore di Notre Dame des Fleurs e di Querelle de Brest è il punto d’approdo, ai limiti della provocazione e della burla, del saggio di Turlais dedicato alla letteratura “fascista”, la quale inizia con Omero e prosegue con Plutarco, Corneille, Stendhal, Kipling, arrivando ai contemporanei Brasillach, Drieu La Rochelle, Bernanos e Malraux. Non necessariamente afferenti alla destra, e men che meno al fascismo storico – motivo per il quale Genet stesso giudicherà l’operazione come una forzatura e “profondément ridicule” –, ma modelli, questo sì, di una nuova letteratura cui tendere. Ovvero un’arte, citando Giuseppe Balducci nell’introduzione, che non riduca «la creatività alla mera osservazione della mediocrità umana» ma punti alla «ricchezza della natura», meditando leggi e misteri «del divino e dell’infinito». Che sappia con audacia ripristinare «le potenze del cuore e le vette dell’assoluto», per mezzo della poesia. L’unica forma d’espressione capace di annunciare, secondo l’autore, «il tempo dell’amore» – a suo dire in procinto di compiersi –, inteso come vittoria sulla tecnica di raziocinante ferocia.

Per quanto tale profezia sia stata poi smentita dalla Storia, con la guerra che si scatenava davanti ai suoi occhi di ventenne, bisogna riconoscerne la bontà dell’assunto: ovvero che la letteratura per dirsi viva richiede «ogni singola parte dell’anima». E che soltanto rinnovandosi «alla sua fiamma», pericolosa e necessaria ad un tempo, l’uomo ha la possibilità di trascendere sé stesso. Ragione ultima, questa, di tutta l’arte, dacché esiste l’ignoto e la voglia di indagarlo. Lì dentro, in quel mistero, Jean Turlais non ha fatto altro che cercare fino all’ultimo istante. 

Alberto Scuderi

*In copertina: Jean Turlais (1922–1945)

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