08 Settembre 2020

“Rispondere alla morte con una carica di amore insensata, quanto paradossale”. Pace a te, Gabriele

Pace a Gabriele Galloni, e a tutti gli altri finiti nel segno suo, nel gorgo suo, che vorrei citarli uno per uno, e se mi viene lo faccio; fare un elenco lungo l’intera circonferenza del mondo, per dire cosa ci manca di loro, cosa abbiamo perso, che abisso sconfinato si è aperto davanti ai nostri occhi.

Fermare la carne che vuol vivere, fermare il cuore per dire quanto è unico e fragile. Per dire: non mi avrete, non mi avrete più, gente!

L’altro giorno intervengo a una di quelle riunioni scolastiche, on line, parlo della paura, della morte, della nostra fragilità, di ciò che viviamo, di quello che dovremmo dire ai ragazzi. Lo faccio per reagire alla valanga di questioni burocratiche che ci cadono addosso in questi giorni, ci invadono, non ci fanno pensare, e una collega mi provoca dicendo che dico cose senza senso. Le rispondo che nessuno ha mai detto che dico cose senza senso, e lei insiste, lo ripete: dici cose senza senso. Così chiudo di colpo la comunicazione e me ne vado.

Ci tocca questa carne da condividere, la limitatezza di questa carne, che non vuole sentire ragioni umane, profonde, sul nostro disagio di esseri incarnati in un corpo, in un organismo vivente, per cui tutto è salvato e tutto è martoriato, che bisogna passare attraverso il dolore per arrivare alla salvezza, bisogna accettarlo, la nostra esperienza lo dice. Si vive questo mistero di pensare all’oltre, in modo da dire il nostro presente infangato, a volte invivibile, di carne desiderata e sfidata dalla morte, e dalla tentazione di negarsi, di essere l’ultimo, il solo, l’unico.

La tua carne è la tua poesia, Gabriele, e le tue poesie sono lì, non muoiono! Ricordo me, ragazzo, che mi guardavo allo specchio, con un fucile carico puntato sul cuore. Che cosa mi capitava? Per un attimo siamo stati fratelli, Gabriele, per un attimo ho condiviso con te quello che hai provato, adesso lo sai, ma per una frazione di secondo le nostre strade si sono divise, fratello mio, perché? Voglio guardare dentro questo abisso che è la tua carne, la negazione della tua carne, di tutto quello che sei, e ti dico che ci sei ancora fratello, amico mio, per quello che hai fatto esisti ancora, per l’uscita di scena che hai scelto, in quanto pensavi di non essere amato, invece, guarda, convinciti, sei il più amato oggi. Però hai preso la libertà per un’altra cosa. È facile dirlo adesso, ma è necessario darsi delle risposte (possibilmente non specialistiche, no!), una risposta ci deve essere, se no si vede solo una mancanza di senso, un tutto che è una mancanza di senso, un tutto che è mancanza, che è: tu che non ci sei più, tu che l’hai fatto chissà per quale ragione, tu che chissà cosa ti passava per la testa in quel momento, tu che eri così e basta, tu che dovevi andare a finire così, tu che lo dicevi che l’avresti fatto, tu che non ci si può fare più niente.

Occorre una radice di amore per rispondere, una dinamica d’amore che non si smarrisca mai, o che se si smarrisce, quando ritrova la via è più forte; uno sguardo che tenga sempre a fuoco l’attenzione a quella radice, sia davanti a questo Covid (che a volte sembra avere i tratti inquietanti di un suicidio collettivo), sia davanti alla fine di Gabriele Galloni, grande poeta morto a venticinque anni. Rispondere alla morte con una carica di amore insensata, quanto paradossale. Il Cristo non sta sulla croce per questo? Mentre lo dico penso: adesso Gesù mi cambia, e mi dà una vertigine questo pensiero.

Vincenzo Gambardella

*In copertina, Gabriele Galloni (la fotografia è tratta da qui)

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