10 Novembre 2023

“In questo sconsacrato tempo”. Elogio di Cecil Day-Lewis, un minore di genio che imitava Auden e Dylan Thomas

Nel 1953 Cecil Day-Lewis tenta il suo “più ambizioso poema”. Eletto “Professor of Poetry” a Oxford, ormai libero dalla velenosa influenza di W.H. Auden (che gli succederà, nel 1956, sull’augusta cattedra: seguiranno, tra gli altri, Robert Graves, Seamus Heaney, Simon Armitage…), CDL è pronto a mungere all’eccesso il suo talento. Il libro s’intitola An Italian Visit, è suddiviso in sette sezioni che dimostrano l’onnivoro genio ‘scenico’ del poeta. Si passa, così, dal dialogo lirico – Dialogue at the Airport; The Homeward Pospect – all’elegia – Elegy Defore Death: at Settignano – dall’epistola in versi – A Letter from Rome – al poemetto shakespeariano (Bus to Florence). La sezione più affascinante s’intitola Florence: Works of Art, da cui abbiamo estratto alcuni brani. Cecil Day Lewis ‘imita’ le voci di alcuni poeti – Thomas Hardy, Dylan Thomas, William Butler Yeats, Robert Frost, l’ex amico Auden – che commentano (per lo più in un gioco di sfalsati rimandi, a specchio) le opere d’arte ammirate a Firenze. Di fatto, CDL costruisce una sorta di ‘museo’ lirico, una gliptoteca della poesia inglese moderna; l’abilità del falsario giunge a geniale eloquenza, mai prima d’allora il d’après era stato eletto a cifra d’arte, a miliare postura poetica.

Gli amici – quelli che nel frattempo non erano defunti – non la presero bene: non di rado, l’imitatore supera l’imitato – inimitabile, d’altronde, è categoria che afferisce soltanto all’oltremondano. In realtà, alla foce di An Italian Visit, tra i libri più inconsueti del lirico dopoguerra inglese, ci sono i classici latini: non tanto Orazio o Properzio (i miti, rispettivamente, di Iosif Brodskij e di Ezra Pound), ma Virgilio, di cui Cecil Day-Lewis aveva tradotto le Georgiche (1940) e l’Eneide (1952) e di cui stava traducendo le Ecloghe (1963).

Nato a Ballintubbert, Irlanda, nel 1904, ‘strozzato’ dal polimorfico genio di Auden – che lo coinvolse nell’utopia comunista e nelle spire della poesia ‘sociale’ –, Cecil Day-Lewis, in realtà, è l’ultimo antico della poesia inglese: poco avvezzo ai modernismi, ha il passo di un aratore del verbo, di uno che alla voluttà della velocità preferisce il vomere. Destinato, per fattura di sguardo, a restare un ‘minore’, Cecil Day-Lewis fu eletto – forse proprio per queste ragioni – “Poet Laureate of the United Kingdom” nel 1968: imperava Elisabetta II.

Artista ambidestro, CDL fu celebre, per un po’, come scrittore di ‘gialli’, composti sotto la celata dello pseudonimo: Nicholas Blake. Il suo personaggio capitale, il detective privato Nigel Strangeways, gentleman, versato in poesia, nipote di un commissario di Scotland Yard, è modellato sul profilo di Auden. I romanzi gialli di CDL, un tempo pubblicati da Mondadori, ripresi di recente da Giunti, ebbero un successo notevole: The Beast Must Die (1938) è stato adattato al cinema, tra l’altro, da Claude Chabrol. In alcuni di questi libri scritti per diletto, il poeta tradisce le proprie convinzioni politiche: The Sad Variety (1964) è, di fatto, una violenta satira della dottrina comunista sovietica. Fece falò della giovinezza ‘a sinistra’, con il piglio di chi compie un addestramento.

Uomo altrimenti refrattario alla presenza pubblica, sottile, a tratti retrattile e rettile, Cecil Day-Lewis abitò una vita amoroso piuttosto turbolenta. Il fatidico viaggio in Italia che gli suggerì il suo libro più eccentrico – ripubblicato, qualche anno fa, da Bloomsbury – lo compì accompagnato dalla scrittrice pluridovorziata Rosamund Lehmann, la più canonica tra le sue amanti. Nel 1928 si era accasato con Constance Mary King, che aveva mollato per sposare, nel 1951, l’attrice Jill Balcon. Più giovane di lui di vent’anni, Jill donò al poeta, nel 1957, il quarto figlio, Daniel Day-Lewis, l’attore di Gangs of New York, L’ultimo dei Mohicani, Lincoln e Il filo nascosto, tre volte Oscar come miglior attore, un record. Tuttavia, al rigoroso, elegante, sagace, crudele Cecil Day-Lewis neppure lei bastava – non gli bastava nulla.

Daniel Day-Lewis, quarto figlio di Cecil, bambino

***

Vi vedo, angeli dal volto chierichetto
              che squillate dal muro del museo:
una volta, in foggia di cantore o decano
              urlasti dalla cava di una quercia:
nulla in questo sconsacrato tempo è definitivo
              tutto deve ancora accadere.
Anch’io dissi della mia stridula giovinezza
              come un uccello tra codici e cifre
disserrando il salmo o intonando il Magnificat.
              Inatteso come la Sapienza Primordiale
completamente sordo, cinguettavo
              il miglio dei mattutini, allegro
al sibilo sinuoso dell’armonium
              mi agitai durante il sermone:
i bombi erravano sulla finestra aureolata d’edera
              indirizzavano il mio pensare all’aria – esultai
ma le voci si spezzarono in più voci
              il cuore è il miele della melodia, va raccolto
come fosse fieno. I coristi del Duomo
              tubano in eterno, nella loro angelica posa:
avrei cantato ancora, prima che i palpiti della gioia
              svanissero e si congelasse la mia satura fede.

Donatello: Giuditta e Oloferne

(William Butler Yeats)

*

Non ricordo più tremenda mattina.
La nascita, dici? Non darei troppa importanza
alla nascita. Le nascite non sono indizi di un nuovo inizio.
Comunque: voleva accasciarsi per smaltire il dolore
il che l’ha resa bestia tra le bestie sul graticcio della stalla.

Pastori e magnati in punta di piedi, nel fieno
(in una locanda si trova di tutto, pensava, assisa nel sonno):
anche il bambino – pareva parte di un’allucinazione delle nevi
era irreale. A suo modo, si sarebbe dimostrato
un bravo figlio, pur con compiti che oltrepassavano le sue doti. Qualsiasi cosa

cercasse quando se ne andò da casa, trascinando gli amici nella sua
folle danza, non la dimenticò, come avrebbero fatto altri ragazzi.

La mattina delle mattine fu quando qualcuno volò
a dire che la sua tana sarebbe diventata il palazzo
di una regina; il tavolo su cui lavorava diventò come oro
nel frutteto divampò la primavera: tutto,
fiori e uccelli, s’impennò nel verde.
Il visitatore disse che Maria avrebbe
trasformato quel villaggio in un paradiso.
Disse qualcosa riguardo a un Principe Salvatore
ma lei udì soltanto: “Avrai un figlio”
e fu per quello che esplose la primavera. Accadeva spesso
che gli angeli portassero notizie simili: da allora
mai più sorrise un celeste, arreso a tale beata ignoranza.

Piero di Cosimo: Perseo libera Andromeda

(Wystan H. Auden)

*

Tutto è lì. La vittima grugnisce
e gli amici hanno la posa
              adatta al disastro;
salvezza il seduttore sguaina la spada
mentre dal fiordo, magro e magistrale,
terrifica violenza, tumida dedizione,
              la consueta mostruosità.
Quando il prezioso della speranza svanisce
la virtù non ha valuta e il nero
              Vendicatore si erge
sappiamo che saranno sempre in due
ad andarsene senza motivo
discutendo animatamente
              sull’aumento dei prezzi.
Da ogni lato la crisi getta
stranezze e umani gesti. Quelli
              non sono essenziali.
Guarda, piuttosto, il rozzo Orrore:
l’Uomo delle Nuvole lo colpisce a morte
armato di pugnale e testa di gorgone –
              magiche credenziali.
Bianca sulle rocche, Andromeda.
La madre ha preteso troppo.
              Il profondo non ha pazienza.
L’incubo serra i denti. Il salvatore
penetra. Macina vittoria. Tutto è suo.
Genitori e parenti si accalcano per le
              congratulazioni.
Ma quando si tratta di spartire il dolore
sopra i laghi centrali
              non sarai così fortunato.
Non è bene dargli credito:
con nitore puoi porre fine alla sofferenza
o reprimere ogni tregua.
              Per te, è insopportabile.

Verrocchio: Putto con delfino

(Dylan Thomas)

*Un articolo di Cecil Day-Lewis, che racconta il libro di Aldous Huxley “Eyless in Gaza”, è oggetto di un numero della nostra rivista PAN, a cui ci si inscrive passando di qui.

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