23 Novembre 2018

“Fu un genio e ha avuto tutti contro”: Nicola Crocetti ci parla di Nikos Kazantzakis (e dell’“Ultima tentazione” che fece tremare la Chiesa)

Indimenticabile il viso iconico di Willem Dafoe, quel Gesù ligneo, di catastrofica bellezza, moribondo d’amore, appena scolpito dal pennello del Mantegna, da una intuizione aurorale di Bramante. Il film di Martin Scorsese, L’ultima tentazione di Cristo, è in sala trent’anni fa, nel 1988, riferendosi al romanzo più discusso di Nikos Kazantzakis, L’ultima tentazione, pubblicato prima in Germania, poi in Grecia, nel 1955, nonostante la scomunica della Chiesa Ortodossa. Ciò che disturba del libro di Kazantzakis – in anticipo su altre riletture evangeliche, ad esempio quella di José Saramago, Il Vangelo secondo Gesù Cristo – è l’autorevolezza di uno scrittore che fa della storia di Gesù “confessione dell’uomo che lotta”, epopea di un Figlio turbato dal dubbio, sfrenato nell’incedere perfino nel golgota dell’inquietudine. “Con la sua pubblicazione, ho compiuto il mio dovere: il dovere di un uomo che ha lottato molto, che molto è stato amareggiato nella vita e molto ha sperato”. C’è quasi una sintonia testamentaria tra l’autore e il suo libro, definitivo: Kazantzakis, che intervistò Mussolini e fu sedotto da Lenin (ma presto, con “l’ascesa di Stalin, rimase deluso dal socialismo reale dell’Unione Sovietica”), che ha tradotto Dante e Machiavelli, Goethe e Nietzsche e Darwin e gli omerici in neogreco, muore nel 1957, quando gli è sottratto per malia il Premio Nobel per la letteratura, “per un voto… assegnato ad Albert Camus”. Pubblicato da Frassinelli in concomitanza con l’uscita del film di Scorsese, ora L’ultima tentazione torna nella “prima traduzione dal greco” per mano di Gilda Tentorio e di Nicola Crocetti, il massimo esperto di letteratura greca contemporanea, per la Crocetti, che ha già in catalogo i libri più importanti del romanziere più importante della Grecia moderna (da Zorba il greco a Francesco). Ciò che affascina di Kazantzakis, autore di una oceanica Odissea in 33.333 versi, “una titanica impresa che vuol essere la continuazione dell’omonimo epos omerico” (tradotta integralmente da Crocetti), è la gloria del linguaggio, la fede nella letteratura come via di scampo – e di battaglia e di resistenza, non certo di fuga – dalla sudditanza della Storia, dell’imperialismo ideologico. “Dentro di me coesistono le forze tenebrose e antichissime del Maligno, umane e preumane; dentro di me coesistono le forze luminose di Dio, umane e preumane; e la mia anima è stata l’arena dove questi due eserciti si sono incontrati e scontrati”. L’uomo, enigma sospeso in grido, è sancito dalla contraddizione. (d.b.)

tentazione cristoKazantzakis: ci spieghi sommariamente la sua importanza nella letteratura neogreca?

Personalmente ritengo Nikos Kazantzakis il più importante scrittore della Grecia contemporanea. Un genio innovatore, della letteratura e della lingua greca. Uno degli scrittori più prolifici, e direi rivoluzionari, del suo Paese. I greci, in particolare le istituzioni, non lo hanno mai amato, per varie ragioni, soprattutto per la sua eterodossia religiosa e politica. Caso unico al mondo, tutte le istituzioni di concerto – Chiesa ortodossa, uomini politici, scrittori (questi per invidia), giornalisti e la potente Accademia di Atene – hanno boicottato in ogni modo possibile la sua candidatura al premio Nobel negli anni Cinquanta, scrivendo lettere e raccomandazioni all’Accademia di Stoccolma perché non gli venisse assegnato il Premio, in quanto “scrittore comunista e corruttore dei giovani”. Cose entrambe false. Kazantzakis non era comunista, era uno spiritualista, mi verrebbe da dire un prete mancato. La seconda accusa, poi, è la stessa che fu fatta a Socrate… Dico caso unico al mondo perché tutti i Paesi hanno sempre fatto carte false per promuovere i propri autori, e mai per boicottarli.

Quando, nel 1956, il Nobel per la Letteratura fu assegnato ad Albert Camus, questi scrisse una lettera a Kazantzakis, in cui affermava che lui lo avrebbe meritato “cento volte di più”.

Con Zorba il greco, L’ultima tentazione è il romanzo più noto di Kazantzakis. Che idea di religiosità viene a galla?

La sua idea di religiosità è espressa meglio, più che ne L’ultima tentazione, nella sua biografia di San Francesco, dove c’è un’adesione totale, direi quasi un’immedesimazione con il santo di Assisi, che per Kazantzakis costituiva un paradigma morale e spirituale. L’ultima tentazione esplora l’aspetto umano di Cristo, e si interroga su quello che sarebbe stato se egli non fosse morto sulla croce ma avesse portato fino in fondo la sua “missione di uomo”. Anche qui, una visione eterodossa della storia e dei Vangeli, ma l’idea di uno scrittore, ispirata a una spiritualità estrema, quasi integralista. Del resto, voi di Pangea lo dite molto bene: “Contro la religione come bonifica sociale e pia custodia delle impellicciate convinzioni dei fedeli”.

“Questo libro non è una biografia, è una confessione dell’uomo che lotta”, scrive l’autore. Un libro, però, messo all’Indice dalla Chiesa cattolica. Perché?

L’immagine dell’“uomo che lotta”, per elevarsi moralmente e spiritualmente, riassume tutta la filosofia di Kazantzakis e la sua idea di religiosità. Il libro è stato prima condannato dalla Chiesa Ortodossa, poi messo all’Indice dalla Chiesa Cattolica. La Chiesa Ortodossa aveva dei conti in sospeso con Kazantzakis, e si vendicò nel modo più anticristiano possibile, impedendo che la sua salma fosse esposta nella cattedrale di Atene (privilegio riservato perfino agli uomini politici e alle attricette), e che fosse tumulata in un cimitero. Infatti la sua tomba si trova sui Bastioni Martinengo di Iraklion, a Creta, con un’epigrafe da lui stesso dettata: “Non temo niente, non spero niente, sono libero”. Oltre che per la sua libertà di pensiero, l’avversione della Chiesa Ortodossa nei suoi confronti aveva altre ragioni. A metà degli anni Dieci Kazantzakis soggiornò per qualche tempo sul Monte Athos, la repubblica teocratica indipendente, dove non sono ammesse le donne. Si aspettava di trovarvi un’atmosfera di fervore religioso e spiritualità, ma scoprì che molti monaci erano dediti soprattutto alla simonia e all’omofilofilia. Denunciò questa situazione nei suoi romanzi, e questo non gli fu mai perdonato. Questa situazione, peraltro, perdura ai giorni nostri, come dimostrano ripetuti scandali scoppiati nei decenni passati.

Cosa può attrarci oggi di questo romanzo, elevato a evento cinematografico da Martin Scorsese?

L’ultima tentazione è una rivisitazione del Vangelo di Matteo fatta da un grande scrittore, come farà decenni dopo da noi Pasolini, che esalta la figura e la missione di Cristo. Solo nella parte finale il romanzo immagina come sarebbe potuta essere la vita di Cristo se non fosse morto sulla croce e avesse proseguito la sua vita di uomo. Un arbitrio, certo, ma un’opera d’arte non può forse essere dissacrante? Come avvenne per lo Zorba di Michail Kakoyannis nel ’64, anche il film di Scorsese contribuì al successo mondiale del romanzo. Ma fomentò la reazione degli ortodossi integralisti in Grecia, dove furono incendiate le sale cinematografiche in cui si proiettava il film. Tutti gli integralismi religiosi sono ciechi, e non fanno mai sconti a nessuno.

ZorbaCosa resta di decisivo da tradurre, a tuo avviso, nella letteratura greca contemporanea?

La Grecia contemporanea ha una grandissima tradizione letteraria, da Kavafis a Elitis, da Kazantzakis a Ritsos. Molte delle cose più importanti sono già state tradotte. Di Kazantzakis è pubblica anche la monumentale Odissea, uno straordinario poema di 33.333 versi (più dell’Iliade e dell’Odissea messe insieme), che è la prosecuzione dell’epos omerico, e che è già stato tradotto in inglese (in America ha venduto 200.000 copie!), in francese, tedesco, spagnolo e perfino in svedese. Di recente ne ho completata la traduzione italiana. Si tratta dell’ultimo grande poema del Novecento a livello mondiale, dell’opera di un genio. Che, vorrei ricordare, ha tradotto in greco moderno i poemi di Omero, la Commedia di Dante, Machiavelli, il Faust di Goethe, Nietzsche, Bergson, i poeti spagnoli della Generazione del ’27, ha scritto dieci romanzi, più di cinquanta opere teatrali, quattro biografie, diversi libri di viaggio e molte centinaia di articoli. Oltre ad aver tradotto, per vivere, un’enciclopedia francese in 12 volumi. Tutto concentrato in una vita sola… Alla grande letteratura greca, però, è mancata finora l’attenzione della grande editoria italiana. Come scrive un poeta cipriota, Kostas Mondis, “Pochissimi ci leggono,/ pochissimi sanno la nostra lingua,/ restiamo senza riconoscimenti e senza applausi/ in quest’angolo remoto;/ in compenso però scriviamo in greco”. Un privilegio che per la grande editoria italiana è una colpa.

Piccola sintesi sullo stato dell’editoria italiana, oggi. E tu, come stai, come reagisci alla crisi imperante, imperiale?

Credo che l’editoria italiana sia una delle più prolifiche del mondo. Purtroppo le mancano i lettori. Fatto che ha diversi colpevoli, dalla scuola alla politica culturale, dalle istituzioni ai giornali e ai giornalisti. Perfino in Grecia, per dire, la televisione pubblica fa pubblicità alla lettura (attenzione: non ai libri, che quasi sempre sono quelli degli “amici”, alla lettura), con spot televisivi divertenti ed efficaci. In Italia è stato fatto qualche tentativo maldestro, tipo “la lettura è cibo per la mente”, che ricorda gli spot pubblicitari sul cibo per i cani. E forse non è un caso che perfino la Grecia sia davanti a noi nelle classifiche di lettura di libri e giornali. Quanto a me, sono un piccolo editore e uno degli ultimi indipendenti. Non avendo finanziamenti né sponsores, faccio le nozze coi fichi secchi. Però godo di una libertà pura e assoluta, anche se la pago a caro prezzo. Resisto come posso, e ho fatto mio l’insegnamento di un grande poeta greco, Ritsos: “Perché là dove qualcuno resiste senza speranza, è forse là che comincia la storia umana, come la chiamiamo, e la bellezza dell’uomo”.

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