09 Luglio 2020

“Non sono certo i soldi di un boom edilizio che fanno un paese, ma la pazienza di un lavoro a lunga scadenza, l’amore per i doni della natura”. Mio nonno lavorava con Mario Rigoni Stern… Un ricordo degno e indignato

Sciolto come la neve che diventa acqua e ti passa tra le mani, scivolando via senza lasciare nulla se non un senso di umidità. Il discendente dell’ultimo cancelliere della Federazione dei Sette Comuni, la penna (nera) dell’Altipiano di Asiago, l’uomo che ha dato voce e luce alle sue montagne. Il 16 giugno cadeva l’anniversario della sua ascesa verso le cime più alte, avvenuta nel 2008. Nessuno se l’è ricordato però: né un rigo, un frammento, una pigna di mugo, una stella alpina raccolta idealmente per la sua memoria.

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Si celebrano gli improbabili autori di oggi che ne stanno spaparanzati alla luce del mare a presentare libri che il prossimo anno nessuno cagherà, si scrivono editoriali e fiumi di inchiostro sulle novità editoriali da leggere sdraiati sulla brandina (fatevi un giro nelle spiagge di Riccione, una carrellata di bellimbusti tatuati avvolti dai costumi della Sundek e di fighe di legno che per darsi un tono mettono in bella mostra le copertine colorate di manovali della tastiera che “tirano”, inciampando però – clamorosamente – sul verso: libri all’ingiù, come quando da adolescenti si infilavano le foto delle donnine per ammirarne le grazie e non farsi notare) e poi si lascia scivolare nell’oblio quello che Primo Levi definì “uno dei più grandi scrittori italiani”, Mario Rigoni Stern.

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L’ho conosciuto attraverso i racconti di mio nonno materno: hanno lavorato assieme all’ufficio imposte del catasto di Asiago, era “el dasiàro”, colui che si occupava dei dazi. Poi l’ho letto: i miei parenti dicevano che ne La storia di Tönle o ne Le stagioni di Giacomo c’era anche un mio prozio, il partigiano Tango. Ad Asiago poi si diceva che in realtà non fosse lui a scrivere i libri ma che li dettasse a voce e ci fosse uno scribacchino che buttasse giù i suoi pensieri. Dicerie di paese, cose di montagna senza un fondamento. Chi legge non si preoccupa di certe illazioni ma si concentra sulla storia che incontra. Il resto sono ciàcole.

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Più che Il sergente della neve del 1953 – un’impronta indelebile sul manto bianco lungo il Don –, quello che ti entra nel cuore è il suo amore e il suo rispetto per la natura, per le sue montagne. Nel 2003 è stato candidato a senatore a vita. E lui ha declinato la proposta: “Non abbandonerò mai il mio paese, le mie montagne per uno scranno in Parlamento. Non è il mio posto”. Il suo posto era Asiago. Era il cielo, il verde, gli odori della resina, i sentieri, i frutti del sottobosco. E gli animali. Amava andare a caccia.  Era un cacciatore di “piuma” e non di “pelo”, come si dice in gergo: i suoi occhi si alzavano verso il cielo e non si schiacciavano a terra. Soprattutto in autunno, la vera stagione della montagna quando anche un raggio di sole illumina il cuore. C’è silenzio, in autunno. E senti nel naso il profumo delle cortecce bagnate, e vedi i colori più veri, e ti sembra di tornare nel grembo materno.

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Mario Rigoni Stern è stato anche un pittore di parole: “Un bosco sotto la pioggia, con i colori dell’autunno, l’odore della terra e degli alberi, le corse dei caprioli, le beccacce tra i cespugli e le foglie morte sono tra le cose belle che la vita ci può dare. Tra i possibili modi di cacciare, questo d’autunno – con la pioggia e con un cane in luoghi che ben conosci, con un fucile che senti tua continuazione, e l’ora e la stagione, e i ricordi che ti accompagnano – ti fa intensamente partecipare a un mondo che senti esclusivamente tuo, che ti aiuta a capire le stagioni della tua vita che nessuno mai potrà rubarti”.

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Mario Rigoni Stern è stato anche professore: ha messo su carta la voce del dialetto per rendere immortali e tramandare alle future generazioni alcuni modi di dire. La neve – e lui ne ha vista tanta – non è tutta uguale. In italiano si utilizza una parola, in cimbro ce ne sono molte di più, a seconda della stagione. “Brüskalan” è la neve dell’inverno, “swalbalasneea” è la neve della rondine, quella che anticipa la primavera, “kuksneea” è la neve del cuculo che arriva in aprile.

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Mario Rigoni Stern è stato un paladino della natura. “Non sono certo i soldi di un boom edilizio che fanno un paese, nemmeno la civiltà dei consumi, ma la pazienza di un lavoro a lunga scadenza, programmato, l’amore per i doni della natura; il coraggio di saper dire di no a certe assurdità, che se anche al presente si vedono vantaggiose, in un prossimo o lontano futuro, senz’altro sarebbero deleterie”.

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Mario Rigoni Stern ha scritto quello che ha vissuto. E ha vissuto quello che ha scritto. Peccato che il 16 giugno quasi nessuno se lo è ricordato.

*In copertina: Mario Rigoni Stern (1921-2008); la fotografia è tratta da qui

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