21 Novembre 2022

“Dolore e gioia, colpa e innocenza”. Un amore di Kafka

Sul prato sotto la pioggia, io sotto l’ombrello, il cane nero in impermeabile a decidere se farla o no e se sì dove, tutt’attorno i piccioni a beccare poltigline inzaccherate, poveri piccioni, si prenderanno un accidente, pensavo al diario del 1919 di Franz Kafka.

Nel 1919, il 3 luglio avrebbe compiuto 36 anni, Kafka scrive la Lettera al padre, gli viene pubblicato Un medico di campagna, esce Nella colonia penale, si fidanza con Julie Wohryzek, questo però lo si viene a sapere leggendo la cronologia nel Meridiano Confessioni e diari a cura di Ervino Pocar. Nel diario del 1919, quello riportato nel Meridiano, quello non andato perso o non volutamente fatto sparire da Kafka stesso, non c’è quasi nulla di quanto ricostruito in cronologia, c’è solo “J. lungo i cespugli di gelsomino” nella nota del 30 giugno.

Il 1919 scritto da Kafka inizia il 27 giugno. L’ultima nota del 1918 porta la data dal 10 novembre. Dall’11 novembre 1918 al 26 giugno 1919 Kafka non ha scritto nulla sul diario? I diari kafkiani, quello che ne posso leggere, non sembrano dei diari, non lo sono, non c’è un’autobiografia in presa diretta, non c’è un io che non sa fare a meno di sé, di riportarsi per iscritto, di testimoniare cosa ha pensato e cosa ha fatto il giorno ics all’ora ics. Sono diari che a processo non potrebbero essere usati contro di lui. Il modo in cui Kafka parla di sé o parla a sé stesso è insolito, inquietante, inspiegabile. Cosa riusciva a ricordarsi di sé, rileggendosi, ammesso si rileggesse? La nota del 27 giugno fa credere che lo facesse: “Diario nuovo, a rigore soltanto perché ho letto sfogliando il vecchio”. Contraddicendo immediatamente quanto detto sopra, al 27 giugno Kafka indica anche l’ora e i minuti: “In questo momento alle undici e tre quarti, non saprei più fissare alcuni motivi e intenzioni”. Bisogna immaginarsi Kafka che dopo sei mesi dall’ultima volta decide di riprendere il diario per scriverci che non saprebbe “più fissare alcuni motivi e intenzioni”.

Sotto la pioggia, sul prato, mi devo immaginare questo Kafka trentaseienne, più giovane di me ma non più molto più giovane, che tra pochi diari avrà la mia età e che non potrà mai superarla, non avrà mai più anni di me, morirà prima di averne compiuti quarantuno e io, che ne ho quaranta, non so se riuscirò a leggere il diario dei suoi quarant’anni prima che sia io ad averne compiuti quarantuno, ammesso li compia, ammesso riesca a trascorrere in vita più tempo di quanto ne abbia trascorso Kafka. Kafka si scrive qualcosa di cifrato, di non immediatamente traducibile, comprensibile, come per mettersi in sicurezza: chiunque leggerà la sua nota diaristica del 27 giugno non potrà capire, non potrà sapere. Kafka sospettava qualcuno leggesse i suoi diari? La nota successiva è del 30 giugno, è la nota della siepe del gelsomino, della passeggiata nel Riegerpark con J. che i servizi di spionaggio letterari identificheranno con Julie Wohryzek. Dal diario di Kafka di Julie Wohryzek non veniamo a sapere nulla. Solo la sua iniziale. Da Wikipedia che morirà a Auschwitz il 26 agosto 1944. Su Wiki ci leggi: “ricordata per essere stata fidanzata di Franz Kafka”. Il padre era macellaio kosher. Kafka scriverà qualcosa in più su di lei a Max Brod in una lettera, non fu gentile. Non fosse stata una fidanzata di Kafka Julie Wohryzek non avrebbe avuto una pagina Wikipedia. Non sarebbe stata da ricordare. Una vittima dell’Olocausto, un’altra. Entrare nella vita di Kafka, nella sua atmosfera, significa diventare ricordabile come colei che fu “in complesso molto ignorante, più allegra che triste: così è pressa’a poco”, così nella lettera a Brod.

Nel diario del 1919, anno della loro relazione, Julie Wohryzek appare con la J. due volte, nella nota del 30 giugno, lungo i cespugli di gelsomino, e l’11 dicembre, nell’ultima delle sette note diaristiche di quell’anno, che inizia così: “Giovedì. Freddo. In silenzio con J. nel Riegenpark. Seduzione nel Graben. Tutto ciò è troppo difficile”. Di nuovo nel Riegenpark di Praga. I giardini di Rieger, un grande parco collinare, se vivessi a Praga ci porterei il cane. E il Graben dov’è? Dov’è che ci fu la seduzione e quale fu?

In un sito di turismo letterario collegato al nome di Kafka c’è l’Hotel Graben, ci soggiornò più volte con Max Brod. Un hotel renderebbe più facile supporre il tipo di seduzione avvenuta, ma è infondato che Kafka abbia portato J. dal parco di Praga, vicino casa, fino a un hotel in Austria. Il Graben sarà stata la via praghese, quella il cui antico nome tedesco era stato Na příkopě. Qual è stata la seduzione di Kafka, forse mentre riaccompagnava J. a casa? Quella di lasciarsi andare a lasciarla? Scrive nella nota dell’11 dicembre:

“Effettivamente sono cresciuto come certe talee germogliate in fretta e dimenticate, con una certa leggerezza artistica nel gesto di scansarmi quando arriva una corrente d’aria; persino, se si vuole, un che di commovente in questo gesto”.

Kafka appunta, per la prima volta con fare civettuolo, lusingato di sé, il suo sentirsi impreparato alla vita e dunque all’amore di una donna che lo avrebbe definitivamente bloccato, definito, processato, condannato alla vita che c’è e non a quella che ci potrebbe essere, che ci sarà? Il diario del 1919 può essere letto come il racconto più che reticente e completo di una storia d’amore con poco o nullo amore dall’inizio alla fine, scritto come solo Kafka può scriverne uno. Kafka incontra Julie Wohryzek nel novembre del 1918 (l’ultima nota di diario del 1918 risale al 10 novembre; non ci sono accenni di J. nel 1918), a maggio 1919 il fidanzamento, i dubbi nel novembre dell’anno stesso, da lì a breve la rottura. Nel diario del 1920, più breve di quello del 1919, nessun accenno a J.-Julie Wohryzek. Che seduzione fu quella registrata da Kafka nel Graben nel novembre del 1919? Quella di dire a J.: “Non ti amo, non ti ho mai amato, sei molto ignorante ma non è questo il problema, è che sei più allegra che triste mentre io se non fossi triste non saprei proprio di che altro rallegrarmi!”?

Aiuterebbe a capire qualcosa del Kafka del 1919 aver letto Markens Grøde di Knut Hamsun, pubblicato nel 1917, sarà il romanzo che farà vincere a Hamsun il Nobel alla letteratura nel 1920. Scrive Kafka il 9 dicembre, nella sesta delle sette annotazioni del 1919: “Molto Eleseus. Ma dovunque mi volga, mi viene incontro l’ondata nera”. Nella nota è chiarito che Kafka si riferisce al romanzo Terra benedetta di Knut Hamusn, solo che non risulta nessuna traduzione in italiano di Markens Grøde con Terra benedetta, ma, nell’ordine: Il risveglio della terra (1945), I frutti della terra (1966), Germogli della terra (2021). Eleseus è il primogenito del protagonista, è l’intellettuale della famiglia. Il traditore della tradizione. Per sapere come Kafka sentisse sé stesso nel 1919 occorre leggere il romanzo di Knut Hamsun del 1917. Nel diario del 1919 si incontra tramite l’attraente e asfissiante reticenza kafkiana la storia del fallimento non di un amore ma di un tentativo di amare, di venir fuori da un abisso vissuto come habitat naturale e ideale. Scrive l’8 dicembre 1919:

“Lunedì, giorno festivo, nel parco [nel Riegenpark, as usual], al ristorante, nella galleria. Dolore e gioia, colpa e innocenza, come due mani indissolubilmente intrecciate che bisognerebbe tagliare recidendo carne, sangue e ossa”.

Quale sarà stata la seduzione nel Graben di due giorni dopo? Di cedere al bisogno di recidere carne, sangue e ossa? Di tagliare l’intreccio, di trovare riposo dall’unione schiacciante di dolore e gioia, di colpa e innocenza, per venire fuori dal tutto che sta sempre assieme, dove l’attrazione non si riesce a scindere dalla repulsione, il desiderio dal rifiuto, l’amore per l’altro dall’odio verso sé stesso dovuto all’incapacità di amarlo poi per davvero?

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In neanche quaranta righe in un anno, in sette date, c’è una storia tutta da rimontare, una storia interiore che ne farà conseguire una esteriore, e non sarà Kafka a ricostruirlo, a recuperare un senso a proprio uso e a uso pubblico tramite l’esercizio della letteratura, Kafka non fa quello che farà Annie Ernaux col suo pur bellissimo Memoria di ragazza del 2016, dove grazie all’intelligenza del poi si rimettono assieme i frammenti slegati del passato, li si ricuce. Kafka resta slabbrato. Kafka non è autobiografico neppure nei suoi diari, figurarsi nelle sue opere. La sua scrittura recide carne, sangue e ossa. Mettersi sulle sua tracce significa mettersi nel repentaglio. Come scrive nella nota del 5 dicembre, significa venire

“Di nuovo trascinato attraverso questa paurosa, lunga, stretta fessura che, a rigore, può essere vinta soltanto in sogno”.

Entrare nella gelida cavità di sé stessi prima che gli altri ti spintonino nelle fornaci accese per tutti, per ridurti in cenere cioè per ridurti alla considerazione che hanno di sé coloro che si sentono cenere nata dalla cenere e destinata alla cenere. Perché non vogliono essere mai vagliati dal gelo bruciante a cui Kafka invece si accosta di continuo. Non vogliono conoscere la carne che sono, la persona che indossa quella specifica carne. Sotto la pioggia, aspettando il cane nero si decida a farla o no, penso a Kafka e sul prato vedo crescere i cespugli di gelsomino. Sono nel Riegenpark. E quei due poco più avanti devono essere K. e J. che passeggiano, uno di fianco all’altra ma senza sfiorarsi, si piacciono e si fanno orrore, vogliono avvinghiarsi e scappare via lontano in direzioni opposte, non capisco chi sia dei due a star cortesemente accompagnando l’altro verso il passatempo borghese della ghigliottina, finiranno per litigare per conquistarsi la precedenza.

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