03 Aprile 2018

“È più facile che la cometa di Halley si schianti sulla Terra che io diventi uno scrittore di successo. D’altronde, scrivo cazzate”: intervista comica a Gero Mannella, genio nell’arte verbale

Io anche quando sorrido ho i tragici greci che si pigliano a botte nello stomaco. Insomma. Non possiedo l’ironia in ampolla, non conosco il comico, ma amo il cinico – vado volentieri a letto con Jonathan Swift, dopo aver cenato con le sue cervella, ma non capisco le acidità di Charles Dickens, le battute di Guareschi, le imitazioni di Crozza. Fatti miei. Eppure. Quando ho incrociato Gero Mannella mi sono accese le stelle comete negli occhi e le stelle filanti sono esplose dai denti. Pigliate il suo sito internet. Titolo. ‘Gero Mannella’. Sottotitolo. ‘Storie che fanno cagare (Centronord) o cacare (Sud, isole)’. Dichiarazione di poetica: “Stillare il non-sense dalle intercapedini della comune vulgata scritta, raccoglierlo in arnie con celle esagonali, ed usarlo a mo’ di nuovo DNA per costruire una babele inclinata, proclive al crollo inevitabile, e dunque alla ciclica riedificazione. Distrarre, polverizzare o sovvertire i luoghi usati del verbo e del pensiero, scindere le molecole spontanee o cristallizzate che legano untuose entità e attributi tra loro, e che annichilano il senso riposto e l’esperienza”. Ergo: “un bel modo per dire che scrivo per lo più cazzate”. Ecco. Io non capisco la verve – o la vis – comica ma adoro gli scrittori che si pigliano per il culo. Mannella è un degno nipote di Georges Perec, è una spina conficcata nell’ulcera di Marcel Duchamp. D’altronde, come puoi non adorare uno che nella fatidica bio scrive così: “Nel 1997 è finalista al Premio Calvino col romanzo Ferendedalus… Durante la serata della premiazione il Mannella siede in seconda fila, proprio dietro la buonanima di Norberto Bobbio, e per tutta la serata rimane soggiogato dai suoi enormi padiglioni auricolari”. Questo scrittore sgangherato e sagace, che forse è il sesto dei fratelli Marx e l’ottavo dei Sette Nani, dovrebbe essere l’amministratore delegato di una mega-azienda che partorisce slogan pubblicitari, dovrebbe dirigere i ‘Meridiani’ Mondadori – galvanizzerebbe quel cimitero di mummie mutandolo in luna park – dovrebbe per lo meno essere pubblicato come si deve. Invece. Vegeta nei sottoscala dell’editoria. Due libri belli – Non gettate cadaveri dal finestrino e Il killer dei qwery – e un terzo recentissimo, Scheletri nell’armadio (Ensemble, pp.186, euro 12,00), dal ‘claim’ vizioso: “In questo libro ci sono: una ninfomane, un disegnatore di identikit cubista, un formichiere, uno studente di anatomia che sogna un cadavere tutto per sé, un celerino in bicicletta, due piccioni bombardieri, un ispettore che vomita alla vista del sangue, l’assistente dell’ispettore collezionista di tappi di birra (o teste umane all’occorrenza)”. Tanti applausi – il Premio Solinas ha decretato che Scheletri nell’armadio “ha la vis comica di un Frankenstein Junior– e felicitazioni, però lui, Gero, ora, poco comicamente, s’è rotto le palle e dice di non scrivere più. Battutaccia o battesimo della verità? Io sono andato a scovare Gero, solleticandogli i cunicoli della mente e le narici del naso.

Ora. Perché scrivi? Perché è un mero accidente biologico (come cacare) o perché non sai che altro accidente fare?

gero mannella
L’inafferrabile, inaffidabile Gero Mannella

Mera finzione, l’ho sempre fatto per acchiappare sul treno dei pendolari. Per anni mi sceglievo il posto di fronte alla gnocca di turno, tiravo fuori il quaderno, assumevo una finta aria pensosa, e tracciavo qualcosa con la penna dando a capire che lei fosse la fonte di ispirazione. Non credo ci riuscissi: lo realizzavo quando la vedevo sbadigliare, grattarsi le ascelle, fare speleologia nasale non dissimulata ed appiccicare le caccole sul retro del mio quaderno. Sicché il sonetto tardo-stilnovista si dissipava, e per dare un senso al moto del pennino lo mutavo nella prima cazzata che mi passava per la mente. Col trascorrere degli anni e col job act sono passato dalla gnocca di turno alla milf di semiturno, ma con gli stessi esiti. In compenso mi son trovato un bel po’ di cazzate da dare in stampa.

 Penso che uno come te, quanto a ingegno nell’arte verbale, dovrebbe essere il creativo marketing di una maxima azienda italica. Invece. Dettagliaci le tue glorie e le tue sconfitte al cospetto del molosso dell’editoria nostra.

Grazie per la stima, ma il presunto ingegno nell’arte verbale è da un po’ che non paga, almeno da quando la lingua è oggetto di scarnificazione e la narrazione in forma simbolica ha perso il primato a beneficio d’altri vettori fieri, progressivi e multimediali. Il molosso dell’editoria nostra mi ha sempre tenuto distante, l’ho sempre trovato privo di museruola, mi ha ringhiato contro ad ogni boutade, ha latrato per ogni fumisteria, avrei dovuto rabbonirlo con una prosa scarnificata all’osso appunto, per poi sapergliela lanciare. Giuro che ci ho provato, ma ho sbagliato parabola, l’ho colpito sull’occhio e apriti cielo. Le glorie son vane, l’esser stato finalista al Premio Calvino, al Troisi per la scrittura umoristica, e per il cinema al Mitreo e al Solinas (sì, non vado mai oltre la finale, non metto a fuoco il filo di lana) non ti affranca da invisibilità e immaterialità. Per dirti, nemmeno le porte automatiche dei supermarket si aprono più al mio passaggio, devo entrare con un cane randagio al mio fianco (non il molosso).

 Ma… t’interessa, insomma, il parere altrui sull’opera tua?

Cazzo se m’interessa! Fui lusingato dal plauso pressoché unanime per le mie raccolte di racconti “Non gettate cadaveri dal finestrino” e “Il killer dei qwerty”, casi investigativi obliqui, decisamente non apodittici, condotti da un investigatore disadattato, introverso, poco incline alla truculenza e più interessato agli enimmi di parole che di fatti. E delle critiche ho fatto tesoro, è sortito un approccio innovato verso la scrittura: prima avevo una stilografica regalatami alla comunione che ad ogni frenata del treno aveva una risacca d’inchiostro sul foglio, poi sono passato alla biro. Sul serio tengo in gran conto il parere del recensore e del lettore, non sono snob, non soffro di elitismo, né di etilismo. Giusto un sorso di Vov, a volte.

mannella libroCon “Scheletri nell’armadio” ti sei dato al ‘genere’: un modo per ‘sfondare’ ed entrare nel Parlamento degli scrittori italici?

Gli Scheletri sono la trasposizione in romanzo della sceneggiatura di lungometraggio di cui al Solinas, una slapstick comedy per la quale s’evocò Groucho Marx, i Monty Python, Mel Brooks e Totò e che fu in odore di produzione, poi rientrata (fuck off). Rispetto alle prove precedenti, che avevano più gradi di libertà nell’escursione del non-sense e nel cunnilingus semantico, negli Scheletri lo humour è decisamente più situazionale, e probabilmente più fruibile. L’entrata in Parlamento è un terno al lotto coi tempi che corrono, non solo legata alla solerzia dell’editore Ensemble, ma a congiunture imponderabili. In ultima analisi se dovessi scommettere tra un successo planetario degli Scheletri e una deviazione di rotta della cometa di Halley per il 2062 con impatto sul nostro emisfero, riterrei la seconda più probabile e sarei tentato di sospendere il mutuo prima casa.

Più Scerbanenco ubriaco che Gadda sotto Lsd, dedichi il tuo libro a Bill Evans e Flann O’Brien. Perché? Sono amici tuoi?

Sto cercando di venirne fuori. Pensa che il mio libro precedente l’avevo dedicato al contrabasso di Scott LaFaro, il primo bassista di Bill Evans. Già volgere il grato pensiero agli umani mi dicono sia un passo avanti. Bill, e in generale l’estetica jazz, permea la mia vita e, sono certo, le mie storie. Il jazz non manierato è umorale e amorale, scardina i luoghi comuni, folgora e trascende. Io provo un approccio simile, ma due ottave più in basso.

Che compito deve avere lo scrittore rispetto alla Storia? Scannarla, fotterla, fottersene?

Le mie cose sono atemporali, astoriche, fuori di contesto. Hai presente la metafisica di De Chirico e le proiezioni di Depero? O anche il Bigger Splash di David Hockney? Non mi piace parlare di compito, quanto di sensibilità. A fare i conti con la storia, o anche solo a evocarla di sottofondo, come un drappeggio o un parato, ci vuole un fisico bestiale, orientamento e vis critica. Non è nella mia cifra, a me interessa il fuori fuoco, lo splash appunto senza soggetto, il dito che indica la luna.

Ma tu li leggi i contemporanei, ma a te piacciono i contemporanei?

Quasi no: Michele Mari, Sergio Atzeni e pochi altri. Amo la letteratura di evasione, non solo nel tema, ma soprattutto nello spazio-tempo. Mi interessa l’aura e il clima, e modalità di vita diverse dal contingente, più che la vicenda corriva. Se mi porgi un Nikolaj Vasil’evič Gogol’ e un Paolo Giordano allungo la mano verso il primo. Se lo avessi fatto nel 1800 e mi avessi trovato ad una stazione di posta dalle parti di Mìrgorod, avrei allungato la mano verso il secondo.

Immagino avrai una piramide di inediti. Qual è il libro che vorresti avere scritto? Qual è il libro che stai scrivendo?

Vorrei aver scritto un libro che comincia così: “Il Cacodemone MacPhellimey, membro della classe dei diavoli, si trovava nella sua capanna, nel folto del bosco di abeti, occupato a riflettere sulla natura dei numeri e a separare mentalmente quelli dispari da quelli pari. Era seduto davanti al suo dittico o antica tavoletta doppia per scrivere, con cerniera, internamente ricoperta di cera. Le sue dita ruvide, dalle lunghe unghie, giocavano con una tabacchiera perfettamente sferica; da un interstizio tra i duoi denti egli fischiava un’elegante cavatina. Era un uomo molto educato, e stimato per la generosità con cui trattava sua moglie, una Corrigan di Carlow.” (Flann O’Brien, At Swim-Two-Birds). Qualche remoto inedito è sul mio sito. Per ora non scrivo, non ho più milf dirimpettaie sul treno.

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