Auden aveva superato i trent’anni e se ne andava negli Stati Uniti in una sorta di esilio dorato insieme al suo amico Christopher Isherwood. Quegli uomini erano un rompicapo. Auden aveva sino allora discettato d’amore senza conoscerlo per davvero, e del resto servì la guerra dell’anno dopo, nel ’39, per mostrargli di che durezza siamo circondati. Di che gelosia si nutre l’amore.
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La scena è questa: al poeta ultratrentenne si presenta la scelta tra il biondo adulto e l’altro biondino, di diciassette anni, alla fine di una conferenza. Siamo a New York e quel marpione di Auden si fa incantare dall’adulto. Piccolo inghippo: lui è etero. La seconda scelta si rivelerà quella buona. Il diciassettenne si chiama Chester Kallmann, è figlio di un dentista di Brooklyn, sua madre era stata un’attrice al teatro ebreo e il padre si è risposato. Chester ha avuto le sue fidanzatine ma noi posteri rimaniamo beatamente all’oscuro se con quelle prodighe e suicidali ragazze americane il nostro Chester abbia mai combinato qualcosa (the Anything Happened come dicono gli inglesi anche in riferimento a relazioni etero).
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In ogni caso, nel giro di un paio d’anni di frequentazioni il ribaldo Chester cornifica il saggio anziano Auden che trova spirito, ispirazione e agio per comporre questa poesia stupenda:
Posa il tuo capo assonnato, mio amore,
Umano sul mio braccio senza fede;
Il tempo e le febbri in ceneri riducono
La bellezza individuale nei
Bambini pensosi, e la tomba
Mostra quanto il bambino sia effimero:
Ma tra le mie braccia fino all’alba
Riposi la viva creatura,
Mortale, colpevole, ma per me
Quella che sola ha in sé ogni bellezza.
L’anima e il corpo non hanno confini:
Agli amanti quando giacciono sul
Suo prodigo incantato declivio
Nella costanza della loro tenerezza,
Grave manda Venere la visione
D’armonia sovrannaturale,
D’amore e speranza universali;
Mentre un’astratta intuizione sveglia,
Tra i ghiacciai e le rocce,
L’estasi sensuale dell’eremita.
La certezza, la fedeltà
Al battere della mezzanotte passano
Come vibrazioni di campane,
E i pazzi in voga levano
Il loro pedante grido tedioso:
Fino all’ultimo centesimo il costo,
Tutte le carte temute predicono,
Verrà pagato, ma da questa notte
Non un sussurro, non un pensiero
Non un bacio né uno sguardo sia perduto.
Bellezza, mezzanotte, visione muoiono:
Possano i venti dell’alba che soffiano
Soavi intorno al tuo capo sognante
Mostrare un tale giorno di dolcezza
Che l’occhio e il cuore scosso benedicano,
Trovino sufficiente questo mondo mortale;
Meriggi riarsi ti vedano nutrito
Dai poteri involontari,
Notti violente ti lascino procedere
Custodito da ogni amore umano.
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La poesia è pubblica con Another time nel 1940. Bennett ha detto una volta con garbo che per fortuna Auden se n’è scappato in USA a cercare il vero amore – altrimenti sarebbe stato cooptato dall’intelligence inglese per servire in guerra in qualche casamatta sperduta, decifrando dal tedesco (“Si sarebbe condannato per cinque anni di guerra a servire come un maggiore disorganizzato, seduto in qualche umida fattoria similnorvegese a Beaconsfield, decifrando messaggi dell’intelligence tedesca”).
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Ci rimane Posa il tuo capo assonnato, amore dove si vede come l’arte che è amore si nutre di dubbio ed è dal dubbio, dall’incertezza e dalla precarietà che l’uomo può iniziare a provare il desiderio del loro contrario, di ciò che non passa mentre tutto intorno a lui passa e scompare.
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Diamo uno sguardo alla poesia. Intanto, il metro è il ritmo: il verso è il trocheo, lo stesso utilizzato nelle filastrocche per regolarità e prevedibilità d’accenti. Auden riesce però col consueto talento a rendere imprevedibile anche quel che di regola non lo è. Ecco che già dalla prima strofa il ritmo riserva qualche sorpresa:
Ma tra le mie braccia fino all’alba
Riposi la viva creatura,
Mortale, colpevole, ma per me
Quella che sola ha in sé ogni bellezza.
But in my arms till break of day Let the living creature lie, Mortal, guilty, but to me The entirely beautiful.
But, “Ma”: posto il suo tema, Auden capovolge la direzione dei versi. La morte, ci dice, lo riguarda solo in quanto, indirettamente, concerne l’amato.
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Iosif Brodskij sosteneva che la fine di una strofa è una pausa accordata dal poeta al lettore con il rischio minimo di spezzare l’incanto. Quando Auden dice
L’anima e il corpo non hanno confini:
Agli amanti quando giacciono sul
Suo prodigo incantato declivio
Nella costanza della loro tenerezza,
Grave manda Venere la visione
D’armonia sovrannaturale,
D’amore e speranza universali;
lancia un ponte di liane sul vuoto per dirci che non esiste confine tra anima e corpo perché le due cose sono legate da un vincolo inscindibile. Gli amanti sono un unico essere, sono letteralmente confusi l’uno con l’altro nell’anima, prima ancora che nel corpo. La priorità non è senza rilevanza per la concezione di Auden: l’anima viene prima, il corpo non è che il mezzo per accedervi.
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Ancora una parola. Venere fa adagiare coloro che si amano sul suo pendio, un morbido declivio a curva di fianco, e i due aggettivi scelti per descriverla sono tolerant ed enchanted. “Incantato” è più seducente forse, allusione allo stato magico, quasi irreale e denso di meraviglia che l’amore porta con sé. Più ardito e insolito, tolerant è anche più difficile da tradurre in italiano: la dea è “tollerante” nel senso che consente molto, offre agli amanti la sua generosità perché anche loro siano altrettanto generosi l’uno verso l’altro.
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Il “declivio” di Venere (ondulato, inclinato, precario) è tolerant ed enchanted, “prodigo” e “incantato” perché accosta il regno del fiabesco e il suo tono alto alle comunissime contrade terrestri. Auden è una mente raffinata e compie lo stesso tipo di abbinamento alto/basso con ordinary swoon, dove l’aggettivo comune (ordinary) è avvicinato al sostantivo più ricercato (swoon, “svenimento”). Ne vien fuori una metafora ellittica di abbraccio e unione sessuale. In traduzione la sintesi audeniana va in parte perduta perché l’italiano deve usare una perifrasi per dire la costanza, il beato rinnovarsi dell’abbraccio, “la costanza della loro tenerezza”.
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Il risultato della serie telescopica d’immagini suscitate dalla lingua di Auden si conserva un poco anche in traduzione: proiezione dell’intimità a due nell’ampiezza della natura, che vi partecipa con le sue fasi alterne ma sempre ritornanti e che, nei versi successivi, provoca una sorta di addomesticamento dell’ingrediente mitologico.
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Il punto, con creazioni simili, è che poi non ha troppo senso stare a distinguere se il dedicatario era un uomo o una donna e se, e se e ancora un altro se. Non conta nulla che in quel genere di relazione l’adulto non deve premere troppo – altrimenti risulta dalla parte forte – e d’altro canto non deve nemmeno comportarsi da mamma, cosa che lo farebbe diventare carino ma insignificante. Non importa nulla: il canto è solo di Auden e il suo amore non ha colore: Notti violente ti lascino procedere / Custodito da ogni amore umano.
Andrea Bianchi & Paola Tonussi
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Lay your sleeping head, my love, Human on my faithless arm; Time and fevers burn away Individual beauty from Thoughtful children, and the grave Proves the child ephemeral: But in my arms till break of day Let the living creature lie, Mortal, guilty, but to me The entirely beautiful.
Soul and body have no bounds: To lovers as they lie upon Her tolerant enchanted slope In their ordinary swoon, Grave the vision Venus sends Of supernatural sympathy, Universal love and hope; While an abstract insight wakes Among the glaciers and the rocks The hermit’s sensual ecstasy.
Certainty, fidelity On the stroke of midnight pass Like vibrations of a bell, And fashionable madmen raise Their pedantic boring cry: Every farthing of the cost, All the dreaded cards foretell, Shall be paid, but from this night Not a whisper, not a thought, Not a kiss nor look be lost.
Beauty, midnight, vision dies: Let the winds of dawn that blow Softly round your dreaming head Such a day of sweetness show Eye and knocking heart may bless, Find the mortal world enough; Noons of dryness see you fed By the involuntary powers, Nights of insult let you pass Watched by every human love.