“Strali di lontanissime felicità”. Storie dal Tempio
Letterature
Veronica Tomassini
Quando il sodalizio poetico e politico fra Louis Aragon ed Elsa Triolet, couple royal del comunismo parigino, volge al termine per la morte di lei – l’Aragonzesse, così l’appellò ingloriosamente Malraux –, il poeta ritiene di non fare più pubblico mistero delle proprie inclinazioni omosessuali.
A scortarne l’esistenza, nell’ultima manciata di anni, fra lotte ideologiche e letterarie, sarà il compagno Jean Ristat, scrittore e poeta, ora ricongiuntosi alla coppia di amici, fra le volute di questo dicembre, all’età di ottant’anni. Del celebre duo di Francia, Ristat è stato esecutore testamentario e prezioso custode delle opere – la “Maison Elsa Triolet-Aragon” sorge sui fianchi di Villeneuve, nell’antico mulino che fu epicentro d’ispirazione per gli scritti più virtuosi di entrambi.
Allievo di Jacques Derrida, Jean Ristat, al netto delle pubblicazioni di taglio prima narrativo, poi poetico – da Le Lit de Nicolas Boileau et de Jules Verne (Plon, 1965), con cui esordisce a ventidue anni, fino all’ultima raccolta, Ô vous qui dormez dans les étoiles enchaînés (Gallimard, 2017) – si dedica, fra l’altro, alla traduzione degli Esercizi spirituali di Sant’Ignazio di Loyola nel 1972, con una prefazione di Roland Barthes, ma, soprattutto, il suo impegno gravita attorno all’universo delle riviste letterarie, all’epoca in cui fungono da teatro di scontri dottrinali.
Nel 1974 fonda Digraphe – il titolo è suggerito da Derrida –, sulle cui pagine vivono gli scritti di un folto pantheon di autori, dal maestro Aragon fino a Michel Houellebecq, passando per Artaud, Blanchot, Bataille, Gide, Dalì, Ionesco; e dal 1989 si addentra nei meandri di Les Lettres françaises, che provvede a resuscitare dopo un periodo di stasi e di cui assume la direzione – ch’era già stata di Aragon, godendo dei finanziamenti del Partito comunista francese – a partire dal 1993. La rivista, nata clandestina, aveva visto la luce nel 1942, per mano di Jacques Decour e Jean Paulhan – quest’ultimo, già terzo direttore della Nouvelle Revue Française fondata da André Gide. Fu proprio Louis Aragon a presentare i due.
Nel variegato reticolo di nomi, è grazie a Jean Ristat che, nel 1994, s’avviluppano, nel volume Le Temps traversé, (Gallimard, Cahiers de la nrf) i profili di Louis Aragon, Elsa Triolet e Jean Paulhan, in un epistolario triangolare degli anni 1920-1964. Si stimavano e forse si odiavano – come osserva Bernard Leuoilliot nell’introduzione allo stesso –, ma parallelamente, questi scambi dialogati, ne ispiravano le opere. Quanto basta a rendere una corrispondenza la più autentica biografia. (Fabrizia Sabbatini)
*
Il 3 settembre 1939 Louis Aragon è mobilitato a Croy-sur-Ourcq, nella Seine-et-Marne, a circa venticinque chilometri a sud di Villers-Cotterêts. Qui scrive le prime poesie di “Crève-cœur”. Nell’agosto precedente ha firmato, in qualità di direttore del quotidiano «Ce soir», un articolo sul patto germano-sovietico, che non gli pareva contraddicesse l’auspicabile conclusione di un patto tripartito tra Francia, Inghilterra e URSS (“Vive la paix!”, 23 agosto 1939). Il giornale viene sequestrato e messo al bando il giorno successivo. Dopo l’interdizione del P.C.F., il 26 agosto, Aragon si rifugia con Elsa presso l’ambasciata cilena, dove porta a termine la stesura di “Les Voyageurs de l’impériale”. La scelta dell’ambasciata cilena è probabilmente dovuta alla presenza a Parigi, nel 1939, di Pablo Neruda, al quale il presidente del Fronte Popolare, Pedro Aguirre Cerda, aveva chiesto di organizzare il trasferimento di rifugiati spagnoli in Cile. Lo stesso Aragon, nel 1938, si era inoltre occupato della prefazione alla traduzione francese de “L’Espagne au cœur” di Louis Parrot.
Jean Paulhan a Louis Aragon
7 settembre 1939
Mio caro amico,
non so bene dove vi troviate – ma sono certo che Ce Soir tornerà alle stampe. Se però così non fosse, sappiate che la nrf ha sempre le porte aperte per voi, e sarei felice se contribuiste con qualche pagina (anche solo qualche riga).
Un affettuoso saluto a entrambi,
Jean Paulhan
*
Lo spazio accordato da Paulhan ad Aragon e Triolet nella rivista, cagiona il malcontento di Drieu La Rochelle e Jean Schlumberger. Drieu dichiara a Paulhan la sua volontà di “rompere con la nrf”. «Scrittore patriota, anche se antidemocratico, non desidero più collaborare con una rivista che, in tempo di guerra, ospita gli scritti dell’ex direttore di una grande rivista politica, Aragon, di obbedienza straniera». «So solo – risponde Paulhan – che egli è al fronte, dove ci non siamo né io né voi, ed è vulnerabile. […] Nella Revue non è mai stato uno scrittore politico. Ma semplicemente il poeta che la guerra ha, finora, ispirato meglio e in modo più potente di tutti i nostri poeti. E (almeno a mio avviso) il romanziere che ha abbracciato la visione più precisa e più vasta di una intera stagione del romanzo francese».
Patrocinando la medesima causa, Paulhan scrive a Schlumberger: «La Francia aveva bisogno di soldati (anche se comunisti) capaci di combattere fino in fondo, come Aragon, e non di borghesi, convinti in anticipo che tutto fosse perduto, come Drieu. Non ha avuto dei soldati, semplicemente. Ma (soprattutto come ufficiali) dei borghesi senza speranza».
Aragon, intanto, ha già firmato, insieme allo stesso Jean Schlumberger – protestante – l’appello di Jacques Solomon per “l’unione degli intellettuali francesi per la giustizia, la libertà e la pace”.
Louis Aragon a Jean Paulhan
martedì, 14 maggio 1940
Caro J.P.,
ho ricevuto la vostra lettera. È tutto vero? Gli intrighi, ad ogni modo, non mi sorprendono: ma che in una rivista che è stata opera vostra per così tanto tempo, possano mettervi all’angolo, e che prevediate il trionfo di tali trame, è ciò che mi sconcerta. State tranquillo. Certo, meglio non fare nulla per peggiorare la situazione, non si tratta certo di un paio di poesiole. Tuttavia, non posso esimermi dal mettere a confronto ciò che mi circonda a ciò di cui vogliono circondarvi, e la realtà in cui mi trovo con le fantasie di questi Messieurs du Derrière, come direbbe il nostro amico [Céline ndt]. (Il mio disprezzo è ben meritato da D., mi offende il fatto che Schl.[umberger] si rivolga a lui, che aveva firmato con me una dichiarazione di unità patriottica circa un anno fa, ma indubbiamente non esiste essere più adirato di un disfattista pentito… Infine, in questi giorni ho letto Ag. D’Aubigné, i protestanti sono in caduta libera da 350 anni).
La vigilia del giorno in cui mi è giunta la vostra lettera ho lasciato ben tre città per sfuggire all’offensiva nemica! Non ho chiuso occhio per quattro notti, se non su un sedile, e anche allora per poco. Ho visto i miei compagni fatti a pezzi, le pareti della mia auto sono puntinate di proiettili, mentre vi scrivo guardo bruciare una città che ho attraversato soltanto stamattina. Ho creduto di non rivedere più i miei cari. Il cielo è costantemente invaso da orridi volatili, e per tre volte da quando ho iniziato a scrivere queste righe ho dovuto fermarmi e stendermi a pancia in giù (vi ringrazio, a proposito, per i Calligrammes, ricevuti nelle condizioni più sorprendenti per il libro stesso). Non racconto nulla di tutto ciò per vantarmi, né per scusarmi. È così, questo è quanto, e ne sono felice, non cambierei il mio destino per nulla al mondo. Benedico il cielo di essere ancora abbastanza giovane da poter attendere a tale impegno senza gloria e senza turbarmi in mezzo agli uomini. Ma è davvero impossibile non mettere in relazione tutto ciò con l’assurdo e abietto delirio di coloro che intendono dare – ed essere gli unici a farlo – lezioni di patriottismo dalle loro comode case di famiglia.
A meno di un incidente, amico caro, credo di poter dire ora, senza presunzione o vanto, ci vediamo a luglio.
Cari saluti,
A.
Come sta Germaine P.? Questa lettera, come sempre, è anche per lei.
*
Jean Paulhan a Elsa Triolet
nrf
12 gennaio 1940
Mia cara amica, il genio di Aragon è talmente ovvio che possiamo parlarne, in maniera genuina, senza apparire (scioccamente) cerimoniosi. Perciò vi rispondo (a una lettera ormai vecchia):
Il punto è che A. ha finora prestato il suo genio nello sviluppo delle idee di un partito. Ha spiegato il surrealismo con una duttilità e un’accuratezza mille volte superiori a quelle di Breton (ad esempio). Si è addentrato nei meandri del surrealismo e ha detto ciò che nessun altro surrealista avrebbe osato affermare.
Fantastico. Ma dopo un po’, divenuto comunista, realista e patriota, ha anche spinto la sua pratica dimostrazione fino a un punto in cui nessun altro avrebbe osato inoltrarsi (curiosamente, è stato l’unico comunista a dichiarare apertamente che il patto germano-sovietico fosse la pace…).
E adesso che ha passato in rassegna le dottrine più diametralmente opposte – sarebbe un eufemismo affermare che se ne sia servito meglio di un Breton con il surrealismo o di un Thorez con il comunismo – non arriverà forse il momento in cui rinsavirà, in cui finalmente sarà solo la sua parola ad essere ascoltata, quando parlerà? In quel giorno, chi potrebbe non amarlo, non seguirlo senza riserve?
Basta così. Se non siete d’accordo con me, non parliamone più. (Ma ad ogni modo non si tratta di un giudizio: pensate davvero che non sappia come sarà Aragon tra sei mesi o dieci anni? Semplicemente, non vorrei che perdesse tempo. Che non ne perdesse altro).
Era ormai troppo tardi per aggiungere ancora una pagina. Tutto doveva essere già inviato, la posta è lenta e la censura ci ritarda oltremodo. Ma ho intenzione di rivedere l’intero testo con molta attenzione.
La cosa mi irrita parecchio. Ho molto amato il vostro scritto [sulla Finlandia, legato ai bombardamenti di Helsinki da parte dell’Unione Sovietica, ndt]. Magari il mese prossimo…
Qui pensiamo a voi due con grande amicizia. Abbiamo visto la foto a colori di Aragon (da Adr.[ienne] Monnier) ma non la vostra (che pare sia molto bella, ho sentito dire. Ce l’avete voi?).
Il vostro amico,
Jean P.
*
Aragon vive il lutto della madre. Marguerite Toucas muore il 2 marzo 1942. Il poeta ne rievocherà la memoria nella raccolta “Le Domaine Privé”. Al contempo, Drieu La Rochelle dichiara di voler rinunciare a occuparsi della nrf in favore di un comitato di redazione sotto la direzione effettiva di Paulhan, rimanendo lui stesso direttore in carica. Anche Paul Valéry professa a Paulhan il proprio disprezzo per Montherlant e Aragon – “vigliacchi e disonesti”. Il progetto però finisce per sfumare.
Louis Aragon a Jean e Germaine Paulhan
martedì, 10 marzo 1942
Cari amici,
le vostre notizie sono angosciosamente scarse. I miei biglietti non hanno avuto risposta. Alcuni viaggiatori ci dicono che pare non vi sia accaduto nulla, ma come possiamo fare affidamento su dei superficiali? Mi auguro siate entrambi in buona salute, ed Elsa vorrebbe sapere quando vi avremo alla nostra tavola per festeggiare.
La vita non è stata molto felice per noi: mia madre è morta all’inizio di questo mese dopo una terribile malattia (un cancro al seno). Ho trascorso i suoi ultimi giorni con lei e, come uomo che ha visto morire tante persone nella vita, come medico, in guerra e intorno a me, non ho mai visto nulla di così terribile. A ciò si aggiungono tutte le teatralità del caso che circondano la morte, la solitudine e l’ambiente, la famiglia lontana, l’incubo di problemi assurdi da risolvere, che le condizioni attuali rendono insolubili, e così via. Sono tornato da Cahors, dove si trovava, in uno stato di sconforto che sembra non volermi abbandonare.
Gaston [Gallimard] mi ha spedito i contratti per la ristampa e per il nuovo romanzo tramite Hachette.
Gli restituisco quello per le poesie e gli accludo il contratto per la prima edizione, che non ho mai firmato. Vogliate ricordargli che conto sulle copie stampate per compensare il servizio della prima edizione pagato di mia tasca; e che ha promesso di pagarmi quanto ancora mi è dovuto per questa prima edizione, per la quale ho ricevuto solo i 1.500 franchi menzionati nel contratto n. 1. Quanto ad Aurélien, non gli restituisco il contratto perché manca la clausola (contenuta in quello di Voyageurs) secondo la quale le somme anticipate per tale opera restano di proprietà dell’autore, non possono essere ad egli richieste, e saranno rimborsate alla società solo dai diritti d’autore di quest’opera, senza poter essere rimborsate per altri libri. Piuttosto che rivedere il contratto più volte, mi sembra più semplice tenere il testo che Gaston, nel suo prossimo viaggio, rettificherà egli stesso a mano, appena verrà a trovarmi, e che firmerò al momento.
Per il momento non lasceremo Nizza e resteremo allo stesso indirizzo. Avete avuto notizie del degno
M.? Mi dispiace disturbarvi in questo modo con tutti i miei affari.
Vorrei mostrarvi le mie ultime poesie, affinché non riceviate da me altro che problemi. Ma, a dire il vero, non scrivo da quasi un mese. Il romanzo di Elsa [Le cheval blanc, ndt] invece procede, prende vita in un modo sorprendente, magico. È il mio feuilleton, il mio diversivo e la mia consolazione in questi giorni.
Scrivere, scrivere. Il tempo è duro, l’inverno si trascina e ci sentiamo molto soli sotto questo cielo azzurro.
Con affetto,
Louis
*
Paulhan e Aragon sono impegnati nella composizione di due questioni, quella dell’espulsione di René Lalou dal Comité National des Écrivains – caldeggiata da molti, fra cui François Mauriac – e della sepoltura di Romain Rolland. Già premio Nobel per la letteratura nel 1915, morto il 30 dicembre 1944 e sepolto a Vézelay il 3 gennaio 1945, Aragon – su «Ce soir» del 4 gennaio 1945 – chiede che Rolland venga trasferito al Panthéon. Alla proposta aderiscono in molti, a cominciare dallo scrittore Paul Claudel. Paulhan fa invece pubblicamente riferimento al “tradimento” di Romain Rolland in un’intervista al «Figaro littéraire» del 18 gennaio 1947, seguita il 1 febbraio da una risposta della signora Rolland.
Jean Paulhan a Louis Aragon
sabato, dopo il 28 maggio 1946
nrf
Caro Louis,
ho provato per due volte a scrivere l’articolo. La verità è che non voglio parlare di nient’altro oltre ciò che sento che mi separa dal CNÉ [Comité national des écrivains, ndt]. (Ma non è questo ciò che volete da me). Dal CNÉ e da voi.
Due esempi: voi avete proposto di portare Romain Rolland al Pantheon. Ora, dal semplice punto di vista della patria (l’unico, chiaramente, di cui possiamo discutere qui, visto che non sono comunista), mi sembra ovvio che R.R., rifiutandosi, all’inizio della Prima guerra mondiale, di schierarsi al fianco della Francia, abbia tradito – esattamente come avrebbero tradito (all’indomani della medesima guerra) Montherlant o Pétain.
Altro esempio: avete espulso dal CNÉ [René] Lalou, il quale, in un’antologia, ha raccolto le vostre poesie insieme a quelle di Maurras. Sinceramente, non riesco a seguirvi. Maurras ha scritto, ha pubblicato, e ho dunque il diritto di citarlo (parimenti per confutarlo e per lodarlo). Anche voi avete pubblicato, e le vostre poesie appartengono a tutti noi. E ho il diritto di sbagliarmi sulle une come sulle altre. Mi dite che la letteratura è troppo importante per essere distaccata dalla politica? A chi mi dice: «Aragon è molto cambiato in venticinque anni», rispondo: «Leggete il suo Reverdy, che è stato scritto l’altro ieri. Avrebbe potuto scriverlo nel 1920».
Come vedete, sto usando un esempio remoto e un altro recente. Ma forse pensate che dovrei dimettermi dal CNÉ. Decidete voi. (La verità è che semplicemente mi sento molto legato al CNÉ).
E a voi due.
Con affetto,
Jean P.
*
A supporto di specifica richiesta di Paulhan, il CNÉ – nella riunione del 12 novembre 1946 – rimuove Pierre Benoit dalla propria “lista nera”. Aveva esplicitato la medesima richiesta anche per Marcel Jouhandeau, difeso peraltro anche da Aragon. Ma le argomentazioni contenute ne «Les Lettres françaises» del 22 novembre 1946 – che annunciano invece l’espulsione di Benoit dal comitato – si rivelano alla base delle dimissioni immediatamente successive di Paulhan: “Ricordiamo che le sanzioni morali prese dagli scrittori del CNÉ sono assolutamente indipendenti dalle decisioni giuridiche a cui scrittori e collaboratori possono essere sottoposti. Il CNÉ non ha contribuito alla definizione delle stesse. Non ne ha richieste. Si è limitato a stilare una lista di scrittori con cui i membri del CNÉ si impegnano a non collaborare in alcun modo. […] È un bene che tali sanzioni morali, che non colpiscono persone o beni, non siano limitate nel tempo. Né l’esecuzione di un Brasillach né il suicidio di un Drieu possono cancellare i loro nomi dalla lista nera. Lo statuto del CNÉ non permette ai membri di questa associazione di pubblicare accanto a uomini che possono aver pagato solo agli occhi della giustizia, ma non agli occhi della coscienza umana”. Alle dimissioni di Paulhan – “Aragon vuole che svolgiamo a tutti i costi il ruolo di ‘gendarmi supplementari’!” scrive a Dominique Aury –, seguono quelle di Georges Duhamel, Marcel Gabriel e Jean Schlumberger. Aragon, poco dopo, diviene invece il nuovo direttore de «Les Lettres françaises». Il suo successore, sarà poi Jean Ristat.
Jean Paulhan a Louis Aragon
23 novembre 1946
Mio caro Louis,
grazie per avermi avvertito così rapidamente. Avrei voluto chiedervi ancora delle espulsioni di Petitjean, Giono e Jouhandeau. A dire il vero, senza molte speranze. Più sinceramente, senza buona coscienza.
Me ne sono reso conto meglio dopo aver letto le ultime Lettres [Les Lettres françaises, ndt]. Non ho mai ritenuto – come ho detto al CNÉ fin dal primo giorno – di avere le virtù (o i meriti, che non nego) di un giudice aggiunto o di un poliziotto. A maggior ragione quando si tratta di imporre sanzioni definitive in nome dell’“umana coscienza”. La cosa migliore da fare è quindi rassegnare le mie dimissioni dal CNÉ. Eccole qui.
Con affetto,
Jean Paulhan
*Le lettere tradotte sono tratte dal volume “Le Temps traversé”, (Gallimard, Cahiers de la nrf, 1994); la ricostruzione degli avvenimenti è elaborata a partire dalle note dello stesso. Il servizio e la scelta delle lettere sono di Fabrizia Sabbatini