La vicenda Antonin Artaud coi surrealisti è improvvisa, avventata, decisiva, feroce. Veniva da Marsiglia, era stato folgorato dalle danze cambogiane, aveva iniziato a calcare il palco, frequentava André Masson, riuscì a prendere contatto con Jacques Rivière. A Parigi, André Breton, conoscendolo, pensò che avrebbe galvanizzato il movimento surrealista, che avrebbe potuto fare di Artaud un suo vassallo. Aderì al Surrealismo nel 1924, Artaud; i surrealisti lo misero al lavoro nella redazione de “La Révolution surréaliste”, che nasceva quell’anno, sotto la guida, ferrea, di Breton e di uno stretto cerchio di scudieri: Louis Aragon, Pierre Naville, Benjamin Péret.
Nel numero 3 della rivista, uscita il 15 aprile del 1925 con il titolo provocatorio “Fin de l’Ère Chrétienne”, tra testi di Desnos (Pamphlet contre Jérusalem), Michel Leiris (La revendication du plaisir), Paul Éluard (La suppression de l’esclavage), appaiono alcune lettere, indirizzate al Papa e al Dalai Lama, scritte da Artaud. La rivista reca illustrazioni di Giorgio de Chirico, Paul Klee, Man Ray e Masson. L’identità surrealista di Artaud durò pochissimo. Breton non ne accetta l’esuberanza, l’esigenza di fare teatro, il genio. Lo sbatte fuori. Non appena Breton opta per il Partito comunista, Artaud scatta e firma, l’8 gennaio del 1927, un intransigente Manifesto per un teatro abortito: “Per me vi sono molti modi d’intendere la Rivoluzione e, fra questi, il modo Comunista mi sembra di gran lunga il peggiore, il più ristretto. Una rivoluzione di poltroni… Una Rivoluzione che ha messo al vertice delle sue preoccupazioni le necessità della produzione e che perciò insiste nel fare affidamento sul progresso meccanico, come mezzo per migliorare la condizione operaia, è per me una rivoluzione di castrati. Ed io non mi nutro di quell’erba”.
Breton & Co. in un pamphlet dal titolo Au Grand Jour gli diedero addosso: “Da tempo lo abbiamo confuso, persuasi che sia animato da una autentica bestialità… Lo abbiamo vomitato, questa canaglia. Non ci impiegherà molto tempo, la carogna, a convertirsi e a dichiararsi cristiano”. Galvanizzato dal duello, Artaud rispose, il 17 luglio del ’27, con un foglio, A la grande nuit ou le bluff surréaliste, in cui scrive, tra l’altro, “Che il surrealismo si accordi con la Rivoluzione o che la Rivoluzione si faccia al di fuori e al di sopra dell’avventura surrealista, ci si chiede, piuttosto, cosa importi al mondo, quando si pensa alla scarsa influenza che i surrealisti hanno avuto sui costumi e le idee di questo tempo”. L’avventura surrealista, a dire di Artaud, si riduce a poco più che “una grande speranza delusa”, un grande gioco, incapace di autentica rivolta spirituale. “Ciò che mi separa dai surrealisti è che essi amano la vita quanto io la disprezzo… L’aldilà, l’invisibile, respingono il reale. Il mondo non tiene più”. Nel 1925, tramite le edizioni della “N.R.F.”, Artaud aveva pubblicato L’ombelico dei limbi: “Laddove altri propongono opere io pretendo solo di svelare il mio spirito. La vita è un bruciare di domande. Non riesco a concepire un’opera staccata dalla vita” (la traduzione è di Massimo Raffaeli, ora in: Antonin Artaud, L’ombelico dei limbi seguito dalla Corrispondenza con Jacques Rivière, MC Edizioni, 2021). Ne L’Argent di Marcel L’Herbier ha un volto spigoloso e omicida, Artaud. Nel 1927 aveva intitolato il suo teatro ad Alfred Jarry, “Chiediamo al nostro pubblico un’adesione intima, profonda. La discrezione non fa per noi… Egli dev’essere ben convinto che siamo capaci di farlo gridare”. Diede avvio a un rito; aveva bisogno di ben altro che un’avanguardia, ennesimo solstizio di meschinità.
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Inviata al Papa
Il Confessionale, non sei tu, o Papa, siamo noi, ma comprendici, che la cattolicità ci comprenda.
In nome della Patria, in nome della Famiglia, obblighi alla vendita delle anime, al libero trituramento dei corpi.
Abbiamo tra noi e la nostra anima diverse strade da attraversare, diverse distanze si interpongono tra noi e i tuoi preti brancolanti, quel mucchio di dottrine avventurose di cui si nutrono tutti i sacerdoti del liberalismo mondiale.
Il tuo Dio cattolico e cristiano che, come gli altri dei ha pensato tutto il male:
1.Te lo sei messo in tasca.
2.Non abbiamo a che fare con i tuoi canoni, indici, peccati, confessionali, pretaglia varia, ma pensiamo a una guerra, una guerra contro di te, Papa, cane.
Qui lo spirito si confessa allo spirito.
Dall’alto in basso della tua mascherata romana trionfa l’odio delle verità immediate dell’anima, fiamme in cui brucia lo spirito. Non c’è Dio, Bibbia o Vangelo, non ci sono parole che arretrino lo spirito. Noi non siamo del mondo. O Papa confinato nel mondo, né la terra né Dio parlano attraverso di te.
Il mondo è l’abisso dell’anima, Papa defenestrato, Papa rigettato, Papa fuori dall’anima, lasciaci nuotare nei nostri corpi, lasciamo le nostre anime nelle nostre anime, non abbiamo bisogno del tuo coltello di chiarezza, di carità.
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Inviata al Dalai Lama
Siamo suoi fedeli servitori, o Grande Lama, ci doni, ci invii le sue luci, in un linguaggio che il nostro spirito contaminato di Europei possa comprendere, e per necessità muti il nostro Spirito, faccia di noi uno spirito unico rivolto alle cime perfette dove lo Spirito dell’Uomo non soffre più.
Faccia di noi uno Spirito senza abitudini, uno spirito congelato in verità nello Spirito, o uno Spirito con abitudini più pure, le sue, che sono buone per la libertà.
Siamo accerchiati da papi rudi, rugosi, da letterati, da critici, da cani, il nostro Spirito è pressato da cani, che pensano solamente alla terra, che indecentemente pensano il presente.
Insegnateci, Lama, la levitazione materiale dei corpi e come possano non essere più obbligati alla terra.
Lei conosce perfettamente a quale traslucida liberazione delle anime, a quale libertà dello Spirito nello Spirito alludiamo, o Papa bene accetto, o Papa dello Spirito autentico.
Con l’occhio del dentro la guardo, o Papa, alla sommità del dedalo interiore. Da dentro le assomiglio, la lego a me, indole, idea, labbra, levitazione, pianto, sogno, rinuncia alle idee, sospeso tra tutte le forme, sperando soltanto nel vento.
Antonin Artaud
La Révolution Surréaliste n.2, 15 aprile 1925