30 Luglio 2019

Dal “manoscrittore” al sommerso, dall’esordiente all’editor, dallo scrittore al mestierante: tu chi sei? Ecco a voi il Bestiario Editoriale. Informato, serio, un poco grottesco

Anni fa mi accaparrai un invito per la MiniFest. Il party di chiusura della Fiera del Libro, organizzato allora da un editore in rampa di lancio, destinato ad una ascesa che pareva inarrestabile, luogo di scoperta e incontro con i maestri americani che hanno cambiato il volto alla narrativa di oggi.

Adesso mostra la corda, non c’è più Nicola Lagioia, è nata Sur, si è esaurita la bolla d’amore per quella letteratura, qualche editore medio piccolo ha scoperto format di maggiore successo, insomma i loro libri faticano a superare le duemila copie vendute, come un piccolo qualsiasi. Sono rimasti schiacciati nel mezzo, non ancora grande editore e o grande gruppo che riempie lo scaffale per l’acquisto da impulso (oppure colonizza i premi di maggior seguito), neppure più agguerrito debuttante che va a scovare i gruppi di lettura ad uno ad uno. Eppure continuiamo ad amarli, con gratitudine immutata.

Quella notte, in un prestigioso circolo sul Po, ebbi una rivelazione. Vidi una umanità, che credevo abituata alla solitudine e al silenzio, scatenarsi al ritmo di ottoni sulle sonorità di Goran Bregović e alle pulsazioni da dj-set intellettuale. Pensai che anche a noi nerd misantropi affetti da eccesso di sensibilità erano concesse serate di sballo. Ovviamente mi sbagliavo. La gran parte di quel popolo era ben abituato ai festini.

Oggi ripenso al party e mi accorgo che era rappresentazione perfetta del bestiario editoriale. Ne ebbi solo una vaga intuizione, un represso senso di fastidio. Il rituale rivelatore era il flusso degli ammiratori. Chi si agganciava al codazzo di chi, chi accerchiava chi sperando in un più o meno significativo cenno, o un salvifico ammiccamento. Perché ognuno era insieme scia adorante e stella cometa, rivelando sfacciatamente una gerarchia nascosta.

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Il manoscrittore

Segretamente mosso dal malanimo, convinto che sia tutto un magna magna per raccomandati e figli di, starlette, attori e presenzialisti tv, si macera nell’invidia e nella commiserazione. È la carne da cannone dell’editoria e si confonde talora con l’aspirante, dal quale si differenzia essenzialmente per l’età. Rappresenta il fondamento e il sostentamento dell’industria editoriale tutta. Con fede incrollabile, mistica, nel proprio talento, ingrassa le poste con invii a tappeto, e non si capacita dei rifiuti e dei silenzi. Tra i pochi che comprano libri, spera di cogliere nelle pagine il segreto della buona scrittura, poi si iscrive ossessivamente ai corsi e alle botteghe; sperpera lo stipendio in schede di analisi di ciò che ha scritto lui stesso, in editing prezzolati, fino ad arrivare all’umiliazione ingloriosa dell’editore a pagamento. Ha un sogno: diventare scrittore. Meglio: essere riconosciuto come scrittore, accolto nel cerchio magico di una élite solo immaginata. Dialogare con venerati maestri e soliti stronzi in bistrot nelle piazze del centro (sperando che qualcuno lo noti) e comunque andarlo a raccontare in giro. Ecco, ciò che frega il manoscrittore, ma anche la ragione che lo rende così prezioso per tutta la piramide che letteralmente (o letterariamente) gli mangia in testa, è l’errore di prospettiva, la deformazione dello sguardo. Desidera adorante uno status per pura miopia, perché non riesce a metterlo davvero a fuoco. Desidera il successo, e per questo è destinato al fallimento, con progressione ineluttabile.

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L’esordiente

Insopportabile, saccente e pieno di entusiasmo, autore di certissimi capolavori, l’esordiente è l’emblema della giovinezza: entrato nel mondo che sognava, brillante, solitamente belloccio, tutto gli riesce e niente sembra poterlo fermare. Si sente invincibile, alle porte del desiderio realizzato. Infastidisce la propria rete di amici con pubblicità sempre più invadenti dell’opera prima, rompe le scatole a professori universitari, critici e venerati maestri per una parola buona. Segretamente rancoroso pure lui, è pronto a scaricare la delusione del rendiconto sul marketing inesistente, sull’inedia dell’editore, sulla casta dei giornali che pervicacemente promuove i soliti noti. Fa tenerezza. Il suo senso di onnipotenza è destinato a infrangersi contro le ostinate mazzate del destino, che si accaniscono sugli entusiasti, non sopportandone la cialtroneria. L’esordiente però è destinato per sua stessa natura a diventare simpatico, si rincuori l’intera categoria. A meno che un destino malevolo non gli regali il successo al primo colpo, un premio e duecentomila copie. Perché poi, alla prova del nove, con il libro successivo, un fiasco gli regalerebbe il marchio indelebile che destina gli sfortunati all’irrilevanza.

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Il sommerso

Ex esordiente, ormai spento dalla rassegnazione, galleggia tra le cinquecento e le duemila copie vendute per libro. Conoscitore disincantato delle dinamiche editoriali, si acquatta anfibio aspettando il suo turno. Al quarto, quinto libro già s’intravvede una poetica, quantomeno una costanza. Il sommerso è uno scrittore che non demorde: non scrive solo per l’anonima popolarità, che non arriva e mai arriverà, ma per più intime intenzioni, o sotterranei bisogni o desideri. Per sua stessa natura non emerge e tutto considerato s’accontenta delle presentazioni semideserte, dei colloqui da social network con i suoi simili e sodali e dell’adorazione dello sparuto gruppo degli ammiratori. Se rimane sempre a pelo d’acqua e non tenta mai una sortita nel mondo sopra è perché è spaventato dai passi successivi della naturale evoluzione. Come una rana che non si decide al passaggio sulla terraferma.

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Lo scrittore

Supera stabilmente le cinquemila. Produce un’opera ogni tre quattro anni. Ora facciamogli i conti in tasca. Mettiamo che abbia una media di diecimila copie vendute e che in vent’anni pubblichi cinque libri. Un costo medio di 16 euro permette all’editore un ricavo di 800.000 euro. I diritti d’autore tra l’8 e il 12%  gli rendono mal contati una cifra intorno ai 80.000 euro lordi in vent’anni. 4.000 euro all’anno. Se gli va un po’ meglio, 5.000. Lordi. Certo che l’aliquota per i diritti d’autore ha un regime agevolato, ma è facilmente comprensibile che lo scrivere non sia un mestiere redditizio. Se ne deduce che lo scrittore campa con altro. Solitamente ha un lavoro retribuito, la qual cosa è encomiabile: guardia giurata, ufficio stampa, consulente, impiegato in amministrazione, insegnante, ma anche professore universitario, giornalista, uomo o donna di partito, starlette della tv, deejay di radio, attore. Quando il mestiere lo consente, o il coniuge chiede una qualche integrazione al normalmente risicato reddito famigliare, lo scrittore approfitta dei suoi diecimila lettori per scrivere di cultura sui giornali (si spera con articoli pagati) o ancor meglio con corsi di scrittura. Gratificante integrazione, non fosse che per lo più gli allievi sono manoscrittori, dunque il lavoro è doppio: tocca anche fingere di leggersi tonnellate di materiale che rischia seriamente di essere scadente e difendersi da finte ammirazioni e veritiere invidie. Insomma, la vita dello scrittore è una vita stressante e parca di soddisfazione. La delusione nasce dalla profonda differenza tra aspettative dell’aspirante e la grama esistenza dello scrittore reale e genera la ricerca compulsiva di un riconoscimento, di una qualche gratificazione artificiale. Uno Strega, un romanzo trasformato in film, o massima ambizione e moderna chimera, in una serie tv. Questa semplice e incontrovertibile constatazione rende meno misteriosi quei figuri ossessionati dai premi o gli opportunisti che tentano con le parole di imbroccare un bestseller: i mestieranti.

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Il mestierante

Scrive per campare, né più né meno. Si differenzia dallo scrittore perché non fa mistero né a se stesso né agli altri che la profonda intenzione dei propri atti è la massimizzazione del profitto. Scrivere è un lavoro come un altro, pieno di compromessi e scocciature. Il cinismo lo porta a inseguire le mode e non lesina una retorica ruffiana. Può anche darsi che abbia abbandonato l’ispirazione più sincera o anche abbia curvato il proprio stile, ma a sua difesa ricordiamo la gogna e la fatica dei primi decenni della gimkana di scrittore. Ha sotterrato la sicumera ingenua e arrocca il proprio orgoglio dietro il dignitosissimo argomento del mestiere. Non si interroga più sul midollo della vita, non cerca la verità dietro all’immagine del mondo, non scardina né irride le nostre convinzioni. Il problema che assilla e motiva la ricerca è come si muoverà il mercato, cosa darà probabilità di vendite costanti. Si dedica a tutte le attività marginali tipiche della professione: scrive di cultura sui giornali, insegna scrittura creativa, partecipa attivamente a presentazioni, happening, tavole rotonde, fiere e festival. Gestisce con attenzione il profilo social e negozia la partecipazione a premi e concorsi. Con metodo rigoroso e scientifico ottimizza la possibilità di piazzarsi, o vincere. Se ne infischia delle maldicenze, d’altra parte è questione di sopravvivenza: fanno presto a parlare quelli che un altro lavoro ce l’hanno! Alla fin fine rosicchia qui, trafuga là, si porta a casa la pagnotta senza doversi troppo umiliare. Sa però che non appena abbasserà la guardia i diritti d’autore crolleranno a zero e dunque corre s’affanna s’arrabatta per difendere il proprio orticello, la propria fetta di mercato rionale.

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Editor

L’editor è uno scrittore dotato di umiltà. Ha quel che cerca. Campa di un lavoro che lo tiene dentro al mondo dei libri, che lo ha appassionato fin dal liceo o ancor prima. Infatti, misteriosamente e contro alle leggi della sociologia e del marketing, continua a leggere. Ha la possibilità di conoscere gli autori delle storie che ama e a volte li segue docile in passeggiate in montagna o viaggi lungo la Via Francigena. Spesso, molto spesso, è la vera origine del successo di un’opera (insieme alla personalità e al carisma dell’autore, lo si conceda). A volte, è l’ultima causa di una catena che invece il libro lo affossa. Cinghia di trasmissione tra lo scrittore e il direttore di collana, o il responsabile editoriale, è la figura che più di ogni altra conosce il mestiere. Sa le regole fondamentali per una storia che funziona. Sa l’importanza del linguaggio, conosce e padroneggia la differenza dei registri. Accompagna l’evoluzione dei personaggi mutandone le metafore, i sogni, le abitudini. Insomma la scrittura di fiction è un corpo di competenze altissime e specialistiche e il buon editor le domina tutte. Soprattutto, rispetto allo scrittore, in quanto umile, non è obnubilato dal narcisismo e ha l’intelligenza di incidere, seppur in modo anonimo e oscuro, nel corpo della letteratura. Lascia che lo scrittore o il mestierante presiedano alle presentazioni in librerie deserte, che il loro nome venga citato nelle recensioni o che vengano venerati al festival di Mantova, ma sa in cuor suo che senza il proprio lavoro e la propria competenza resterebbero nudi nella loro inadeguatezza. Poi il mestiere di editor è la rampa di lancio verso quello che dovrebbe essere il vero obiettivo di chi si avvicina al mondo dei libri: il direttore di collana, poi ancora, ancora più in alto, il direttore editoriale.

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Il direttore di collana e il direttore editoriale

Nell’epoca della serialità, il direttore di collana è la mente creativa del processo editoriale. Come lo show runner di una serie tv, definisce i pilastri essenziali, la linea. Sceglie che tipo di storie raccogliere, le individua e le seleziona, quando non proprio le commissiona, con una precisissima idea del mercato. Come il regista con gli attori, gestisce e coordina gli scrittori della scuderia. Ci si può immaginare questa figura come colei che valuta e sceglie. La depositaria dell’idea di qualità della scrittura o delle storie. In realtà è molto di più: il direttore di collana costruisce una continuità di esperienza. Non solo dunque mette insieme bei libri, a suo insindacabile giudizio, ma associa i libri in base ad un senso complessivo. Divinità della letteratura, costruisce il cosmo dal caos delle storie. Ma pure il direttore di collana alza gli occhi verso un Dio più potente: il direttore editoriale. Colui che incarna la casa editrice e riordina le collane nel suo personalissimo e coltissimo Tetris. Egli governa e sguazza nel brodo editoriale come un alligatore. Dispensa la vita e la morte, di ogni singolo libro o di collane intere. C’è da dire che entrambi, i nostri Dioscuri, campano di questo lavoro. Diversamente dagli scrittori, costretti a ritagliarsi il tempo da dedicare ai libri, essi si riservano uno stipendio dignitoso. Niente a che vedere con altri settori più remunerativi, come l’automotive, l’energia e il petrolio, ma insomma i nostri un 70, 80 mila di RAL se li portano a casa.

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Il Maestro

Beh, loro, i Venerati Maestri, non partecipano alle feste. Stanno lontani, nei loro eremi o nei salotti della buona borghesia, indifferenti i primi, o tutt’al più angustiati dalla decadenza del mondo delle lettere, divertiti dalle giostre di quell’umanità irrilevante. Saranno cinque o sei in tutto, lasciamoli nel loro empireo.

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Credits. A direi il vero il bestiario è incompleto. Ci sono ad esempio i traduttori, esseri ectoplasmatici che hanno superpoteri come e più degli editor, come loro invisibili e forse ancora peggio pagati. Gli agenti letterari e gli spacciatori di sevizi editoriali. I marketer e i social marketer, i ghost writers, i grafici, i redattori correttori di bozze impaginatori, gli artisti delle copertine, i distributori e infine i librai. Meriterebbero ognuno una citazione, certo.

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E i lettori? Lo so vi state chiedendo proprio questo, e i lettori? Ma siete sicuri che esista una categoria di lettori-lettori, senza alcun manoscritto, senza nemmeno una silloge di poesie? Senza qualche racconto pubblicato on line, un contributo ad una fan fiction, senza alcuna velleità di espressione letteraria? Che invece la letteratura non sia un circolo chiuso, come direbbe il buon Coe, un divertimento di élite che si autoalimenta o che consuma, meglio, i patrimoni di qualche mecenate buontempone?

Eppure, leggere è una delle esperienze più intense che ci sia dato di vivere. Leggere emoziona, ci fa migliori. Leggere è sensuale. E allora grazie a tutto questo mondo sbagliato che cammina sgangherato, a rovescio, perché qualche meraviglia, qualche buon libro, sia pure per sbaglio, arriva, arriva sempre. Sì, siamo parassiti ancorati al passato, succhiamo dai libri il sangue che ci nutre, illusi che sia vero nutrimento. Ne siamo inebriati, assuefatti: come il melange rende blu profondo la pigmentazione dell’iride, ci rende ciechi al mondo, ma dotati di preveggenza. Siamo orgogliosi, esoterici custodi di una religione antichissima e inattuale, nell’epoca della morte della parola scritta.

Simone Cerlini

*In copertina: Pier Paolo Pasolini, Alberto Moravia, Laura Betti, Fabio Mauri, Elisabetta Catalano; Agenzia Dufoto

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