La letteratura esiste ancora, ed è bellissima. Dialogo con Ciro Marino
Politica culturale
antonio coda
Del libro ‘di viaggio’, del tutto anomalo, è chiara una cosa. Che il viaggio, per lo più, soprattutto, è interiore: che il paesaggio, intendo, non è lì per il catodico, catastorifo selfie o per inviare la patetica cartolina; è lì perché lo ‘canti’, perché ne riannodi il senso – verbale e sostanziale – nel tuo corpo. In sintesi. Il viaggio è una ‘chiamata’, a cui il viaggiatore risponde con il passo, l’attenzione, il tintinnio della lingua. Insomma: quando un poeta, per sua natura attratto dai luoghi remoti, dagli inospitali dove la poesia è ospite, va in Artico il risultato è insolito, anomalo. Così, il libro di Massimo Maggiari, nato a Genova ma professore al College of Charleston, in Carolina del Sud – per questo, a un certo punto, devia l’intervista in inglese e io gli sto dietro con il mio affanno traduttivo, da demente che vaga nei linguaggi – poeta anzitutto (Aurora Borealis, 2001-2004), che s’intitola Al canto delle balene. Storie di esploratori e sciamani inuit, edito da Giunti (pp.238, euro 16,00), non è un libro di viaggio, ma il resoconto di un’esperienza spirituale. Eppure. In Artico, Maggiari ci è stato un tot di volte (“posso dire che il mio battesimo artico risale al 2011, quando arrivai con un piccolo aereo a Gjoa Haven. Era marzo ed ero stato avvisato da uno scrittore canadese che il freddo in quella stagione sarebbe stato severo. Ma pensavo alle mie Alpi…”) e sull’Artico ha scritto tanto (Passaggio a Nord-Ovest. Sulle tracce di Amundsen e L’avventura del Grande Nord, ad esempio). L’Artico, però, è letto da Maggiari come una sfida all’anima – come il luogo dove ascoltare meglio, nella vastità del bianco, se stessi, la propria storia, le storie. Così, il libro, abbecedario spirituale per mappare l’iceberg che abbiamo piantato nel torso, ci mostra Takanakapsaluk, la Signora degli Abissi, ci racconta la storia dell’“unicorno artico” e quella di Tulugaq, “il magico corvo”, delinea i legami tra il poeta e lo sciamano, ripercorre la biografia di Knud Rasmussen, il genio dei viaggiatori artici (di cui Adelphi, per altro, in piena new wave dell’editoria italiana ‘boreale’, ha da poco pubblicato Aua), parla di amuleti e di stelle, di maglioni imbottiti – Maggiari non si permette le volute del dandy in Groenlandia, non nega la fatica, ma è proprio lì, nel morso bianco, che si eleva il canto – in un detto che spesso si sforma in poesia. Di fronte alla meraviglia dell’ignoto e dello straordinario, d’altronde, l’uomo non può fare altro che cantare.
Partirei dalla poesia. Il tuo viaggio artico è costellato di poesie, di parole ed è anche un viaggio nel ‘valore magico’ della parola (penso alle leggende sciamaniche che ci racconta Knud Rasmussen e quelle che tu rifiati e rifili). Forse è proprio la poesia ad averti guidato verso l’estremo Nord?
Sì, certo. La poesia. Non può che essere lei la responsabile. Per anni mi sono illuso di leggere poesia e fare il critico di versi e cose del genere. Standomene a distanza di sicurezza dalle cose del mondo. Non sapevo ancora, che con la poesia viene a poco a poco l’innamoramento. Proprio così, il coinvolgimento personale con la Vita, e soprattutto, il linguaggio della Vita, che è quello che la Poesia veramente è. La Vita apprezzata due volte attraverso l’estasi delle parole. C’è qualcosa di magico in tutto questo? Certo che c’è. Innamorarsi trasforma il vivere quotidiano in una grande avventura. E questo forse sarebbe già abbastanza. Ma identificarsi con gesta e imprese di un esploratore artico aggiunge una marcia ulteriore. Almeno per me. Quella archetipica legata ai punti cardinali. Il Grande Nord è innanzitutto un eterno archetipo della nostra anima. Un luogo che abbiamo dentro e che volendo possiamo visitare prendendo l’aereo o il rompighiaccio. O tutti e due. Un luogo dove alla selvatichezza più estrema corrisponde alla nostra più profonda autenticità. La chiamata del Grande Nord è seria e impegnativa. L’ultima frontiera della mente razionale che fa domande scomode. Se vogliamo imbarcarci per una vera avventura alla scoperta di noi stessi, la bussola non può che puntare lassù. Da sempre. Dagli abissi dei millenni. È come una luce diafana di una lontana costellazione che attrae uno sparuto drappello di esseri umani: a ogni generazione. E non solo umani. Le parentele che noi scopriamo seguendo questo flusso cosmico vanno al di là dell’umano, del temporale, e della specie. In quel solco fisico e metafisico la balena ci è sorella. Guida agli stessi abissi dell’universo. Ci sono così tante cose che non sappiamo, luoghi e forme di coscienza che non conosciamo. Ma vedi, il linguaggio stesso fa brutti scherzi. Siamo già entrati in un altro ambito. Quello sciamanico. Un ambito dove il potere di co-creazione del linguaggio è infinito. Bruniano.
In forme diverse – recupero mitico, reportage, romanzo – torna, prepotente, anche dal punto di vista editoriale, il mito del Nord, la voglia del ‘grande bianco’. Come mai, a tuo avviso? Frustrazione occidentale, desiderio di nudità, di nuova vita al calore (e al gelo) del mito?
In un mondo complesso e artificioso come il nostro attuale, il Grande Nord senza dubbio può assumere un ruolo compensatorio. Di avvicinamento al reale del mondo naturale. Oppure rimanere una falsa chimera. Quella del viaggio trofeo. Espressione della cultura materialistica dei nostri giorni. Il Nord è chiaramente un trofeo per pochi, anche se i tempi stanno cambiando e presto avremo voli charter anche per la Groenlandia. Ma dentro cerchiamo altro. Vogliamo un risveglio profondo, autentico, estetico. Perché quello che abbiamo perso è un senso reale del Bello. Quando il mondo intorno è povero d’incanto a noi sfugge l’apprezzamento per la Vita (penso a “taci anima stanca”di Camillo Sbarbaro). Lo stress e i vari smog dell’anima ci rendono insensibili. Lontani dalle sorgenti del vivere. E la chiamata dei ghiacci può essere una via di purificazione o crescita. Lo è stato per me. Poeticamente, e anche umanamente. Come uno studente dell’Erasmus sono stato adottato da una famiglia di Ilulissat sulla costa ovest della Groenlandia. Ne sono sicuro. Vita e mito possono coesistere e diventare traccia profonda. Durata nel tempo. E ciò che dura ha inua. Un’anima. Come il ghiaccio nero/black ice che naviga nel cuore di un iceberg per decenni. La chiamata è di fronte e dentro di noi. Da sempre: di abitare poeticamente la terra.
In pratica. Raccontaci in che circostanze sei partito verso l’Artico, la prima volta, qual è stato l’incontro più affascinante, e come posso fare io, pio occidentale, se voglio avventurami lassù.
Esplorare il mondo non è solo una questione di confini fisici. Dobbiamo sempre considerare come o dove il Mondo ci chiede di esplorarlo. Alcune persone andranno a Nord, altri si avventureranno a Sud o in altre diverse direzioni. Che cosa provoca il nostro interesse? La risposta è semplice: la Bellezza. Vogliamo andare dove la vediamo, la tocchiamo, la odoriamo. Deve essere reale. Tuttavia, se prima di partire facciamo una pausa, per un secondo, sulla soglia di casa, scopriremo che il nostro viaggio spesso comincia da un incontro casuale, a volte appena percepibile. Una immagine, una storia, la storia di un amico che abbiamo udito per caso. È la nostra percezione idealizzata che fa la differenza. Ogni volta che accade. Il luogo dove iniziano le avventure è qui, nei nostri cuori, in un giardino segreto chiamato immaginazione. La chiamata è chiara, attraversare un paese lontano non è abbastanza e non è tutto. Siamo chiamati, anche, ad abitare poeticamente il mondo. Cosa significa? Che il nostro scopo principale su questo pianeta è quello di apprezzare la nostra vita e che innamorarsi di un posto è il modo migliore di vivere pienamente, ancora e ancora, attraverso la gratitudine delle parole. Lanciando un ponte invisibile nella terra dell’Anima. Esploratori e sciamani sono entrambi su un sentiero comune. Un sentiero della Bellezza: la Bellezza dell’Anima. Un’Anima che guarisce mentre mappa un nuovo territorio. Un’Anima che si illumina così radiosamente mentre abbraccia la geografia del mondo intero. Anche nelle sue terre più desolate e distanti. Lì l’Anima è incorporata, o può essere presente alla luce dei suoi miti, canzoni, storie. Consentimi il conforto di una verità semplice. Noi abbiamo bisogno di storie, di buone storie, per stare eretti nella Vita.
La missione dello scrittore è quella di viaggiare dentro e fuori di sé, per riscoprire in ogni epoca e terra queste bellissime storie che devono essere rinarrate da migliaia di voci. La missione può essere difficile. Non è facile risvegliare il senso della presenza dell’anima. Soprattutto quando siamo in una destinazione gelida, avvolta nella natura selvaggia e nel silenzio. Nondimeno, la chiamata a viaggiare in zone artiche viene esaudita oggi da molte persone da ogni parte del mondo. Possono essere state sedotte da un volantino esotico o dalla proposta di una agenzia di viaggio, ma in fondo si tratta del richiamo della bellezza della natura selvaggia che stimola il cuore di qualcuno. Iceberg e balene sono marchiati da una lista di aspettative. Per questo motivo, avranno bisogno di buone storie su iceberg, narvali, beluga, balenottere, cacciatori inuit e balenieri.
Il mondo è vasto. La Groenlandia, da Sud a Nord, è un’immensa mappa dove spesso incontriamo la parola ‘inesplorato’. Di solito, durante un giro in barca possiamo vedere la calotta glaciale e i ghiacciai che possono essere raggiunti dal mare. In cima alla Groenlandia, il mare scompare la maggior parte dell’anno, sostituito dal ghiaccio fino alla fine di maggio. Incastonati nella spessa bianchezza emergono una moltitudine di iceberg, che galleggiano nel vasto altopiano. Sembrano monumenti in eterno pellegrinaggio. Ma questo ghiaccio è diverso: sembra flessibile e vivo, forgiato in un processo di perpetuo cambiamento. È bene non avvicinarsi agli iceberg. Possono improvvisamente esplodere, capovolgersi, scomparire. Si dice che il ghiaccio parli cigolando, e non è una coincidenza che nel Grande Nord è importante imparare ad ascoltare. Questo è il primo suggerimento al viaggiatore artico: imparare ad ascoltare. Imparare ad ascoltare le canzoni del vento, del ghiaccio, delle balene che passano. In tale contesto la natura parla a tutti. E tutto è relazione. Questa è la porta dell’Anima Artica. All’inizio, richiede un po’ di pazienza e di confidenza, ma una volta attraversata la soglia quello che troviamo dall’altra parte è un vago senso di essere guidati che ci dà sicurezza. Fidarsi di se stessi. Siamo appena entrati in un nuovo spazio, nel profondo del nostro io autentico, dove risuona la ‘natura selvaggia’. In quella camera segreta incontriamo Sedna, Tulugaq – il corvo, Qidlaq – il potente sciamano, lo Spirito Maschio della Luna, Moby Dick e molte altre storie. Se li ascolteremo con la nostra fiducia appena conquistata, cammineremo dentro e fuori di noi per la vita. Ballando su un Sentiero di Bellezza Artica e di Parole Potenti.
[Exploring the world is not only a matter of physical boundaries. We’ll always have to take into consideration how or where the World calls US to explore. Some people we’ll go North, some others we’ll venture South or even multiple directions. What is triggering our interest? The answer is simple: Beauty. We want to go where we see it, touch it and smell it. It has to be real. Still, if before leaving we’ll pause for a second on the door-step, we’ll discover that our journey often started round the corner with a casual encounter, sometimes barely noticeable. A picture, a story, a friend’s tale that we overheard by chance. It is our idealized perception that made the difference. Whenever it occurred. The place where adventures begin is right here in our hearts, in a secret garden called imagination. The call is clear, crossing a distant land is not enough or is not everything. We are also called TO INHABIT THE WORLD POETICALLY. What does it mean? That our main purpose on this planet is to cherish being alive, and that falling in love with a place is the best way to fully live, over and over, through the gratitude of words. Launching an invisible bridge into Soul territory. Explorers and Shamans are both on a common path. It is a path of Beauty: the Beauty of the Soul. A Soul that heals while mapping new territory. A Soul that shines so radiantly to embrace the geography of the whole world. Even in its most desolate and far-away lands. There the Soul is embedded, or can be present within the light of its myths, songs and stories. Allow me the comfort of a simple truth. We need stories, good stories, to stand tall in Life. The mission of the writer is to travel inside and outside of herself/himself in order to rediscover in every age and land those beautiful stories that need to be retold with a thousand voices. Its mission may be difficult. It is not easy to awaken a sense of the presence of the soul. Especially when we deal with a frozen destination wrapped in wilderness and silence. Nonetheless, the call to travel into arctic territory is answered today by more and more people from all over the world. They might be lured by an exotic brochure or the advice of a travel agent, but down deep is the call for the beauty of the wild that stirs up somebody’s heart. Iceberg and whales are marked first on their list of expectations. For this reason, they’ll need good stories about icebergs, narwhals, belugas, fin whales, inuit hunters and whalers. The world is vast. Greenland, from South to North, is an immense map where we often encounter the word “unexplored.” Usually, on a boat ride we can view the ice cap and the glaciers that can reach into the sea. On top of Greenland, sea waters disappear most of the year to be replaced with ice until the end of May. Set in the thick whiteness there are a multitude of icebergs floating on the vast plateau. They seem to be monuments in an eternal pilgrimage. But this ice is different: it seems flexible and alive, forged in a process of perpetual change. The icebergs are better not to be approached. Whole sides can suddenly explode, capsize, and disappear. Isolated in groups, they easily create disorienting mazes. It is said that the ice speaks creaking, and it is not a coincidence that in the Great North IS IMPORTANT TO LEARN TO LISTEN. This is the first tip to the arctic traveler: learn to listen. Learn to listen to the songs of the wind, of the ice, of the passing whales. In such a context nature speaks to all. And everything is related. That is the gateway to the Arctic Soul. At first, it requires some patience and tuning, but once crossed the thresold what we find on the other side is a vague sense of guidance that gives us confidence. Trust in ourselves. We have just entered a new space, down deep in our authentic selves, where “wildness” dwells. It is in that secret chamber that we meet Sedna, Tulugaq – the raven, Qidlaq – the powerful shaman, the Male Spirit of the Moon, Moby Dick, and many other stories. If we’ll listen to them with our newly conquered trust they we’ll walk inside/outside of us for a lifetime. Dancing on a Path of Arctic Beauty and Powerful Words].
Sotto quale minaccia vivono gli inuit? Intendo: ho la percezione, leggendoti, che si vada perdendo, nei recessi del Nord, un patrimonio di leggende, di sapienze, di virtù. È così? Che spettro grava sull’Artico?
La Perdita d’identità, il consumismo, il materialismo. Le nostre stesse desertificazioni dell’anima sono presenti lassù. L’antidoto è l’incanto della poesia. Sembra utopia ma è così. I pericoli vengono dalla politica. Dal suo linguaggio statistico, economico, burocratico. Anche in quell’ambito c’è bisogno di poesia e anima.
Che cos’è il ‘canto delle balene’?
La chiamata del daimon. La chiamata alla propria autenticità. Un viaggio che ci strappa dal nostro piccolo mondo per portarci in un ambito di parentele e prossimità che neanche potevamo immaginare. Come mi ha detto uno sciamano groenlandese “il mondo è vasto, da non poterlo nemmeno immaginare. Allo stesso tempo ogni giorno a un palmo della mano”.
Che cos’è, senza romanticismi, lo sciamano, quale il suo ruolo tra gli inuit?
Sciamano è chi va oltre il biografico in Vita, diventando interiormente come una crepaccia cava che si perde giù nel blu scuro. Solo così, ci si fa intermediari con il mondo dell’anima, dell’ispirazione e con la Musa della Vita. Portando aiuto e servizio agli altri. Di qualsiasi gruppo e credo.
Davanti a quel bianco che, scrivi, disorienta e stordisce, che cosa hai visto, che cosa capisci, da che prospettiva si guarda alle piccole beghe della politica nostrana?
Che c’è un orizzonte oltre il nostro. Dove il cosmo ci prende per mano. Le galassie, le aurore boreali, le anime degli antenati, quelle di tutte le altre creature, dei trichechi, degli alberi e dei mari. Portando quiete. L’Essere dimora nell’essere. Che si dona. Sempre nascente.
Ultima. Quando torni a Nord? Per andare dove? E… cosa vai scrivendo?
La prossima estate. Al momento attendo messaggi dal Cosmo. Fuochi artici.