14 Febbraio 2020

“Liala, compagna d’ali e d’insolenze”. L’amore perduto di una grande scrittrice

A San Valentino non puoi non rimpiangere Liala. I suoi libri che sussurrano l’amore, le sue pagine che hanno fatto sognare milioni di innamorate. La gita è al sepolcro, nel piccolo cimiterino di Velate, ai piedi del Sacro Monte, sulla collina prealpina di Varese. Spiamo la sua tomba infilando gli sguardi tra le alte inferriate del cancello. È chiuso, ormai. È sera. Ma la sua tomba si riconosce, elegante, laggiù a sinistra, squadrata e semplice come le lettere cristalline del suo nome sul marmo chiaro. Ma da scrittrice le sue tenere ossa sono altrove, e sono di carta, i manoscritti di una vita. È racchiuso tutto in una stanza il suo corpo di lettere, due macchine da scrivere, tanti libri elegantemente disposti sugli scaffali e un compagno di stanza: Piero Chiara. Chissà se le aggrada. Non è di certo un aviatore.

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Il Fondo Liala è a Villa Mirabello, dove era già custodito il Fondo Chiara, dall’estate del 2014, grazie al lavoro paziente e lungimirante di una curatrice d’eccezione: Serena Contini. “Ci si dimentica, in un paese cosi complesso e cosi ricco dal punto di vista dei beni culturali come l’Italia, dell’importanza della tutela. A volte ci si preoccupa di più della valorizzazione dei dipinti che delle carte” spiega la conservatrice: “perché senza tutela non è possibile fare le operazioni a seguire, come lo studio e la valorizzazione, questo vale per gli archivi letterari ma anche per tutti gli altri, è tautologico”. Una donazione importante per la città in cui ha vissuto la scrittrice: “il fatto che le figlie di Liala, Primavera e Serenella, abbiano deciso di donare al Comune di Varese l’archivio della propria madre è nato da un rapporto umano e di fiducia, ne sono stata molto contenta. Se non ci fosse stata questa donazione, c’era il rischio che l’archivio andasse disperso. Primavera ha dedicato la sua vita alla mamma, era la sua segretaria”. Una fila elegante di libri di Liala, tutta la sua produzione con una rilegatura blu, come lei stessa ha voluto.

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Cattura l’attenzione il bel ritratto di Liala da giovane, sedicenne e fulva, accanto alla finestra dell’archivio che si apre su Varese e i suoi Giardini Estensi, e una cornice liberty e dorata che custodisce lo sguardo affascinante della scrittrice a cui d’Annunzio regalò un’ala nel nome: Amalia Liana Negretti Odescalchi, sposata con il marchese Pompeo Cambiasi ufficiale di marina, con diciassette anni più di lei. La famosa dedica di Gabriele d’Annunzio alla giovane scrittrice è custodita qui, la scrittura unica e svolazzante del vate che le cambiò il nome: “a Liala, compagna d’ali e d’insolenze”. Signorsì, pubblicato da Mondadori nel 1931 è stato il suo primo best seller, il suo primo romanzo che ha inaugurato una lunga e prolifica stagione di scrittrice, nata dal suo tragico amore per l’aviatore Centurione Scotto. Si trova al comando del suo idrovolante, durante un allenamento per la coppa Schneider, quando, improvvisamente, perde il controllo e precipita nelle quiete acque del lago di Varese. La morte acerba lascia una ferita immedicabile nel cuore di Liala, che ne trae una linfa infinita per i suoi romanzi. Anche Italo Balbo, nella foto accanto al d’Annunzio, dedica alla scrittrice fino ad allora “ignota di Signorsì con molta deferenza” un segno di riconoscimento, perché come spiega la curatrice Contini: “questo romanzo di ambientazione aviatoria colpisce quegli uomini che all’aviazione avevano donato il loro cuore e quindi colpisce Italo Balbo che si interessa a quest’opera e d’Annunzio che dà il nome alla scrittrice. Per d’Annunzio Liana deve avere un’ala nel nome: Liala”.

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Curiose le lettere custodite in archivio delle tante lettrici di Liala che imposero il nome della scrittrice alle proprie figlie, come questa: “Cara Liala ti scrivo per dirti che ho imposto il tuo nome a mia figlia”. Vittorio Centurione Scotto era il grande amore perduto di Liala, di cui non sono rimaste tracce tangibili: “ha bruciato tutte le lettere e tutto ciò che era personale” svela la curatrice, e la grande fonte di dolore diventa scrittura, una scrittura catartica: “il rapporto di Liala con l’ambiente circostante è profondamente influenzato dalla memoria del suo vissuto. Persino il lago di Varese non esiste in lei se non in funzione dei suoi ricordi, principalmente legati all’amato aviatore genovese, precipitato con il suo velivolo il 21 settembre 1926”. Liala non era a Varese quando morì il suo aviatore, ricorda Contini, si trovava a Moneglia, nella casa di suo marito, il marchese Cambiasi, e, proprio in quegli attimi in cui il suo amato precipitava nel lago, per quegli strani giochi del destino, lei stava per cadere in un burrone, durante una passeggiata.

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Molte e molte volte nella sua lunga vita, Liala ripercorrerà, lungo il lago di Varese, a Calcinate, la strada che ancora oggi porta il nome del suo grande amore, come ricorda in Diario vagabondo: “Infilo la strada che preferisco. Percorro la provinciale, taglio Gavirate, esco sulla tangenziale bellissima che corre alta sul lago. Lascio questa strada dove inizia un’altra strada, ma piccola, fra giardini e ville, stretta così che forse due macchine passano a fatica: è la strada che porta sulla targa il nome del mio Amore. È una delle strade di allora, quando non c’erano queste ampie, imponenti strade che fanno filare le vetture a grande velocità”. Sono i Dieci chilometri di pensieri – titola così il brano di questa autobiografia letteraria – quei cinque di andata e di ritorno che separano casa e strada: “La mia macchina va piano, sulla strada provinciale saettano le vetture. Io sono arrivata all’uscita: la stradina che porta “quel” nome è finita dopo aver fatto curve e linee alte sul lago. Guardo alla targa: ve ne è una all’inizio e una alla fine della strada. Leggo bene il nome, il cognome e il vocabolo: AVIATORE. Il cuore è fermo. L’anima non è triste. Non sono mai riuscita a capire cosa sia quel sentimento che provo leggendo quelle targhe con “quel” nome. Mi pare di non capire perché “quel” nome sia là, bianco su targa blu. Esco dalla stradina, infilo la strada provinciale: vedo su la strada che sta di fronte alla sua un altro nome: Dal Molin. Poi Agello. Poi Ferrarin… Si sono ritrovati qui tutti i bellissimi eroi di un’epoca remota e valorosa: forse di notte, da una targa all’altra, passano sussurri; si parla di acrobazie, magari. Erano tutti acrobati perfetti”.

Linda Terziroli

Gruppo MAGOG