
“Non voglio continuare a vivere così”. Christian Kracht, uno scrittore di culto
Letterature
Edoardo Pisani
L’opera emblematica di Umberto Boccioni, Stati d’animo – Gli addii, esemplifica in maniera encomiabile il romanzo di George Saunders, Lincoln nel Bardo, edito nel 2017, ambientato nel 1862 in piena Guerra civile americana.
Più che di romanzo storico si potrebbe parlare di una vera e propria opera drammaturgica poiché le parole sono esclusivamente dei personaggi messi in gioco, senza la mediazione di alcun narratore.
Oltre alle parti dialogate appaiono brevi estratti che riguardano la vita privata del presidente Lincoln e del lutto che ha subito, quello del figlio Willie. Lincoln non riesce a separarsi da Willie, va a trovarlo al cimitero, esportando il corpo dalla bara, o meglio, dalla “cassa da malato”. Il presidente non riesce a lasciarlo andare, a dirgli addio:
“Prima o poi l’ultimo giorno arriva. Il giorno in cui devi uscire dal tuo corpo. Ed è già brutto. Poi metti al mondo un bambino. I termini della trappola si inaspriscono. Anche quel bambino dovrà andarsene. Ogni piacere sarà guastato da quella consapevolezza. Ma noi, sempre speranzosi, ce lo scordiamo”.
Ma peggio di chi è morto c’è chi non si rende conto di essere già morto e dissimula la sua vana esistenza. Tra le anime che abitano il cimitero ci sono anche quelle di Roger e di Hans, entrambi corporalmente rappresentati in modo distorto proprio perché un corpo non l’hanno più. Roger, omosessuale omicida, è descritto con diverse paia d’occhi e diversi nasi; Hans, colpito da una trave, è nudo e con un membro pronunciato. Questi personaggi assistono alle visite di Lincoln finché non si rendono conto di essere morti grazie a Willie, il quale svelerà la loro reale natura: “Morti, siamo tutti morti!”.
Lincoln, che dovrebbe curarsi della guerra in corso, non riesce a pensare a nient’altro che a suo figlio, e viceversa. Willie, infatti, entrando più volte nel corpo del padre, anima fantasmatica, fa sentire la sua presenza e questo non permette a entrambi di separarsi. Solo quando Willie abbandonerà la condizione di non-morto, di morto vivente, assieme a tutte le altre anime del cimitero, Lincoln riuscirà a farsi carico del suo paese.
Il bardo fa riferimento al Bardo Thodol, libro tibetano dei morti che descrive gli stati di transizione fra sonno-veglia, morte-vita. I defunti possono avviarsi verso il nirvana o, se non riescono a superare la condizione dei vivi, tornare a reincarnarsi e a ricadere nel ciclo di conflitto, dolori e passioni della vita. Tutti i fantasmi di questo cimitero sono persone che non sono riuscite a superare le passioni della vita per avanzare verso il nirvana. Essi parlano per frammenti, ripetendo sempre le stesse cose cercando di autoconvincersi di ciò che non sono, ovvero prigionieri in una condizione intermedia che non è né vita né morte. Essi pensano di essere malati e sperano in una guarigione.
Così, il presidente sembra appartenere alla stessa cerchia di queste anime poiché anche lui rimane intrappolato nelle sue passioni ed emozioni. Vive ancorato al passato lasciandosi alle spalle il tempo presente e futuro. La percezione del tempo all’interno del romanzo è soggettiva e idiosincratica; il tempo è sospeso e ritornerà oggettivo solo alla fine del romanzo. Da una situazione di permanenza delle anime, “quelli che restano”, a una situazione di abbandono “quelli che vanno”.
Boccioni rappresenta bene gli addii caricati di desolazione e sopraffazione. L’orizzonte rappresentato non è la divisione dello spazio bensì quella del tempo. I viaggiatori partono e lasciano i propri affetti oppure si allontanano alla rincorsa di una qualche speranza. Altri rimangono e soffrono l’esperienza dell’abbandono. In entrambi i casi non si parla di corpi ma di anime sottili e leggere, svuotate dal peso della loro esistenza oppure lasciate sole, incapaci di oltrepassare la loro condizione.
L’ultima consapevolezza è capire che le anime saranno per sempre e ovunque, ed è questo che rincuora le persone e proietta il loro sguardo in avanti. Lasciare andare, a volte, è il primo gesto d’amore, puro e disinteressato:
“Suo figlio non era in nessun luogo; suo figlio era in ogni luogo”.