14 Dicembre 2019

#SPECIALE: Come gli scrittori vedono Michel Houellebecq. Il caso di Yasmina Reza. “La vita con gli occhi di un uomo oscuro e qualunque, risolutamente pessimista”

Nell’immenso e profondissimo abisso di Cahier (La Nave di Teseo, 2019), l’ultimo libro uscito su Houellebecq – in verità, uno dei pochissimi disponibili in lingua italiana –, davvero non mancano le sorprese per gli appassionati. In mezzo alla ricostruzione della vita privata e artistica, spiccano i contributi di alcuni suoi colleghi che ci aiutano a rispondere alla domanda: “Come vedono Michel Houellebecq gli altri scrittori?”. Naturalmente, parliamo di altri grandi. Se si trattasse di italiani – i soliti asserviti al pensiero unico –, potete stare certi che le opinioni corrisponderebbero a un coro disarticolato di schiamazzi e invettive. È memorabile in tal senso la recensione di Baricco, a pochi giorni dall’uscita di Sottomissione, che bocciò il testo senza appello. Ma Baricco è Baricco, e di lui non ce ne frega onestamente un cazzo. Molto più interessante è conoscere l’opinione di Yasmina Reza – una sorta di versione femminile di Houellebecq, ma prevalentemente orientata verso la scrittura teatrale.

La Reza è una drammaturga – in primis – e romanziera francese. È nota al grande pubblico soprattutto per una sua opera, Il dio del massacro, che ha ispirato il grande Roman Polanski in Carnage. Ciò che colpisce di lei è l’affinità con il narratore di Le particelle elementari. Entrambi focalizzano la loro attenzione sul mondo borghese in decadenza, funestato da nevrosi, votato all’apparenza, sempre sull’orlo del collasso o della crisi di nervi. Come riconosce la stessa: “è vero che ci sono senza dubbio echi e similitudini tra di noi”.

La vicinanza e ammirazione per Houellebecq emerge molto chiaramente in un’intervista rilasciata ad Agathe Novak-Lechevalier e incentrata proprio sul suo collega francese. La scrittrice inizia raccontando come è entrata in contatto con la sua opera allorché, da autrice già conclamata, si ritrovò a far parte della giuria del Premio France Télévision. Dei trenta libri preselezionati non gliene piacque quasi nessuno. Uno dei pochi a convincerla fu Estensione del dominio della lotta, il primo romanzo di Houellebecq. Anzi, in verità fu amore a prima vista: “Ho letto una pagina e alla fine mi sono detta: o è nullo e casca presto, o resta così ed è eccezionale”. Naturalmente si rese conto immediatamente che l’eccezionalità c’era e non scemava. Da quel momento, cominciò a leggere tutto ciò che riusciva a reperire dell’ancora poco noto scrittore. Allora il francese aveva già pubblicato alcuni volumi di poesia, un testo su Lovecraft e Restare vivi, un prontuario di sopravvivenza per giovani poeti. Ed è proprio in quest’ultimo che trova la motivazione della grandezza di Houellebecq, a suo avviso: “Una visione onesta e ingenua del mondo è già un capolavoro. Rispetto a questa esigenza, l’originalità conta poco. Non preoccupatevene. A ogni modo, un’originalità si sprigionerà per forza dalla somma dei vostri difetti. Per quanto vi riguarda, dite semplicemente la verità, né più né meno”. Purtroppo, gli altri giurati non furono del suo stesso avviso e non diedero la vittoria a Houellebecq, limitandosi a farlo arrivare in finale. “Tutti riconoscevano la forza del libro”, però “tendevano a dire che non era uno scrittore, più precisamente pensavano che sarebbe stato l’uomo di un solo libro […] Si considerava che Estensione fosse un’autobiografia, la confessione folgorante di un depresso”. Giustamente lei è rimasta con “la sensazione di un malinteso sull’avvenire”. A chi legge, invece, è probabile che venga qualche dubbio sulla qualità delle giurie letterarie .

Certamente la Reza è a un altro livello. Non le sfugge quel “suono molto personale su una materia banale […] la modernità del punto di vista”, “l’audacia” che sta nell’“invito a osservare la vita con gli occhi, non di un antieroe – ce ne sono molti – ma di un uomo oscuro e qualunque, né bello né brutto […] risolutamente pessimista”. La colpisce anche la figura di Tisserand, altra presenza importante del romanzo, probabilmente il primo incel della letteratura.

Ulteriore aspetto che le salta all’occhio è la vocazione sociologica del testo houellebecquiano che “sfugge dalla materia viva per trasformarla in trattato” – in ciò lei è decisamente distante dall’autore. In sintesi, “in Estensione si sente solo un’immensa libertà, come se non avesse avuto niente da perdere, come se non avesse nutrito alcuna speranza particolare sull’avvenire del suo libro”. Insomma, poco ma sicuro, Houellebecq non ha scritto, come la maggior parte dei nostri autori, per lusingare la platea e spiattellare puttanate politicamente corrette, seguendo la volontà del mercato – per fortuna, nel suo caso ha funzionato.

Non le importa nemmeno che le posizioni di questo siano assimilabili a quelle più reazionarie (“E perché no? Ma la cosa non ha poi tanto interesse: c’è ben altro”). A suo avviso un autore non deve per forza razionalizzare, diversamente dall’intellettuale, e può permettersi di maneggiare “costantemente istanze oscure”. In due parole, può esimersi dall’esprimere buoni sentimenti chiunque scriva utilizzando la forma romanzo – potrà sembrare una banalità dirlo, ma di questi tempi certe banalità hanno una portata rivoluzionaria. Anche perché se è pur vero che, a causa della sua “stanchezza della libertà”, Houellebecq risulta un uomo “antiliberale”, è altresì vero che questa è “la carne della sua opera, è il suo sangue” e ciò “non ha niente di ideologico”. In sostanza, non lo fa per darsi un tono, o per svolgere il ruolo di intellettuale organico del Front National: lui la pensa realmente così e non potrebbe scrivere altrimenti.

Dulcis in fundo, la grande drammaturga francese sghignazza amabilmente alla domanda se si sia sentita turbata dalle parole che Houellebecq spende sulle donne: “Mi ricordo delle sue descrizioni della donna che invecchia e la cui vagina pende come l’escrescenza sotto il becco di una gallina; ho riso, pensando ‘Bastardo!’ Ma è la sua libertà di scrittore: non deve trattare con i guanti”. Ecco, la Reza è la classica donna a cui non bisogna dire “e fattela una risata”. Ci riesce da sola. Il fatto è che lei è una vera scrittrice e una donna intelligente. Quelle che criticano l’autore di Serotonina sono semplicemente delle femministe. Non si può pretendere tanto da loro.

Matteo Fais

Gruppo MAGOG