06 Gennaio 2021

“La democrazia deve affinarsi nella natura, tra le bestie”. Un testo di Walt Whitman

Nell’abnorme introduzione a Foglie d’erba, la prima edizione, quella del 1855 – tradotta da Alessandro Ceni per Feltrinelli – Walt Whitman coagula il canto alla terra di cui canta. “Gli americani di tutte le nazioni d’ogni tempo sulla terra posseggono probabilmente la natura poetica più piena. Gli Stati Uniti stessi sono essenzialmente il poema più grande”, scrive, e così sancisce un legame inesorabile tra il luogo – gli USA – e il verso, tra il verbo e la carne del popolo americano, tra la natura e la Democrazia. “I poeti americani hanno da racchiudere vecchio e nuovo perché America è la razza delle razze. Di codeste il bardo dev’essere commisurato a un popolo… La terra e il mare, gli animali pesci e uccelli, il cielo del firmamento e le orbite, le foreste montagne e fiumi, non sono temi da poco…”. Perfino la politica, in effetti, dovrebbe essere retta da una poetica. “La scelta quadriennale dei presidenti americani è uno spettacolo possente”, aveva detto il poeta, ormai leggenda, acciaccato, nel 1891. Si riferiva alla grande massa democratica che si muove, a fiumane, nell’immensità americana. Riguardo ai presidenti, però, non aveva la stessa opinione. “Non si sono mai visti uomini tanto corrotti, mediocri, inaffidabili, piagnoni e falsi come quelli che occupano il potere pubblico”, scrisse Whitman in un testo del 1860, To a President. Il testo era indirizzato a James Buchanan (democratico), quindicesimo pres degli Usa, ma comprendeva anche i suoi predecessori, Millard Filmore (Whig) e Franklin Pierce (democratico). Riguardo a Pierce – il presidente che fece la fortuna, almeno economica, di Nathaniel Hawthorne – il poeta rincarò la dose: “È il Presidente che mangia escrementi a pranzo, ne gode, e vuole imporli con forza al nostro paese”. Il testo che pubblichiamo qui sotto – che in filigrana, forse, spiega gli Usa più di molte analisi politiche – è tratto da Specimen Days & Collect, collezione di saggi, annotazioni, testi autobiografici, pubblicato nel 1882 (in Italia è edito come Giorni rappresentativi).    

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La democrazia viene affinata all’aria aperta, è solare, resistente e sana soltanto nella natura – proprio come l’arte.

Per questo, occorre qualcosa per temprarle entrambe – per verificarle, frenarne gli eccessi, la morbidezza. Ho voluto, prima di tutto, dare testimonianza di un prerequisito fondamentale e antico. La democrazia americana, nella sua miriade di personalità, nelle fabbriche, nelle officine, negli uffici, nei negozi – e in mezzo alle strade affollate delle città, e nelle case, e in quella polimorfica esistenza sofisticata – deve essere rinforzata, rinfocolata, rivitalizzata grazie al contatto regolare, quotidiano, con la luce e con l’aria e con la vita, brutale, deve stare tra le fattorie, le bestie, i campi, gli alberi e gli uccelli, altrimenti impallidirà, si farà piccola, invisibile. Non possiamo avere altrimenti una grande civiltà di meccanici, lavoratori, e di condivisione (il solo specifico scopo per cui è nata l’America). Non concepisco alcun elemento vivo, eroico nella democrazia degli Stati Uniti d’America in se stessa, priva della natura, che ne costituisce la parte principale – l’elemento che gli dona salute e bellezza – e le permette di fondare la politica, la sanità, la religione e l’arte del Nuovo Mondo.

Infine, la morale del discorso: “Che cos’è la virtù”, scrive Marco Aurelio, “se non una viva ed entusiasta simpatia per la natura?”. Forse, davvero, gli sforzi dei poeti, dei fondatori, delle religioni e delle letterature di ogni tempo, sono stati, e sempre saranno, in questo e nei tempi a venire, gli stessi: richiamare le persone dai loro perpetui smarrimenti e dalle loro astrazioni malate, all’origine, concreta, divina, terrena, ineguagliabile.

Walt Whitman

Gruppo MAGOG