10 Giugno 2019

Ora vi dico perché “On the Road” è uno dei libri più sopravvalutati della storia. Paolo Rumiz, Vinicio Capossella e Jim Carroll sono molto meglio di Jack Kerouac

“Non è perché non ho vissuto quegli anni, però sinceramente mi pare che quello sia uno dei libri più sopravvalutati della storia” mi dice Luca.

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“Sono d’accordo”.

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Luca è l’ex moroso storico della mia ex morosa storica. E con lui non posso parlare che di storia, ovviamente. Non della nostra “storia” in comune con la stessa ragazza (ma a distanza di tempo: non ci siamo mai sovrapposti) ma della storia della letteratura.

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“Avrei potuto scriverlo anch’io” ha aggiunto. Io no, ma lui sì perché gli credo. A pensarci bene, forse anch’io, a dire il vero.

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La storia non siamo noi. La storia è al di là dell’Oceano, lungo le strade dritte e infinite degli Stati Uniti.

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Certo che l’ho letto. Lettura liceale, come tante altre: i maledetti francesi, Herman Hesse, Milan Kundera. Ma mentre tutti questi hanno in qualche modo ricevuto la mia stima, quell’altro lì, l’oggetto del dialogo tra me e Luca, è finito nella lista nera dei libri che hanno avuto una vita più dignitosa di quello che hanno vissuto.

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Il 21 ottobre 1969 moriva lo scrittore Jack Kerouac, autore di “On the Road”, un libro bagnato dal culo. Più o meno cinquant’anni fa uno degli autori più letti se n’è andato, stroncato dall’alcol.

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Non è un invito a utilizzarlo come carta igienica: gratterebbe non poco il fondo schiena. In fondo basta “ridimensionarlo”. Non ridurlo a “Bignamino” ma più semplicemente riportarlo alla sua reale dimensione: un librino. Un librino che però divenne un manifesto a ispirazione della cosiddetta Beat generation.

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Jack Kerouac lo scrisse all’età di 29 anni in tre settimane, con l’aiuto di tanto caffè e senza ricorrere alla benzedrina, un’anfetamina. Jack appuntò le proprie impressioni su una serie di blocchi di carte e fogli sparsi, da cui poi – nell’aprile del 1951 – estrae il romanzo, scritto su un unico rotolo di carta di 36 metri.

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“On the road” è solo viaggio e non molto di più. Una storia ripetitiva.

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Dean, alter ego e icona di Kerouac, è l’eroe dei perdenti: alcol, sesso, lussuria. Un disperso tra i dispersi, affascinanti certamente, ma troppo innamorato del racconto che fa di se stesso per risultare vero. Nella sua “Spoon River” di personaggi senza denti, dediti allo sballo e sempre sospesi sul filo della voragine, non si sentono voci né si leggono epitaffi: troppo alta è la voglia di far leggere al mondo i nomi delle strade che incontra nella traversata coast to coast che nei fatti ha perduto la bussola e si è fatto ingolosire dalle miglia percorse. Tante, troppe, e tutte finite nella lunghezza elefantiaca e spossante del romanzo.

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Vinicio Capossela li avrebbe tratteggiati con più precisione: gli internati dell’ospedale “Ballo di San Vito”.

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La cosa più bella del libro? Il titolo. E basta.

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Se Kerouac si fosse fatto la Appia (come ha fatto l’ottimo Paolo Rumiz), l’opera sarebbe stata più avvincente: in Italia c’è la storia. Negli USA no.

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Il critico Richard Lacayo ha inserito “Sulla strada” nei migliori 100 romanzi del Ventesimo Secolo.

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Un libro che scorre poco. Strano, viste le miglia di strada percorse.

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“Questo non è scrivere, è battere a macchina” disse Truman Capote. E aveva perfettamente ragione. Aveva perfettamente ragione: lo scrittore di “On the road” usava la macchina per scrivere come uno strumento di percussione.

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La cosa migliore di Kerouac è stato il commento che ha fatto a un suo collega. “A soli tredici anni, Jim Carroll scrive meglio dell’89 per cento degli autori di romanzi attualmente in attività”. Questo il parere che Jack espresse alla prima lettura delle pagine di diario da cui nasce “Jim entra nel campo di basket”. È il racconto di un’adolescenza newyorkese fra l’autunno del 1963 e l’estate del 1966, fatta in minima parte della normalità delle aule scolastiche e dei campetti di basket, ma nutrita soprattutto di scorribande per le strade, sperimentazioni con l’eroina e l’LSD, scoperta del sesso, contatti di volta in volta illuminanti o violenti con l’umanità più varia: preti, spacciatori, poliziotti, tossici, pervertiti, attivisti marxisti e piccoli campioni di pallacanestro.

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Un bel viaggio, e perlopiù scritto molto bene. Scritto decisamente meglio.

Alessandro Carli

Gruppo MAGOG