Secondo l’etica pitagorica il 4 è il numero della giustizia. Il 4 all’eccesso, il 44, invece, è il numero della più sonora delle ingiustizie. Neppure la Morte per acqua evocata con parole candide e terribili da Thomas S. Eliot (“una corrente sottomarina/ spolpò le sue ossa in sussurri”) ha benedetto i 44 membri dell’equipaggio del ‘San Juan’, il sottomarino perduto tra le correnti oceaniche dopo essere salpato da Ushuaia, la città ‘alla fine del mondo’, il 13 novembre scorso (e da cui, recentemente, abbiamo accolto su questa rivista il reportage di Maria Soledad Pereira). Tutto, ora, ha il clangore di ciò che è definitivo: la città più australe del pianeta, il 44, lo stesso nome del sottomarino, San Giovanni, logos di metallo che ha sigillato per sempre i suoi ospiti. La morte per soffocamento. La claustrofobia. Vendemmia di fiati fino all’ultimo respiro. Terribile. Il governo argentino, tra pugnalate polemiche – a che livello di revisione era il sottomarino? I parenti di alcuni marinai hanno parlato di ‘una bagnarola’ – piange, sperando l’impossibile. Il Clarín censisce le storie dei 44 martiri della marina, a partire dal comandante del mezzo, Pedro Martín Fernández, 45 anni, tre figli, di Tucumán, fino all’unica donna della compagine, Eliana María Krawczyk, 35 anni, tenente, che è la prima donna ad avere ottenuto la posizione di ufficiale in un sottomarino nella storia argentina. Il più giovane della truppa è Alejandro Tagliapietra, 27 anni, “una gran persona”, dice chi lo ricorda nella precedente professione, commesso in una gelateria: c’è chi doveva sposarsi, molti hanno figli, quasi tutti hanno passato la vita cullando sogni sottomarini. Insieme alle storie arse dal dolore, c’è anche chi, fortuitamente, ce l’ha fatta. Humberto Vilte e Adrián Rothilsberger avrebbero dovuto essere tra i 44 dell’equipaggio. Invece, “sono sani e salvi e con i piedi per terra: per ragioni diverse hanno abbandonato il mezzo poche ore prima che la nave salpasse da Ushuaia”. Altro che la giustizia pitagorica.