Marco Missiroli tramortisce con fiumi di parole gentili e rapide. Da quando vivo a Torino mi è capitato di incrociarlo – quasi per caso – tre o quattro volte, e nel corso dell’ultima non ho resistito alla tentazione di chiedergli un’intervista. Senza averglielo detto, penso che Atti osceni in luogo privato (Feltrinelli, 2015) sia uno dei migliori romanzi italiani pubblicati negli ultimi anni – quanto agli altri libri, Senza coda, Bianco, Il buio addosso, Il senso dell’elefante, sono già parte del ‘canone’ della letteratura italiana di oggi – per questo ho voluto sapere ogni cosa sulla sua nascita (e a cosa sta lavorando ora).
Mi ha colpito il fatto che tu abbia scritto “Atti osceni in luogo privato” in soli 21 giorni, scrivendo circa tre ore ‘a botta’, ma c’è qualcosa che vorresti raccontarci? Renderebbe la questione ancora più apprezzabile.
“Sì, ho impiegato 23 giorni (precisamente) a scrivere la prima stesura. Più circa due anni a rivederla. Ma per me era strano esserci riuscito in così poco tempo, ero abituato a lavorare ai miei romanzi con un metodo preciso: una pagina al giorno (14×21 cm, Garamond 13) e due pagine al giorno il sabato e la domenica. Con Atti osceni ne scrivevo fino a 15 a giornata. Cosa stava accadendo? Questa furia magmatica mi ha costretto a ricercare ambienti precisi di scrittura. Così mi sono organizzato: scrivevo a lavoro, in uno stanzino pieno di scatoloni, deviando le telefonate della mia scrivania ufficiale sul cellulare e facendo avanti e indietro con il mio ufficio ufficiale. Solitamente la scrittura era furiosa, in due ore facevo circa dieci pagine. A volte andavo a scrivere al Refeel, un bar milanese dove c’è molta privacy. Lo facevo prima di andare a lavoro, se sapevo che la giornata lavorativa sarebbe stata difficile per la scrittura nello stanzino con gli scatoloni. Tutto questo in completa segretezza con tutti. Né mia moglie, né alcuna anima viva sapeva di questo. È stato il modo per dare magia all’impresa e per conferire una sorta di non-censura verso di me: ‘Se nessuno sa che lo sto scrivendo, questo libro è solo per me; se è solo per me, posso metterci tutto; non lo pubblicherò, sono libero’. Ripensando a questo processo: segretezza, mistero e libertà sono le tre sostanze che hanno dato vita a questa cavalcata. Ho finito il libro a tre giorni dalle vacanze estive, dando agli ultimi giorni spazi di scrittura più ampi e mentendo a tutti, dicendo che stavo lavorando a un libro sui Fiori di Bach per il lavoro. Poi sono partito per un mese negli Stati Uniti con mia moglie e pur vivendo davvero simbioticamente per quel mese, non ho rivelato nulla. Sono tornato e ho iniziato la revisione, sempre al Refeel, ogni mattina, per circa un anno. Solo dopo la revisione ho capito che avrei potuto (e voluto) pubblicarlo”.
Notevole ricorrenza tra la vita reale e i fiori di Bach di Monsieur Marsell. L’unico interrogativo riguarda il perché il periodo di revisione sia durato così tanto, anche se mi viene da pensare al fatto che potrebbe essere stato il tempo necessario per arginare e indirizzare la furia magmatica.
“Il tempo della revisione è stato così corposo per via della lingua. Il magma era già molto ordinato, ma per trattare un argomento così incandescente serviva una lingua alta e agile, e sempre alta. Questo ossimoro salvava un argomento ‘attaccabile’ perché a rischio di sentimentalismo”.
Proseguiamo. Hai detto che “Atti osceni in luogo privato” “è un libro sui sentimenti, prima di tutto, in cui la sessualità si associa al cuore e diventa eros nel senso più totale, esistenziale”. Questo significa che nel percorso di Libero la sessualità assume un ruolo di rilevanza spirituale?
“Sì, nel percorso di Libero Marsell la sessualità non svolge solamente una funzione erotica, rappresenta anche una guida. Libero si fa guidare dai fallimenti e dai successi che il suo corpo registra attraverso la realtà. Il corpo diventa, per lui, una specie di vangelo laico in cui i trionfi della sessualità sono anche i picchi di realizzazione del suo stesso io nei confronti del mondo, per cui l’eros e la carne si trasformano in una bussola molto potente a cui lui si rivolge, in modo inconscio, per riuscire a definirsi, e come se fosse una preghiera, toccandosi, Libero riesce a raggiungere la propria anima. Da parte mia si è trattato di una scelta inconscia: ho cercato di intercettare la parte più intima di Libero, la componente esistenziale e spirituale di un ragazzino che durante la crescita non trova punti di riferimento, non ha né i genitori né la religione, per cui cerca una dimensione assoluta nell’unica cosa che ha, ovverosia l’identità di sé, e, solo successivamente, nei libri”.
Libero, come abbiamo già scoperto, era il nome di tuo nonno: hai voluto un personaggio che lo riscattasse e si muovesse sui confini della tentazione. “Lo straniero”, “Il deserto dei Tartari”, “Mentre morivo” e, aggiungo, “Il lamento di Portnoy” che ruolo hanno giocato in tutto questo?
“Il lamento di Portnoy non è un libro fondamentale per questo romanzo: è giocato sulla rottura con l’ebraismo nel senso classico, attraverso il corpo e soprattutto grazie ad una ribellione orgiastica nei confronti di sé stesso. Al contrario di Atti osceni in luogo privato ne Il lamento di Portnoy si parla di una decostruzione dell’Io, quindi va in tutt’altra direzione. Gli altri tre romanzi invece servono per definire nei punti nodali la traiettoria che Libero rischia di perdere, quindi, nel momento in cui rischia di smarrirsi, il libro di turno lo indirizza verso la direzione che lui rischierebbe di non prendere. Lo straniero per quanto riguarda la prima ribellione, anche nei confronti del sistema familiare, dato che si sente uno straniero in patria anche lui. Il deserto dei Tartari perché Libero capisce che sta perdendo tempo, quindi questa lettura gli da una definizione del tempo. Mentre morivo invece si riferisce alla madre, alla fine di qualcosa che sta per avvenire, e a come ci si prepara all’addio con la grande dignità che si raggiunge attraverso la crescita. I libri gli donano una grammatica educativa che lui ancora una volta non riesce a ricavare immediatamente dalla realtà. I libri, oltre a farlo crescere spiritualmente – in modo diverso da come accada con il corpo – gli donano anche un modello dal punto di vista identitario.Lo straniero, Il deserto dei Tartari e Mentre morivo definiscono quindi i tre punti focali della sua crescita: la ribellione, il non perdere tempo, e il ritrovare la madre”.
“Tutto quello che è relativo ferisce le persone, perché si muove continuamente”: se gli atti accadono in privato e non in pubblico, il termine “osceni” assume un significato diverso. All’interno del romanzo, cosa definiresti tu stesso come osceno?
“Eccoci, qui ci ritroviamo di fronte a quello che definirei il misunderstanding di questo libro. In Atti osceni in luogo privato non c’è niente di osceno, o meglio, dipende da come ognuno può vederla da un punto di vista strettamente personale. Se gli atti sono osceni da un punto di vista privato, significa che l’osceno è qualcos’altro, l’osceno diventa scoprirsi come non ci si era mai riusciti prima. Per Libero Marsell ad esempio, è osceno semplicemente guardare una compagna di classe, i suoi capelli e la forma del culo: per un altro magari questo sarebbe un qualcosa di irrisorio. L’osceno è un qualcosa che si vede da fuori ma si porta immediatamente dentro, dove risuona in maniera completamente diversa a seconda di ogni singola persona. Osceno è un’unità di misura che cambia a seconda della sensibilità, della spiritualità e della crescita. Per Libero Marsell è quasi il grado zero, semplicemente la natura può essere oscena, perché ha un grado di verginità e di purezza che fa fatica a scrollarsi di dosso. Quindi il mio, è un libro che ricalibra quello che è l’osceno per ciascuno di noi, che cambia di crescita in crescita. Al di là del voyeurismo e degli scambi di coppia, per un ragazzino l’amica di famiglia con una sesta di reggiseno è sufficiente per sentirsi sconvolto. Quello che è relativo, nella crescita, può rappresentare un punto focale nel diventare adulto. Osceno è una parola che racchiude in sé molteplici sfumature”.
Ora invece stai lavorando a un nuovo romanzo? Pensi di poterci anticipare di che si tratta?
“Sì, tra ricerca e scrittura sto lavorando a un nuovo libro da circa tre anni, in maniera molto approfondita. È un libro che tratta la fedeltà e cerca di rispondere a questa domanda: se siamo fedeli a noi stessi, quanto non siamo fedeli agli altri? E se siamo fedeli agli altri, quanto perdiamo di noi stessi? A volte è proprio così, altre invece si riesce a raggiungere un punto di equilibrio molto importante. Il titolo del libro sarà Fedeltà, e uscirà a Febbraio del prossimo anno, se le cose andranno bene. Ovviamente tratta anche molte dinamiche dell’infedeltà – riguardante in qualche modo l’amore, l’eros, la religione e i modi d’essere di questo tempo – durante una crisi e prima della crisi, che si svolge in due periodi differenti: il primo nel 2009, e il secondo nel 2018. È ancora in fase di stesura, sto lavorando molto sia sulla lingua che sui personaggi. Vedremo se riuscirà ad uscire il prossimo anno”.