All’esame di Storia del cristianesimo antico preparai un libro in più. Il Gesù di Rudolf Bultmann. Era nella biblioteca di mio padre, un cristiano estremista, un povero Cristo, in fondo. Remo Cacitti sapeva essere dolce e con analoga ferocia severo. Aveva appena cacciato una studentessa che, a balbettii, aveva scambiato l’Impero Romano per il Sacro Romano Impero. Il livore lo imperlava. Una fastidiosa psoriasi gli irritava il braccio. Aveva occhi rapidi, furbi, generosi. Non sapeva che gli stavo consegnando la testa di mio padre sul piatto istoriato da Bultmann. Fu incuriosito dal ragazzo che si era letto più libri rispetto a quelli assegnati dal programma: aveva già scoperto, in me, l’anima dell’esagitato, dell’antiaccademico, pronto a bruciare le tappe con entusiasmo e con lo stesso entusiasmo a sperperare tutto, dandosi alla fuga. Gli dichiarai che avrei cambiato piano di studi: come si studiava la letteratura in Statale, a Milano, mi faceva schifo; volevo impegnarmi in una disciplina storica, dissigillare i sacrari della letteratura cristiana delle origini. Mio padre avrebbe voluto studiare Storia del cristianesimo antico. Cacitti mi diede un appuntamento. All’epoca, avevo appena iniziato a lavorare.
Devo a Remo Cacitti il fatto di aver tradotto i Salmi. Il professore, maestro di rigore e di nobile umiltà, mi prendeva in giro perché non sapevo tradurre dal greco e non conoscevo il tedesco. “Però, l’ebraico resta la lingua di Dio…”, sussurrò. Accolsi la sfida. Mi misi a studiare, indiavolato, la sera, la lingua di Dio. Fin da bambino, per affinità onomastiche, mi appassionava la storia di Davide: il re ragazzo, il poeta lottatore, il lussurioso, l’uomo che fa della propria debolezza un punto di forza. Cominciai a tradurre i Salmi. Non so cosa potesse pensare il mio professore di fronte a una traduzione di questo tipo:
“d’ogni di giorni parole fulminanti bastarde
porcate svangarci sturaminchie giuda
spioni/bracconieri caviglie scavigliate
raspatori di fiato dismesso
boiate sbandierate senza sfori sfuriare de genti
nell’elohiym deragliare
nell’egli”
Andò avanti per un anno, forse di più. Lo studio dove riceveva gli studenti era all’ultimo piano del dipartimento di Studi storici, in via Festa del Perdono. Una specie di cella. Di solito, ci trovavamo in due, tre, a tratti quattro. Ricordo che uno degli allievi di Cacitti studiava Lanza del Vasto, che un altro aveva costruito una piccola comunità, in montagna: allevava pecore insieme a qualche amico, pregavano. L’assistente di Cacitti, Giovanni Battista Bazzana, adesso insegna ad Harvard.
Nel suo campo, Remo Cacitti, nato a Tolmezzo nel 1948, è stato un autentico maestro. Pubblicava di rado, dopo acerrimo studio. Uno dei suoi libri più noti, Grande Sabato. Il contesto pasquale quartodecimano nella formazione della teologia del martirio (Vita e pensiero, 1994), fungeva da monito: pochissimo testo, lunghissime note. Testimoniare con acribia, senza vezzi. Non amava recitare la parte dell’accademico; non per questo era accessibile. Subito dopo il terremoto del Friuli, nel ’76, si era battuto perché alla catastrofe naturale non si allesse la scaltrezza umana, sbriciolando identità secolari: grazie al suo impegno – riconosciutogli, tra l’altro, in una premiazione pubblica, nel 2016 – il duomo di Venzone, intitolato a Sant’Andrea Apostolo, consacrato nel XIV secolo, sbrindellato dal terremoto, è stato ricostruito, pietra su pietra. Da bambino, mi diceva, aveva conosciuto padre David Maria Turoldo; aveva dedicato un lavoro a Pasolini e il sacro (1997). Su quel tema, tra l’altro, ha detto:
«Pasolini fu spesso accusato di ateismo, ma in termini che ricordano le analoghe imputazioni che i romani rivolgevano ai cristiani delle origini. Su due aspetti, in particolare, l’ateismo dello scrittore si avvicina al cosiddetto “ateismo protocristiano”. I pagani trovavano intollerabile il fatto che i seguaci di Gesù non onorassero gli dèi della città. Per questo Luciano di Samosata li accosta addirittura agli epicurei. Ecco, mi pare che le critiche rivolte a Pasolini poggiassero sulla stessa insofferenza per il suo atteggiamento di demistificazione religiosa. Il secondo elemento è la demistificazione politica: i cristiani rifiutavano l’identificazione, tipica dell’età augustea, tra religio, pietas e humanitas, in conseguenza della quale chi non era pius si poneva al di fuori del consesso umano. Senza dimenticare che a Roma, tradizionalmente, l’accusa di empietà andava di pari passo con quella di licenza sessuale. Tutti aspetti che tornano nella querelle su Pasolini, che tuttavia appare sempre impegnato in una personalissima “imitazione di Cristo”».
Credo sia la prima persona che mi abbia fatto sentire degno di intelligenza. Un maestro, insegnava, deve dar credito alla disgraziata intelligenza dei propri allievi. Ricordo di aver fatto quattro esami con lui, uno in più – forse due – rispetto al comune curriculum universitario. L’esame più bello lo feci a casa sua, in via Meravigli: sull’opera di Isacco di Ninive; aveva invitato un professore della “Sapienza”, esperto in siriaco antico. Presi 28. Infelice – ma fiero. Dura era la maestria a cui obbediva Cacitti.
Quando lo conobbi, lavorava a un libro sui Circoncellioni, donatisti vissuti nel IV secolo, in Africa settentrionale, che imbracciavano un cristianesimo ‘politico’, di rivolta: combattuti da Agostino, erano degli eretici armati; usavano bastonare i vescovi legati a Roma, cercavano la morte, consideravano il suicidio alla stregua del martirio. Il libro di Remo Cacitti, Furiosa Turba. I fondamenti religiosi dell’eversione sociale, della dissidenza politica e della contestazione ecclesiale dei Circoncellioni d’Africa (Edizioni Biblioteca Francescana, 2006), è lo studio più importante su quella eresia: ho avuto l’onore di leggerne le bozze.
Accettò di portarmi alla laurea con una tesi sulla glossolalia: a me interessava il “parlare in lingue” – di cui dice San Paolo – come pratica letteraria, che da Dante arriva ad Antonin Artaud, Andrej Belyj, Paul Celan e Amelia Rosselli. Il sacro nella dissacrata lingua. La mia intuizione fu relegata in una – lunghissima – nota. Grazie a Remo Cacitti ho scoperto gli apocrifi del Primo Testamento e le passioni dei martiri, testi meravigliosi e scalciati ai margini della conoscenza cristiana, come i “discorsi spirituali” di Macario/Simeone, monaco vissuto nel IV secolo, di cui si sa pochissimo, che predicava la necessità della “preghiera incessante”. Il giorno prima della discussione, Cacitti mi telefonò dicendo che la mia tesi era modesta, che sarebbe stato difficile sostenerla. Era il suo modo di ‘caricarmi’; come correlatore, aveva chiesto l’aiuto di Giuseppe Visonà, che insegnava alla Cattolica. Ancora una volta, mi fece sentire degno. Uscii con il massimo dei voti.
Inchiesta sul cristianesimo, pubblicato da Mondadori nel 2008, consegnò a Cacitti una – credo temuta – notorietà. Non riuscii a capire perché si fosse fatto fregare da Corrado Augias, autore di quel lungo libro-intervista. Mi pareva un libro ideologico, sinistro, brutto: teso, in sostanza, a separare la vita di Gesù dalle interpretazioni della Chiesa, banalizzando il messaggio cristiano. Cacitti, in verità, dice molte cose interessanti, annientate dal dibattito che ne seguì, giornalistico, dunque becero. Tentai di stroncare quel libro, ma chi sono io, poi.
Chi gli è stato vicino, con la dedizione dei puri e dei violenti, mi ha detto che ha sofferto, nei suoi ultimi giorni, che è “meglio che te lo ricordi com’era”. Remo Cacitti è morto il 3 marzo scorso.
Non ho mai più visto il mio caro maestro Remo Cacitti in questi anni; ci siamo scritti, di rado; ho evitato di telefonargli. Alcune porte, è bene restino socchiuse: come quando cercavo di spiarlo, dai vetri del suo studio, per capire se avesse approvato o meno le mie prove poetiche, i Salmi del tradimento. La luce, lassù, era rada, spessa, in forma di lucertola di legno. Per me, d’altronde, aveva fatto tutto ciò che poteva. Senza ricorrenza, i ricordi diventano azzurri e piani. Sapeva che non era per me l’accademia; mi ha accompagnato nella letteratura. La raccolta di dieci salmi e tre profeti minori (Abacuc, Naum e Sofonia) fu pubblicata dall’editore Raffaelli con il titolo Scanni. Remo Cacitti accettò di scrivere una postfazione, Tra poesia, profezia e storia, all’“infuocata traduzione”. Attaccava dicendo che “la Bibbia… è stata scritta per rivelare d’improvviso, in tempi e luoghi che non conosciamo, un ulteriore senso prima non scorto, come quando il riflesso subito smarrito di una vetrina o di uno specchio ci restituisce una percezione del nostro volto o del nostro passo fino ad allora ignota”. Nel testo – che per questo testimonia la presenza di un maestro – Cacitti cita il De vita contemplativa di Filone di Alessandria, I Benandanti di Carlo Ginzburg, l’Epistuma Iacobi apocrypha, “uno dei testi copti ritrovati a Nag Hammadi” e la Passio SS. Perpetuae et Felicitatis, per giustificare la preminenza musicale di alcuni testi biblici, che inducono al delirio, al volgersi – ululato ai cieli – a “parlare a Dio”, secondo una grammatica aliena al dire umano, belato babelico.
“Un’importante traduzione codicologica, che gli addetti ai lavori definiscono ‘testo occidentale’ (il rinomato codice di Teodoro Beza) sostituisce all’espressione ‘parlare la propria lingua’ di Atti 2, 5ss., la forma ‘parlavano in lingue’: la variante si chiarisce in ordine alla polemica che Paolo conduce, nella prima lettera ai Corinzi (cfr. capp. 12-14), contro alcuni esponenti di quelle comunità che, appunto, parlavano in lingue, fenomeno forse meglio conosciuto con il termine glossolalia. Essa è affiancabile ad alcune contemporanee espressioni della spiritualità cristiana, diffuse all’interno dei vari movimenti carismatici, e consiste essenzialmente in un rapimento estatico attraverso il quale il profeta in estasi, e cioè letteralmente fuori di sé, annunzia un messaggio celeste su un registro semantico assolutamente incomprensibile e, di conseguenza, altrettanto assolutamente bisognoso di un interprete. Che questa sia con ogni verosimiglianza la lezione testuale più prossima all’originale sembra confermarlo la serie di verbi che caratterizzano la reazione di chi, contagiato da questa esperienza estatica, ‘rimase sbigottita’: ‘stupefatti’, ‘fuori di sé’, ‘stupiti e perplessi’. Per tutti gli altri, che rimangono estranei a questa manifestazione carismatica, si tratta semplicemente di un’ubriacatura fuori orario, dato che erano appena le nove del mattino (At 2, 14)”.
Per dire della tensione del testo, teso a sviscerare un cristianesimo sempre teso tra carisma e burocrazia, stra-ordinario e necessità ordinarie, estasi e stasi, intuizione e contrazione, poetica o politica.
Remo Cacitti mi inviò quel testo esattamente vent’anni fa, il libro uscì nel marzo del 2003. Mi invitò a bere un bicchiere di vino, dopo. Non sapeva far festa, di fronte all’imperante, diceva, “mercificata prostituzione delle relazioni internazionali”. Ma sorrise, con quegli occhi buoni, il viso angelico, per quel poco che ci ha benedetti.