18 Settembre 2024

Uccisore di Dio per amore di Dio. Philipp Mainländer, il cavaliere dell’estinzione

Non è vero che il mondo è un messia crocifisso, il sole la sua corona di spine, le stelle i chiodi e la lancia conficcati nei suoi piedi e nel suo costato?

Georg Büchner, Leonce e Lena

Non siamo troppo severi coi filosofi quando, messa la firma in calce all’opera, la sentono già trampolino per la gloria.

Che tocca ai grandi, forse. Ai mediocri, agli accademici, l’“ebbrezza” della citazione a margine, in bibliografìa, sua versione tutta moderna a buon mercato. Non ce ne vogliano però se incliniamo verso chi, più-che-filosofo, dell’opera sua ha fatto uso assai diverso.

Quando lo ritrovarono nel suo alloggio, Philippe Batz, fattosi Mainländer per amor di città natale, penzolava sopra la sua, Die Philosophie der Erlösung, nuova di tipografìa. Copie impilate con cura, ad uso di rialzo da impiccando, trampolino non a glorie intramondane ma al passo ultimo, identità di pensiero e vita, la Redenzione (Erlösung).

Era il 1876.

1891, una sorella, Minna, apostola della prima ora, curatrice-custode degli ipsissima verba del redento”, lo segue in fervente imitatio. Altro che la  Förster-Nietzsche…

*

Giovane impiegato di banca in Italia, in stupor da Napoli e costiera amalfitana, ancora componeva liriche di suono semplice e mesto, Lenau appena ristorato da calor mediterraneo:

“Oh alba tra i monti di Sorrento,

Saluto dolce a vita più serena,

Quanto rinfranchi! Di rinnovata allegria mi riempi!”

Ma un battito di cigliae già quel di vitale smosso dal quadretto scolorava. Una visita di rito “come s’usa tra i poeti” alla tomba di Virgilio, dove né puri suonifanfare di trombettieri riparano dal regno della Morte, e già scriveva:

“…se non la conosco, pure “sento” altra vita,
In tutto diversa a quest’inquieto
Affannoso sforzo
Di dolore e di furiosa fretta pieno”.

(Ancora inedite da noi, come l’opera maggiore, le trovate in Diario de un poeta. Aus dem Tagebuch eines Dichters, Plaza Y Valdes, 2015, in tedesco e spagnolo)

Da un po’ meditava sul Leopardi.

La communio con l’“omologo” tedesco, Schopenhauer, già letto ruminato in entusiasmo devoto, più che facile  (fallace) equazione fu questione di stimmung e com-passione. Più che educatore, il “cavaliere dallo sguardo di metallo” gli era giunto come rivelazione.

Come tale lo aveva accolto.

*

Ora smetteva il superfluo: i panni del banchiere, mai amati, le esercitazioni di poeta. Del resto, in versicoli dedicati a Camaldoli non aveva detto di avere non voce ma lacrime? Veniva il tempo della sequela, condita degli attrezzi della kritik.

Con altri discepoli di stretta osservanza, l’arcigno Bahnsen, il cripto-hegeliano Hartmann, s’ingegna tra wirkung e streben, selbstbewusstsein e sensibilität, Kant e Berkeley, professioni di ateismo “scientifico” e metodologica immanenz.

Tutto interessante, per carità.

Ma l’aedo della wille era partito di lontano, quadruplice principio di ragion sufficiente e teorìa goetheana dei colori. Lui vuol portare il suo affondo tutto in una volta, non ha tempo per dotte dilazioni. Ha furia. Di Schopenhauer questa è la grandezza: l’essersi posto di fronte al quadro della vita come di fronte ad un tutto, per interpretarlo come un tutto, intona Nietzsche.

Ecco, anche lui in spregio agli specialismi vuole spiegare il tutto. E subito.

Si, nella Philosophie ci sono una gnoseologia, una fisica, una politica, una metafisica.

E una critica alle aporìe del maestro (stavano lì in bella mostra).

Ma la sua vocazione, che coincide col suo talento più vero, è quella del teologo.

*

In origine, prima di questo mondo, prima del molteplice, fu l’unità precosmica (vorweltliche), oltre ogni determinazione. Intelletto finito non può dirne che per via apofatica. Übersein, Überwesen… sembra di sentire Eckhart e Böhme.

Il suo nome quello che nessuna capacità rappresentativa, nessun volo della più audace fantasia, nessun astratto pensiero, per quanto profondo, nessuna anima, concentrata e piena di devozione, nessuno spirito nell’estasi e nel rapimento ha mai raggiunto: DIO.

Onnipotente, senza altro limite che la propria Essenza; Perfezione, Essere… nulla  più elevato di questa unità semplice (il molteplice, i fenomeni sono il male).

Ma c’è poco da invidiargli la sfilza di attributi…

Perfetto Infelice, solitudine confitta a un Essere implacabile, il Suo. E l’Essere è una iattura.

Lo sente così Philipp, teopatico sincero. (Lo riveste troppo di sé, dei propri panni melanconici?).

Come  Cioran anni dopo, vorrebbe recar conforto alle Sue desolate altitudini.

E si domanda: a un Dio così solo, quale occasione di provare la più alta delle Sue perfezioni, la Libertà? Fuori dell’angosciosa Sua statica eternità, quale atto veramente libero?

Invero, pensa (narra) Philipp, uno solo era possibile. E fu questo: passare nel nulla assoluto, annichilirsi, NON ESSER PIÙ. Ma ecco l’intoppo. Ché la Sua essenza non si lasciava far fuori dall’onnipotenza così, in un battito di ciglia. Come a un qualunque tapino disamorato della vita a Dio serviva un mezzo: corda , veleno o lama…

Philipp Mainländer (1841-1876)

*

Dio è morto e la sua morte fu la vita del mondo, annuncia Philipp.

Il Mondo, coltello di Dio, fu mezzo del Suo annientamento. La Storia è dramma di maniaco suicidario.

E quella delle religioni ne mostra il processo, atto per atto. Dall’ingenuo timore dei primitivi (Naturvölker), rozzo politeismo; alle raffinatezze dei riformatori (Zarathustra, altra liason con l’anticristo baffuto) ove gli dèi scendono al cuore degli uomini; dal “panteismo” indù, un Tutto solidale che sacrifica gli individui all’assoluto; al teismo ebraico col suo realismo ingenuo; fino alla soluzione: buddhismo e cristianesimo.

Del primo, perfetto “idealismo”, esalta la facoltà di togliere al mondo, agli enti, ogni consistenza.

Una produzione del soggetto. Sofferenza, sventura, brama…illusioni prospettiche. Tutto sorretto da logica implacabile.

Ma è al secondo che assegna lo scioglimento del Mistero.

Incantato dalla Trinità e dal simbolo atanasiano (quicumque vult salvus esse…) vi trova lo scrigno da forzare. Di acribia e di fervore armato scassina squaderna tutto in successione: via le astruserìe di concili e teologi, il dio trino è una storia. Dio Padre esistette solamente prima del mondo. Cristo, ovvero il Mondo, esiste solamente ora. Lo Spirito Santo… è la via di Dio verso il nulla.

Infine qui, teoagonìa in tre stazioni, mondo individui tutto si spiega con un Dio che si nega, si aliena, si uccide, si libera (e ben poca agape per noialtri di quaggiù)

Un secolo dopo, un che di simile trillerà in testa a un giovane teologo “ateo”, Thomas J.J. Altizer… risposte diverse ad ossessioni analoghe.

*

Poco importa che il “sistema” regga. Questa (a)teologia massimalista, lunare, ghiaccia come l’Antartide, mostruosa e pia, gli basta e avanza.

Ma questo Nulla, télos irresistibile, come pensarlo?

Non lo sapeva Schopenhauer, figuriamoci lui. Ma non importa!

Gravato da sensibilità ipertrofica, gli basta tendervi smanioso, por fine al dolore, estinguersi, passare oltre oltre…

Dio stesso l’ha fatto, seguiamolo nella sua caduta

Così avanza, cereo cavaliere in tanatofora crociata. Bianco pallido come bianca pallida ci si figura la Purezza, di tutte le metafore nostre la più ambigua: soave e terribile.

E come nelle Veglie di Bonaventura ripete: Nichts! Nichts! Nulla! Nulla!

Kirillov assiano, come Kirillov impasto di razionalismo e d’estasi, ha trovato la base sicura da cui spiccare il salto.

Tanti s’affannano a predicare la caducità delle opere; la strada non è la meta, la barca abbandonata raggiunta la sponda e via e via…. Pochi han testimoniato che le nostre opere vanno, anche materialmente, calpestate. Nessuno con la schiettezza di Philipp Mainländer martire, uccisor di Dio per amor di Dio.

*

Ipotesi

Se infine giungerà, dopo tante smentite, il lampo che guizza da oriente a occidente e si compiranno le promesse; il vecchio mondo capovolto e trasmutato a realtà nuova ma sul serio, non putti svolazzanti, angelicati “lampadoni” fissi al più verso più grossa luce (come pure voleva il grande Origene); se avverrà… Allora immaginiamo ci debba essere in quelle contrade uno spazio discreto, nascosto e silenzioso. Isola dei morti o Isola di Euthanasius, ricetto agli impazienti, ai delicati, olocausti sulle are dell’eccesso del sentire.

Lì dormono il “bruto” Caraco, Weininger sessuomane e il triestino Carlo, perfino Labrunie/Nerval sopraffatto dal fantasma della Madre…

Han sentito lo squillo di tromba?

Non importa. Nessuno li disturbi. Nessuno abbozzi un surge!

Da soli sceglieranno se aver parte al Nuovo.

O restare a giacere in sogno ininterrotto… gelassen und weiss, calmo e bianco.

Ipotesi sciocca per fantasia infantile.

Ma pensiamola così, vi prego.

Giacomo Alessandrini

*In copertina: Gerrit van Honthorst, San Sebastiano, 1623 ca.

Gruppo MAGOG