Nella vasta schiera dei “ragazzi selvaggi” – fenomeno che può svilupparsi soltanto nell’ambito di una civiltà della chiacchiera e della scienza, in ossequio alla proprietà privata, forgiata dall’ingegno borghese – Peter di Hannover si distingue per la mole del dibattito ‘pubblico’. Scoperto il 4 maggio del 1724 nei boschi tra Hannover e Hamelin, propensi al fiabesco, il ragazzo aveva, si suppone, 15 anni, preferiva muoversi a quattro zampe, non sapeva parlare. Lo ribattezzarono Peter, gli misero una catena al collo, divenne oggetto di scherno di tutta la Bassa Sassonia. Profezia di un Kaspar Hauser edotto dai lupi, Peter era preso per un mostro, uno scherzo della natura, il punto di congiunzione tra la foresta e il palazzo, tra ostaggio e ostia, pioggia e tempio; figlio di un Adamo demente. Tutti, in Peter, riconoscevano un passato che non si cancella, lo stigma della natura sovrana; per questo, tutti, sputavano in faccia a Peter. Il ragazzo, appena riusciva, con multiforme agilità, si districava dalla gabbia, ripigliava la via del bosco. A lungo fuggì, sempre fu riacciuffato, prelibato oggetto di cacciagione. Si nutriva di frutti, di erbe, di cubi di miele scardinati dagli alveari boschivi, di insetti; alcuni lo videro azzannare un uccello dei campi; le madri temevano per i figli. Nessuno, naturalmente, venne a riscattare Peter.
Poiché il ragazzo era stato trovato nei boschi di proprietà di Giorgio I, nato Giorgio Ludovico di Hannover, re di Gran Bretagna, fu portato a corte, a Londra. Al re, che aveva un culto per l’esotico, lo strano, e le bestie araldiche, piacque essere caritatevole con Peter. Lo pensava simile a un unicorno, a un binocolo, a una sirena dei monti. Gli concesse il lusso di sedersi alla sua tavola, si premurò di convertirlo a modi civili, lo chiamava ‘il mio mostruoso confidente’. Pensava di aver scoperto il primo uomo, Giorgio I, che il regno, vespaio di maldicenze, potesse mutarsi in Eden; i tratti di Peter tradivano ciò che molto più tardi sarebbe stata descritta come ‘sindrome di Pitt-Hopkins’, una malattia genetica che, tra l’altro, sconvolge i tratti facciali. Le labbra enormi, gli occhi infossati, gli conferivano una bellezza ostile, primordiale. Il ragazzo fu ritratto da William Kent, artista e architetto di corte, urbanista di giardini: l’opera è ancora oggi a Kensington Palace.
Giorgio I morì nell’estate del 1727, presto si stufò del mostro che aveva presentato, riccamente abbellito, ad amici, cortigiani, filosofi. Peter, nonostante i precettori più sapienti del regno facessero a gara per istruirlo, era restio ad apprendere, non capiva i bei modi e il bel mondo: mangiava senza posate e senza mani, a piena bocca, non spiccicava parola. Insomma, il re si liberò del ragazzo selvaggio donandolo alla sorella, Carolina di Brandeburgo-Ansbach, di celebrata intelligenza (lo dimostrano, ad esempio, i rapporti con Leibniz); lei lo affidò alle cure di John Arbuthnot, celebre matematico, amico di Newton e di Händel, il quale, a sua volta, lo mollò a un fattore dell’Hertfordshire, James Fenn. Il ragazzo, nonostante le applicazioni delle più moderne prassi educative, non usciva dall’apnea del mutismo, dallo stadio ferino.
Inutile per la scienza, allora, Peter di Hannover, ribattezzato “Peter the Wild Boy”, diventò oggetto di satira e di bassa filosofia. Il pamphlet uscito anonimo con il titolo The Most Wonderful Wonder that ever appeared to the Wonder of the British Nation si riferiva a lui, dileggiava gli interessi di corte nei riguardi del ‘mostruoso’, dello strambo, del ‘mirabile’. Il testo, in cui molti riconobbero lo stile di Jonathan Swift in combutta con l’amico John Arbuthnot, deplorava la società sedotta dal gioco di prestigio, dai facili incantesimi, dai miracolati, schiava di un ragazzo che più che selvaggio appariva semplicemente idiota. I viaggi di Gulliver – dettaglio notevole – uscirono proprio quell’anno, nel 1726. Opposto l’atteggiamento di Daniel Defoe, che in Mere Nature Delineated or A Body without a Soul – o meglio: “Osservazioni intorno a un ragazzo scoperto in una foresta tedesca con breve dissertazione intorno alla necessità dei folli in società” – stampato nel 1726 da T. Warner, compie una indagine analitica intorno alla storia di Peter. Defoe, che aveva già scritto ciò doveva scrivere – Robinson Crusoe esce nel 1719, Moll Flanders nel 1722, Roxana nel 1724; in quello stesso anno pubblica The Political History of the Devil – si lancia in una dissertazione cronachistica, mettendo in crisi le fonti che riguardano il ragazzo selvaggio, a suo avviso piene di lacune e di assurdità. Allo stesso tempo, Peter sembra “il primo uomo venuto al mondo” e un puro corpo, “privo di anima”: Defoe immagina di scoprire una contraddizione nel creato, di bacchettare Dio. Che cosa ci rende umani? Quali sono le qualità dell’anima? Esistono creature slacciate dall’anima? E poi: perché la bestialità è deficiente rispetto all’umanità? Non è forse vero – epigrafe d’Albione – che l’uomo è lupo per il proprio prossimo?
Si credeva che Peter di Hannover potesse essere una risorsa per la linguistica del tempo, risolvendo quesiti dati in astratto: come si apprende il linguaggio?, che cos’è la lingua?, perché parlare?, dove si collocano i limiti tra dato di natura, innato, e cultura, tra ispirazione ed educazione? Peter, il ragazzo selvaggio, risultò inutili ai fini della scienza. Diventò qualcosa di più vasto, di indicibile. Peter metteva in crisi la statura stessa dell’uomo, il suo ruolo nel cosmo. Era ovvio che ci si dovesse liberare di lui.
Dicono che abbia appreso la buona arte del bere; cercò la via dei boschi, più di una volta, per questo lo obbligarono al collare. Lord Mondobbo, linguista e magistrato scozzese, gli fece visita quando Peter era ormai anziano: lo trovò bello, sensibile, arguto. Peter di Hannover non parlò mai, mai imparò a scrivere. Una lapide, a Northchurch, ricorda che è morto il 22 febbraio del 1785. Alcuni malignarono che la sua storia fosse il frutto di un’impostura, di una burla, ma a che pro? Nel 2011 la BBC gli ha dedicato un programma; inciso sulla pietra, per sempre, egli è “Peter the Wild Boy”. Fiori selvatici decorano la lapide, non ancora sondata dal tempo; non è raro vedere la volpe, lì attorno, che si accuccia, sbuccia una preda, scatta, scompare.
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Mera natura: storia di un ragazzo senza anima
Sui giornali stranieri è stata pubblicata questa notizia.
“Hannover, 11 dicembre 1725. L’intendente della casa di correzione di Zell ha condotto un ragazzo di circa 15 anni d’età, catturato in una foresta presso Hamelin, dove camminava carponi, si arrampicava sugli alberi con la naturalezza di uno scoiattolo, e si nutriva di erba e del muschio che cresce sugli alberi. Per quale strano destino sia capitato nel bosco non si sa, poiché non sa parlare. È stato presentato a Sua Maestà a Herrenhausen mentre era a cena: lo si cibò con ogni sorta di vivanda, di modo che tornasse a una dieta d’uomo. Sua Maestà gli ha concesso un permesso speciale e alcuni provvigioni, di modo che possa tornare nel comune consesso sociale”.
Un’altra pubblicazione si esprimeva in questo modo:
“Hannover, 28 dicembre. La storia del ragazzo trovato nel bosco di Hamelin è confermata, ma ad essa va aggiunto un particolare: il ragazzo ha preferito ritornare nel bosco: è stato riagguantato sopra un albero che riteneva riparo certo”.
In questa relazione chiedo il permesso di stigmatizzare alcune assurdità. Intanto, preciso alcune cose sulle mani e sui piedi. Da quanto si arguisce da questa relazione, sappiamo che il ragazzo vagava normalmente a quattro zampe. Questo è improbabile e impraticabile. I piedi di un uomo, e le sue mani, non sono creati per andare carponi. Certo, qualsiasi uomo, colto da curiosità, sa muoversi carponi: ma per quanto abile e agile, per quanto sia in grado di dislocare e muovere i propri arti, non può abilitarli a scopi diversi da quelli per cui la Natura li ha predisposti. Se l’intendente della casa di correzione di Zell ha fornito un resoconto simile, possiamo pensare che sia stato enfaticamente frainteso dai giornalisti olandesi… Insomma: non possiamo correre, galoppare, saltare, trottare con quattro arti come lupi, cavalli o altri…
Per quanto riguarda la capacità di arrampicarsi sugli alberi come uno scoiattolo; oppure, potremmo dire, come un gatto. È evidente che bestie simili, spesso di razza felina, si arrampicano e corrono sugli alberi per forza di artigli. Beh, questo è impossibile al ragazzo. Le scimmie vi riescono per agilità dovuta alla pratica di appendersi, grazie ai corpi snodati, all’uniformità del fisico, adatto a simili casi. Ma supponiamo che il ragazzo sia riuscito a scalare gli alberi con inusuale agilità, in quelle condizioni, nudo, non gli sarebbe stato possibile azzardare la caccia, evitare ferite gravi sulla pelle, dovute ai rami, alle spine. Quanto alla difficoltà di reperire cibo, appunto, entriamo in un vero enigma. Dicono che si cibasse di erbe, di noci, di frutta che cresceva sugli alberi. Altri ritengono che si nutrisse di carne, come Nabucodonosor. A questo punto, però, sorgono un paio di dubbi su cui nessuna notizia dà risposta:
I.Anche se ha vissuto, come è probabile, diversi anni in quella condizione, senza riuscire ad adattarsi, senza imparare alcun linguaggio, considerando che quella zona di mondo è genericamente cruda, congelata, ricca di abeti e agrifogli, ma con scarsi frutti, come avrebbe potuto cibarsi? Mele e noci, in ogni caso, scompaiono durante i periodi di gelo, dunque, non avendo precedenti nella storia, non ci restano che le supposizioni.
II.Durante il gelo che avvolge quei paesi, come avrebbe potuto dissetarsi? Fiumi e sorgenti di solito sono ghiacciati, la neve ricopre per lunghi mesi i paesi. Come è riuscito a custodire il cibo, a procurarsi da bere, pressoché nudo?
Tra l’altro, uomini e cacciatori, i pastori al seguito delle loro bestie, bramano di continuo selvaggina. Non è plausibile che quel ragazzo sia riuscito a nascondersi tanto a lungo: dunque l’idea che una madre snaturala lo abbia abbandonato alla provvidenza dei boschi, e che la misericordia abbia ordinato alla femmina di un orso o di un lupo, manco fosse Romolo, di nutrirlo, direi che è improbabile, ancor più considerando la struttura disgraziata del bambino. Dunque, i resoconti che ci sono giunti, nonostante nella storia ci sia del vero, contengono tuttavia un cospicuo numero di menzogne.
Ad ogni modo, prendiamo la vicenda per ciò che è. Un ragazzo, tra i 14 e i 15 anni di età, del tutto selvaggio, senza istruzione, informe, inerte riguardo a immaginazione e immaginario, puro esempio della ‘mera natura’: questo è il fatto, indiscutibile. Specie di Corpo privo di Anima, è stato trovato – o, come dicono, catturato – in un bosco nei pressi di Hamelin, in Germania, e trascinato a Zell. Qui, preso per una curiosità, un difetto di natura, una cosa rara, è stato portato dal re d’Inghilterra, che lo ha ritenuto degno di nota, eleggendolo a sua Reale Compagnia, mosso da compassione, beato nel nutrire un giovane di forma umana, probabilmente dotato di Anima, Immagine gloriosa del nostro Fattore, eppure demente, privo delle facoltà proprie di chi ha un’Anima, tanto da risultare miserevole, privo di verbo, eccellenza del Paradiso della Vita! Sua Maestà, caritatevole, ordinò che ci si prendesse cura di lui, che fosse medicato, nutrito, istruito, rivestito, reso abile ai godimenti della vita. Tutto questo lo credo autentico.
Come, o per quale Prodigio della Crudeltà, questo giovane debba essere così esposto, sordo all’Umanità, incapace di parlare e di comprendere, pur avendo ogni opportunità di stare con il genere umano, dunque di comprendere per imitazione, ciò resterà per sempre oscuro e misterioso, e non potrà mai venire alla luce, dacché, giovane, egli è del tutto vuoto, incapace di ricordare la propria origine, dunque di raspare il mistero da cui è stato originato, il motivo per cui non riconosce lettera né pronuncia parola.
Egli resta, appunto, in uno stato di mera natura, e ciò nel senso più letterale del concetto. Descriviamo la sua condizione: egli sembra il primo uomo venuto al mondo, così è stato per molti anni, senza sapere nulla della società umana, senza conoscere parola perché mai ha udito parlare, e se si parla interiormente, senza riconoscere il linguaggio che la Natura gli ha permesso per pronunciarsi alla sua specie. Egli confuta la raffinata nozione secondo cui gli antichi nascono interamente connessi con il linguaggio. Ma questa povera creatura non produce rumore né suono, nulla, e con un foglio sotto mano non saprebbe informarci riguardo al suo stato. Alcune testimonianze mettono in dubbio che questa creatura abbia un’Anima, e che sia alterata da deficienze organiche. Ciò che sancisce la presenza dell’Anima è che essa pensa e ride.
Che egli possa pensare è plausibile: che cosa pensi e grazie a quale meccanismo, ci è ignoto. Che rida, suppongo possa ridere. Quando l’ho veduto, egli ha soltanto sorriso: i nostri dotti, in effetti, dicono che il nitrito di un cavallo non è sufficiente a renderlo dotato di Anima.
Daniel Defoe